memoria

"Celebrazione della giornata nazionale del sacrificio e del lavoro degli italiani nel mondo", di Gianni Farina *

Cari democratici e care democratiche, cari e care connazionali,

l’otto Agosto celebriamo la giornata nazionale del sacrificio e del lavoro italiani nel mondo. Andremo, come sempre, a Marcinelle, a ricordare i caduti del 1956 al Bois du Cazier, a rinnovare, 55 anni dopo, l’affetto, la riconoscenza, la memoria di una tra le più drammatiche vicende dell’emigrazione italiana nel mondo. Alla Camera dei Deputati ho voluto ricordare quella tragedia che ha segnato la storia dell’emigrazione italiana in Europa e nel mondo.

” L’immigrazione esiste dagli albori dell’umanità. Siamo i popoli della terra, ed è nella nostra natura scoprirla, conoscerla, arrestarsi là ove ci sentiamo bene, pensando che la vita sarà fruttuosa per noi e per tutti. Come per tanti popoli, i figli della terra italiana sono partiti non tanto per scoprire il mondo o per arricchirsi, ma per carpire la speranza di un avvenire più giusto e umano.

Nessuno dei nostri migranti, nelle terre d’Europa e del mondo, ha mai accusato le comunità ospitanti d’essere distanti e sospettosi. È successo. Succede. La sorte dei popoli che non si conoscono e che devono, pazientemente, apprendere la ricchezza dell’incontro per vivere e progredire assieme.

Allora, ognuno fu assunto nelle terre della Vallonia per alcuni chili di carbone da fornire all’Italia uscita umiliata e immiserita dall’avventura totalitaria e dalla guerra. Tutto accanto a noi, penso alla tragedia di Oslo, frutto di una criminale intolleranza, sembra dirci che anche gli attuali avvenimenti non sono fatti per costruire un mondo di solidale convivenza.

Tuttavia, ogni popolo – è scritto nella storia dei secoli e dei millenni – prima o poi ci arriverà. Junot Diaz, lo scrittore americano immigrato da Santo Domingo, riassume il decorso storico con una splendida frase: “l’America è una strana nazione di immigrati che pretende il contrario senza rendersi conto della straordinaria ricchezza sua nata dall’incontro e dall’abbraccio”.

Gli Stati Uniti, innanzitutto, indiani, irlandesi, scozzesi, inglesi, africani con i collari d’acciaio a soffocare la carne e lo spirito, italiani, cinesi e chissà quanti ancora. La melange che creò una nazione. È la sfida nostra, di un popolo emigrato che difende la memoria, le sue radici e costruisce l’unità. Guardiamo al di là dell’oceano , alla storia multi centenaria del suo popolo, ferocemente, indubitabilmente, americano. Americano, anche se il figlio dell’irlandese festeggia ancora San Patrizio a Chicago, i ragazzi e le ragazze cinesi preparano con amore il loro anno asiatico a Chinatown, e i discendenti italiani profumano il palato con i leggendari spaghetti tra una parlata e l’altra del dialetto palermitano o napoletano.

Hanno creato assieme una grande nazione, partendo dalle nostre stesse ragioni: il lavoro e un migliore avvenire per i loro figli. Hanno costruito un paese possente e unito, talmente unito che il loro presidente è assurto dalla comunità nera, quella che non scelse di partire verso il nuovo mondo ma fu costretta dalla forza, dallo schiavismo assassino e disumano. Sono riusciti a costruirlo laggiù. Possiamo ripeterlo noi con l’Unione, nelle terre della vecchia Europa.”

Quel fatale 1956 a Marcinelle
Marcinelle ci indica il cammino, partendo da quel fatale rintocco del 1956 che annunciava il sacrificio e il riposo dei vinti. Lassù, la Louvière, la città mineraria ove sono state scritte le pagine più autentiche del lavoro italiano nella terra dei belgi valloni, è poco lontana. Siamo stati tempo fa a celebrare il 150° dell’unità d’Italia. Un pubblico attento e appassionato.
Un dibattito bello, commovente per la varietà di esperienze storiche e umane dei presenti. L’unità d’Italia dei sentimenti e delle ragioni. La realtà di un mondo italiano che ha saputo difendere i valori della patria antica unendoli nell’abbraccio alle nuove tradizioni storiche e umane. Una mescolanza di storie vissute che sono esempio e ammonimento per tutti.
Tra noi, il vecchio emigrato da uno sperduto paesino della Sila con accanto la bombola a ossigeno, amorevole sorella della lotta alle polveri sottili del grisù. Forse compagno, amico, di chi è rimasto sepolto laggiù cinquantacinque anni prima. Un solo desiderio nel cuore: tornare per un giorno al villaggio natale.
L’ottantenne e più, Dante Maltesi , leone emiliano che impiega il suo tempo a costruire i circoli transnazionali d’amicizia e ad organizzare viaggi di studio e lavoro tra i suoi corregionali.
E Michel De Mattia , un amico, un professionista e dirigente affermato, nonché militante politico. Consigliere comunale, domani, chissà?, deputato nella terra dei valloni o al parlamento federale. Sulla scia di Elio Di Rupo, l’orgoglio della comunità italiana.
E ragazzi e ragazze, a cui il destino ha indicato la strada: cittadini d’Europa, costruttori di una Unione fondata sulla pari dignità dei diversi e solidali. Uno straordinario e inutilizzato patrimonio italiano.
Il Mahatma Gandhi , l’apostolo della non violenza, affermava che la “regola d’oro della condotta di ognuno è la tolleranza reciproca”. Ci permette di veder l’insieme della verità e ci fa tutti più ricchi e umani.
Il sacrificio italiano nel mondo, a Marcinelle come ovunque , lo vorrei riassumere con le parole del sindaco di La Louvière che venne, per l’occasione, a salutare i suoi cittadini di origine italiana. “Grazie, cari amici, per tutto quanto avete dato Vi è nella vostra voce, nell’animo di ognuno, il sole che a noi manca. Senza di voi a noi non resterebbe che la pioggia”.
Resteremo, caro sindaco, a La Louviére come altrove, in questa nostra Europa. Resteremo, con il sole e con la pioggia, per costruire l’Europa che sta nei nostri cuori. Per rendere onore alle vittime di Marcinelle e perché il loro sacrificio non sia stato vano”.

* deputato del PD