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"Negli atenei indici di merito da calibrare", di Francesco Favotto

Il sistema universitario italiano sta vivendo una fase di transizione effervescente fra downsizing e cambiamento. Di recente ha iniziato a operare l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), il cui primo documento su “Criteri e parametri per l’abilitazione nazionale” mostra la potenzialità della nuova istituzione e i rischi ai quali è esposta. Le due novità principali sono l’utilizzo della mediana per migliorare la selezione dei candidati e, specialmente, dei commissari di concorso (vengono reclutati i docenti che si trovano – per qualità scientifica – al di sopra della mediana, il valore centrale della graduatoria) nonché il ricorso a database internazionali con uso di indici bibliometrici. L’opzione internazionale è fuori discussione: studiosi che hanno ampliato a livello internazionale l’arena conoscitiva in cui operano, anche studiando temi o applicando metodologie nazionali o locali, hanno maggiori probabilità di essere studiosi di qualità e formatori di capitale umano avanzato. Anche l’adozione della mediana e degli indici è interessante: quale soggetto valutatore non cerca un modo sintetico, efficace, non discutibile, un voto (o un indice) per classificare gli studenti, nel nostro caso gli studiosi, e impostarlo in chiave evolutiva?

Però fra il dichiarare il merito e applicarlo, lo spazio è enorme. E qui si trovano i rischi maggiori per l’Anvur. L’applicazione meccanica di criteri e parametri a una realtà complessa come un’università o un sistema universitario rischia di smentire a priori i benefici attesi. La valutazione, cioè, al di là degli aspetti tecnici o numerici, è innanzitutto un processo e un aspetto della politica organizzativa e gestionale.

Nella prima proposta Anvur ci sono aspetti tecnici da migliorare: database diversi ammettono pubblicazioni differenti e portano quindi a indici di performance eterogenei per lo stesso studioso o diversi per studiosi con produttività simile ma di aree disciplinari differenti. E ci sono aspetti organizzativo-culturali da approfondire. Ad esempio: per l’area giuridica, notoriamente “nazionale” per leggi e istituzioni, l’enfasi all’internazionalizzazione va attentamente calibrata; lo stesso per l’area umanistica. Inoltre, in aree come medicina, ingegneria, fisica, agraria e veterinaria convivono sezioni pienamente inserite nella competizione internazionale e altre che sono a stadi intermedi; lo stesso vale per l’area dell’economia aziendale, che l’Anvur aveva proposto addirittura di spaccare in due applicando metodi di valutazione diversi.

In sostanza, le novità annunciate per essere davvero efficaci vanno applicate agli stadi evolutivi delle diverse discipline e non calate in modo meccanico e pressoché uniforme sul sistema o su due parti dello stesso (aree 1-9 contro aree 10-14). Senza parlare poi della necessità di non penalizzare la “generazione di mezzo” degli studiosi fra i senior in uscita e i giovani subito international.

La consapevolezza critica viene mostrata dalla stessa Anvur nel secondo documento del 3 agosto, in cui ragiona sui molti commenti ricevuti. La strada è quella giusta, ma va articolata e mediata nella sua traducibilità. Da questo punto di vista una maggiore interazione fra Anvur e attori del sistema potrebbe aiutare.

Cun e Università di Padova

Il SOle 24 Ore 08.08.11