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"Crisi, cosa ha detto (in realtà) Tremonti", da www.unita.it

CRISI, DOMANI CDM PER IL DECRETO
Potrebbe essere convocato già domani nel pomeriggio il Consiglio dei ministri per il varo del decreto legge contenente le misure anticrisi. Lo si apprende da fonti di Governo. La riunione del cdm dovrebbe seguire a un incontro con le parti sociali.

Il ministro dell’Economia riferisce alle commissioni di Camera e Senato sulle misure urgenti del governo per affrontare la crisi e per metà del tempo parla di riforme costituzionali (degli articoli 41 e 81) che hanno tempi lunghi mesi e anni. Solo in chiusura del suo intervento cita in modo sommario varie possibilità prese in considerazione dal governo. Su singoli temi riferisce dei “suggerimenti” contenuti nella lettera arrivata dalla Banca centrale europea e lo fa per dimostrare quanto possano essere ‘dure’ le misure chieste dall’Europa (libertà di licenziamento, riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici, ecc.), anche se si affretta ad aggiungere che sono provvedimenti sui quali il governo non ha intenzione di assecondare la Ue.

Il giudizio complessivo sull’intervento di Tremonti lo dà uno dei suoi grandi alleati: Umberto Bossi. «Tremonti mi è sembrato fumoso. Il problema è che o tagli le pensioni o tagli i patrimoni. Dunque o i poveri o i ricchi». Così il segretario della Lega Nord, ha commentato il discorso del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, durante al riunione odierna delle commissioni di Montecitorio sulla crisi». La ‘giustificazione’ del Ministro è stata tecnica: «Il governo ha annunciato che varerà un decreto legge ma è difficile prima di andare dal Capo dello Stato e a mercati aperti essere più precisi. Credo – ha aggiunto Tremonti – sia assolutamente fuori dalle regole in una sede in cui si deve parlare dell’articolo 81 parlare di altro…».

Ecco i singoli punti affrontati da Tremonti

POSSIBILI CONTRIBUTI DI SOLIDARIETÀ: EUROTASSA?
Sul lato delle entrate sono possibili «contributi di solidarietà». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’audizione in Parlamento, parlando delle ipotesi allo studio per la manovra.

TRA LE IPOTESI ANCHE DIRITTO DI LICENZIARE
Sul mercato del lavoro ci sono le ipotesi di mettere in campo «una spinta verso la contrattazione a livello aziendale, il superamento di un sistema aziendale rigido e il licenziamento e la dismissione del personale compensato con meccanismi di assicurazione più felici», una «sorta di diritto di licenziare», ma «compensato con migliori posti di lavoro». È quanto ha affermato il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’audizione alla Camera.

SU RENDITE TASSE A 20% ANCHE OK SUBITO, NON PER I BOT
«Sulle rendite finanziarie la scelta è stata definita con un allineamento delle aliquote. La scelta è stata fatta in sede di riforma ma non abbiamo nulla in contrario ad un intervento diretto». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’audizione in Parlamento spiegando che «fermi i titoli di Stato, e prevedendo una riduzione della tassazione della raccolta postale che è al 27%, tutti i titoli finanziari verrebbero tassati dal 12,5% al 20%».

C’È IPOTESI TAGLIO STIPENDI PUBBLICI MA NON È CERTA…
C’è l’ipotesi di tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici ma non è certo che il governo intenderà procedere su questa strada. A dirlo il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nel corso dell’audizione alla Camera. «C’è l’ipotesi di tagliare gli stipendi dei dipendenti pubblici – ha detto – ma tutto questo non è detto che debba essere oggetto di misure dal governo». «Le direttive europee indicano la libertà di licenziare e la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici. Ne discuteremo…».

SU STATALI E LICENZIAMENTI CI SONO STATE INDICAZIONI BCE
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha spiegato, nel corso dell’audizione in Parlamento, che la riforma del mercato del lavoro, con anche un più facile diritto a licenziare, così come anche l’ipotesi di taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici, sono i suggerimenti della Banca Centrale Europea. La lettera è “strettamente confidenziale e la diffonde chi la manda”, ha aggiunto Tremonti tornando sulle polemiche legate al testo della Bce.

INTERVENTO INCISIVO SUI COSTI DELLA POLITICA
«Bisogna intervenire con maggior incisività sui costi della politica. Dobbiamo tornare sulla materia non solo sui costi dei politici, non solo su quanto prendono ma anche su quanti sono. C’è un effetto di blocco, di manomorta…». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio
Tremonti, in audizione in Parlamento.

MENO CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO
Dobbiamo rendere più possibile flessibile il mercato del lavoro, ma senza abusare dei contratti a tempo determinato. La precarietà è negativa per l’economia.

