attualità

"L'impotenza di un sistema fragile" di Bill Emmott

Non ci penserà molto spesso ma tornando a casa in anticipo dal suo soggiorno italiano per farsi carico dell’emergenza, il premier britannico, David Cameron, deve aver pregato di trovare il classico tempo dell’estate inglese: pioggia, preferibilmente scrosciante. Perché la sensazione dominante nel governo e nelle forze di polizia è l’impotenza di fronte all’improvviso scoppio di disordini e illegalità nelle principali città della Gran Bretagna. È tanto difficile spiegare queste sommosse, quanto sarà per David Cameron venirne a capo. Solo la pioggia sembra in grado di poterle spegnere in fretta.

Le spiegazioni svaniscono rapidamente per diventare mere descrizioni. Ciò che è scioccante a proposito degli eventi che si sono sviluppati negli ultimi quattro giorni è aver dimostrato ai cittadini britannici quanto vicino alla superficie della società ci siano violenza, disprezzo per la legge e addirittura disprezzo per le comunità locali.

Proprio come in Francia nel novembre 2005 quando le rivolte si diffusero e durarono per settimane, non c’è alcuna ragione evidente per cui gli scontri siano cominciati ora, e quindi nessuna risposta plausibile alla domanda su quando potrebbero cessare.

I disordini iniziati sabato nel povero quartiere suburbano di Londra Tottenham avevano almeno una causa: la rabbia e l’incomprensione per l’uccisione da parte della polizia di un uomo del posto al momento dell’arresto. La violenza e i saccheggi di ieri, in decine di periferie e città, non avevano alcun motivo apparente al di là del fatto che i giovani si copiavano l’un l’altro, nella convinzione che la polizia non sarebbe stata in grado di fermarli, e che incendiare automobili ed edifici o rubare dai negozi è divertente, in un certo senso, se si pensa di poter farla franca.

C’è, ovviamente, una spiegazione generale: la disoccupazione e un senso di disperazione di fronte a un’economia stagnante. Ma il tasso di disoccupazione britannica, al 7,7% della forza lavoro, non è particolarmente alto per gli standard europei o americani: la statistica equivalente in Italia è l’8%, in Francia è il 9,5% e negli Stati Uniti è il 9,2%. Tutti noi abbiamo tassi di disoccupazione più elevati per i giovani che per i più anziani e in questo senso la situazione inglese non è peggiore di altre.

Una spiegazione allettante è la tensione razziale, perché era chiaramente il fattore principale la volta scorsa quando nelle città inglesi si innescava la rivolta, nel 1981, quando Margaret Thatcher era primo ministro. C’è chiaramente di nuovo un elemento di questo genere, perché il giovane che è stato ucciso a Tottenham era nero, e la zona è nota da tempo per i cattivi rapporti tra la polizia e la locale comunità afro-caraibica. Eppure la maggior parte degli esperti di ogni provenienza concorda sul fatto che le relazioni razziali in Gran Bretagna nel 2011 sono molto meglio di quanto lo fossero trent’anni fa.

Inoltre, il modo in cui i disordini si sono diffusi nelle notti successive non ha mostrato ulteriori contenuti razziali. L’unico elemento comune sono stati i giovani, generalmente incappucciati, intenti a distruggere e saccheggiare. Non c’è stato alcun ovvio bersaglio politico o istituzionale: niente multinazionali, niente banche, non il governo, nemmeno la polizia.

Così, che conclusioni dovrebbero trarre i britannici, e che cosa dovrebbero pensare gli altri Paesi della Gran Bretagna? La prima conclusione deve essere quella di condividere qualsiasi giustificazione possano avere i britannici. La nostra società è più fragile di quanto pensassimo. Le nostre famiglie sono più deboli di quelle italiane, per esempio, e anche la fedeltà alle comunità locali è debole. Le principali vittime della violenza sono stati i vicini, piccoli commercianti, i servizi delle comunità locali. Chiaramente ai rivoltosi non importa nulla di tutto questo.

Una seconda conclusione porta inevitabilmente a rinnovare le preoccupazioni sulla povertà e la disuguaglianza. Nessun governo può permettersi di ignorare le disparità nella società britannica, e deve fare tutto il possibile per ridurre questi margini. Il guaio è che farlo richiede molto tempo, se pure è possibile. Ed è inevitabilmente reso più difficile nel breve termine se si deve anche tagliare la spesa pubblica.

Terzo punto, e più immediato, tuttavia, dev’essere la preoccupazione per la sicurezza, la legge generale e l’ordine. David Cameron e il suo governo dovranno valutare la possibilità di utilizzare metodi di polizia più duri, compresi i cannoni d’acqua e i veicoli blindati. Quasi certamente, egli capovolgerà un elemento della recente politica del governo: dovrà aumentare forze di polizia anziché ridurle, come previsto in precedenza dal suo piano.

Con i Giochi Olimpici in programma a Londra entro un anno, il pensiero di tumulti in quell’occasione, capaci di danneggiare la reputazione della Gran Bretagna in tutto il mondo, deve dargli gli incubi. Più di tutto, però, come per il primo ministro francese nel 2005, Dominique de Villepin, e il suo collega allora ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy, la sensazione principale di David Cameron dev’essere di impotenza. Ecco perché pregherà per la pioggia.

[Traduzione di Carla Rieschia]

La Stampa 10.08.11