attualità, politica italiana

"E la "rapina" franco-tedesca in 24 ore diventa salvagente, tutti gli eurodeliri del Senatùr", di Filippo Ceccarelli

Nel ´99 il Carroccio arrivò a minacciare la “rivoluzione” contro l´adesione alla nuova divisa. Nel 2001 un giudizio filo-Ue: “L´addio alla lira ha scongiurato la secessione”. Nel complesso sistema della comunicazione che fa capo al ministro Umberto Bossi l´euro-delirio si configura come un capitoletto pregiudizialmente surreale, ma opportunamente contraddittorio. Così se ieri l´altro l´adesione alla moneta unica era qualificata come un “errore storico”, dopo appena 24 ore sulla bocca del Senatùr l´euro era divenuto un´entità salvifica; mentre oggi, per chi legge, può adeguatamente tornare a essere una dannazione o trasfigurarsi in una speranza, una panacea, un handicap, un segno divino, una coincidenza inesorabile, un nulla assoluto o chissà cos´altro ancora.
E´ sempre più difficile prendere sul serio le uscite di Bossi, e tuttavia qualcosa dice anche la rapidità con cui egli cambia idea. Motus in fine velocior, dicevano gli odiati antichi romani per indicare come alla fine ogni cosa, ogni movimento tenda ad acquistare una maggiore velocità.
Per chi ama la storia, è bene sapere che nel 1996 il leader della Lega, allora in piena fregola secessionista, scrisse all´allora presidente dell´Ue Santer per chiedere indicazioni su come la Padania potesse aderire alla moneta unica. Si ignora la risposta di Santer, fatto sta che due anni dopo – era il 1998 – il Senatùr profetizzò che il cambio valutario sarebbe stato «un pasticcio». E nel 1999 disse non solo che era sbagliato entrare subito, ma che la risposta padana si sarebbe espressa niente meno che in una rivoluzione. Sennonché nel 2001, tornato buono buono al governo con Berlusconi, spiegò Bossi con uno dei suoi ragionamenti a sfondo geopolitico che proprio la moneta unica aveva scongiurato la secessione. Ma l´anno dopo, 2002, tale impegnativa valutazione era già evidentemente andata fuori corso per il semplice fatto che l´euro, più che voluto o scelto in un referendum, era stato in realtà “subìto”. Trattavasi di imposizione franco-tedesca, e «nessun popolo è libero – aggiungeva Bossi – senza una sua moneta».
Dura fatica andare appresso alle euro-giravolte ogni volta cercando di comprenderne le opportunità razionali e le motivazioni tattiche, tanto più quando le une e le altre s´aggrovigliavano al significato più generale dell´Europa e a quanto via via essa comportava per l´immaginario leghista in termini di norme sugli extracomunitari, esposizione del crocifisso o matrimonio fra omosessuali.
Il punto è che l´euro era, oltre che una moneta, anche un simbolo. Per cui se nel 2003 non aveva «portato granché bene», nel 2004 era diventato «fondamentale in tutte le rapine che si sono fatte»; e se la gente adesso faticava ad arrivare alla fine del mese, questo non dipendeva mica da Berlusconi e dal governo di cui Bossi era ministro, ma dall´euro: imposto – indovina indovinello – dai massoni. La responsabilità massonica è tornata in voga pure quest´anno. Anche se ad aprile, per via dei mancati respingimenti, Maroni aveva minacciato di uscire dall´Ue. Dopo di che Bossi l´aveva corretto sostenendo che «era una frase detta per stimolare l´Europa».
Un ulteriore elenco di stimoli similari richiederebbe ben altro tempo e spazio. In mancanza dell´uno e dell´altro ci si può accontentare della ricerca sul campo di un´antropologa francese, Lynda De Matteo, che di recente ha pubblicato L´idiota in politica (Feltrinelli), là dove l´idiozia del titolo, prima che un semplice insulto di quelli che Bossi lancia ogni giorno, è una categoria d´interpretazione anche piuttosto sofisticata che rinvia ai dispositivi di rovesciamento, all´uso della parodia e ai riti carnevaleschi applicati al potere. Dopo averlo letto l´euro-delirio del Senatùr appare certo più comprensibile, ma lascia lo stesso sgomenti.

La Repubblica 09.08.11