LA CONVINZIONE DEL MINISTRO LIBERALIZZARE SUBITO TUTTI I SERVIZI PUBBLICI
Ipotesi del governo: cambiare anche l’articolo 41 della Costituzione. Tutte le norme sulle liberalizzazioni devono passare dalla modifica costituzionale. Ora siamo in un nuovo medioevo di norme.

CAMBIARE ARTICOLO 81 DELLA COSTITUZIONE
L’articolo 81 della Costituzione ha fallito, cambiamolo. Sulla crisi io non ho mai dispensato ottimismo… ha detto il Ministro. L’articolo 81 recita: «Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte». La modifica dell’articolo 81 della Costituzione per l’introduzione del vincolo obbligatorio del pareggio di bilancio è «necessaria». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’informativa davanti alle commissioni Bilancio e Affari costituzionali di Camera e Senato. «È evidente che dobbiamo cambiarlo – ha affermato – esiste un vincolo in tutta Europa». «L’articolo 81 – ha spiegato – non costituisce un caso di successo, siamo arrivati a fare il terzo-quarto debito pubblico del mondo, un record che viene avvicinato da altri paesi. Tuttavia la nostra è posizione oggettivamente straordinaria in rapporto al Pil». «È una scelta ragionevole e giusta» quella di costituzionalizzare il vincolo del pareggio di bilancio. È quanto ha ribadito il ministro dell’economia Giulio Tremonti parlando davanti alle commissioni riunite di Camera e Senato. La scelta di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione è «una scelta che segna la fine di un’epoca nella quale l’Occidente poteva piazzare titoli ai valori che voleva». Oggi viviamo in un’ epoca «che costringe a scelte di maggior rigore: non puoi spendere più di quello che prendi soprattutto se con riluttanza prendono i tuoi titoli». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in audizione in Parlamento.

STUDIAMO FORME PIU’ FORTI LOTTA EVASIONE
Il governo studia “forme più forti di contrasto all’evasione fiscale, soprattutto nei casi di omessa fattura o scontrino”. Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’audizione in Parlamento.

TRA IPOTESI PENSIONI ANZIANITA’ E DONNE
Tra le ipotesi allo studio figurano interventi sulle pensioni di anzianità e su quelle delle donne nel settore privato.

da www.unita.it

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ECCO COSA SUCCEDERA’ ALLE TASCHE DEGLI ITALIANI

Il faccia a faccia governo-parti sociali non scioglie i nodi sulle misure urgenti da adottare per anticipare il rientro di bilancio. Tra tagli alle pensioni, nuove ‘eurotasse’, tasse sui ‘patrimoni’, sulle rendite finanziare e sulle seconde case, sono molte le possibilità ancora in ballo. Ecco le più probabili.

CASA
Tra le ipotesi allo studio del Tesoro ci sarebbe anche una “patrimoniale sul latifondo immobiliare”: dunque seconde case e patrimoni di immobili in mano alla speculazione finanziaria. Uno studio dell’Agenzia delle Entrate segnala che su 58 milioni di immobili ci sono circa 10 milioni di case vuote o affittate in nero. Ogni intervento deve però fare attenzione anche ai proprietari di prima casa con mutuo a carico. Altra ipotesi allo studio è quella dell’aumento della ‘cedolare secca’ sugli affitti dal 20% al 23%.

PATRIMONIALE
Anche se più volte smentita (solo poche ore fa Berlusconi ha annunciato: «Finché governo io non si fa nessuna patrimoniale») sullo sfondo resta sempre l’ipotesi di colpire le grandi ricchezze con una tassa una tantum sulle grandi ricchezze liquide, la cosiddetta “patrimoniale”. Ma per un premier che smentisce c’è un alleato di governo che torna alla carica: «Forse bisognerebbe cominciare a pensare a una patrimoniale o a una tassa sulle grandi rendite finanziarie, perché oggi siamo nelle condizioni per farlo», ha detto qualche giorno fa il leghista Tosi. Favorevoli ad una tassazione straordinaria dei grandi patrimoni sono i sindacati. Resta la difficoltà di colpire i grandi evasori, i cui patrimoni, non sono censiti dal fisco.

FISCO
Oltre al taglio di molte agevolazioni fiscali, ci sarebbe la decisione di aumentare l’Iva con un aumento delle due aliquote di un punto percentuale, portando quella ordinaria al 20% e quella ridotta al 10%, mentre resterebbe invariate l’aliquota attualmente al 4%. Questi interventi dovrebbero però essere collegati con un ridisegno delle aliquote Irpef. Potrebbe essere anticipata anche la Imu, Imposta Municipale Unica e (forse) un ritorno dell’Ici sulla prima casa.

PENSIONI
La stretta del governo allontana il ritiro. Dimenticati i giovani, di Laura Pennacchi
È di pochi mesi fa una valutazione della Commissione Europea (organo principe di quell’Europa sempre invocata a paravento di scelte dovute spesso solo all’insipienza dei governi nazionali) che, nel comparare le previsioni per il futuro, riconosce all’Italia il primato nella capacità di aggiustamento e di contenimento della spesa pensionistica. Sono state le riforme promosse dal centrosinistra (nel 1995, nel 1997, nel 2006) a salvare dal collasso il sistema previdenziale italiano, assicurandogli al tempo stesso equità e sostenibilità finanziaria: la spesa, che in assenza di interventi avrebbe raggiunto il 23% del Pil, a regime si stabilizzerà intorno al 14%.
Di fronte alla mole dello sforzo compiuto (che in concreto ha significato un’enorme capacità di accettare da parte dei lavoratori e delle lavoratrici italiane una straordinaria riduzione delle promesse pensionistiche lasciate irresponsabilmente maturare nel passato), appare ancora più odioso che ora il governo Berlusconi, sotto l’urgenza di fare cassa, voglia reintervenire sulle pensioni, modificando fino al limite della soppressione il pensionamento di anzianità e accelerando per le donne del settore privato l’anticipazione a 65 anni dell’età per la pensione di vecchiaia.
Il pensionamento d’anzianità, dopo l’irrazionalità e l’ingiustizia dello «scalone» introdotto da Maroni e le modifiche razionalizzatrici e equitative apportate da Damiano, si stava appena riequilibrando sull’indubbio forte ridimensionamento già apportato e non ha davvero bisogno di nuovi scombussolamenti.
Ma ancor più grida vendetta contro lo Spirito Santo che si pensi per le donne un’accelerazione dell’anticipazione della soglia dei 65 anni non per utilizzare i relativi risparmi per finanziare servizi sociali fondamentali e «amici» del lavoro delle donne (piano per gli asili, congedi parentali, non autosufficienza, tutte politiche avviate dal centrosinistra e definanziate e sospese dal duo Berlusconi-Tremonti), ma per colmare buchi di bilancio opera della finanza creativa, dell’inerzia, della poca credibilità sui mercati, dell’incapacità della destra nazionale.
In verità, il sistema pensionistico italiano di un correttivo avrebbe bisogno, ma in una direzione completamente diversa da quella a cui si appresta il governo Berlusconi, cioè di dare più peso alle esigenze dei giovani. Tra le positive riforme degli anni passati, infatti, fondamentale è stato il passaggio dal sistema retributivo di calcolo della pensione al sistema contributivo, il quale però non consente l’accumulazione di un adeguato montante contributivo in presenza delle condizioni di ritardato accesso al mercato del lavoro, precarietà, discontinuità, che oggi caratterizzano i giovani.

MERCATO DEL LAVORO
Sacconi e l’ossessione dell’articolo 18, di Umberto Romagnoli
Dal giorno in cui ha comunicato alle parti sociali – era l’11 novembre 2010 – l’intenzione di elaborare uno statuto dei lavori, l’attuale ministro del lavoro non ha mai smesso di interrogare gli astri per sapere quando avrebbe potuto cominciare l’operazione di sostituzione e riordino normativo. Si direbbe che l’ora X scoccherà tra breve. Forse, oggi stesso Sacconi dirà che l’obiettivo di “ridurre almeno del 50%” la normativa vigente in materia di lavoro lo chiede l’Europa. Anche se, poiché l’Europa ha fretta, non ci sarà la possibilità di riesaminare con calma “gli oltre 15.000 precetti” che il suo staff ha conteggiato e selezionare quelli da riscrivere. Quindi, il ministro dirà che c’è soltanto il tempo necessario e sufficiente per decidere l’abrogazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori; che è poi la sola cosa che gli interessa realmente. E non per furia ideologica, ma per ragioni condivise dall’Europa. Per rilanciare cioè un’economia ferma ed insieme per abbattere il dualismo che spacca in due il mercato del lavoro: da una parte, i super-protetti e, dall’altra, i sotto-protetti flessibili e marginali. In realtà mentre non è affatto certo che si tratti di un incentivo occupazionale, è sicuramente una malvagità mettersi a tosare le capigliature più folte che ci sono in giro col pretesto che, in questa maniera, ai calvi cresceranno i capelli. Fuor di metafora: l’eliminazione della disparità di trattamento penalizzerà tutti gli insider di domani, quale che sia il loro numero effettivo. Sarebbe perciò più ragionevole non servirsi di quello specioso argomento. Tanto più che, se lo avesse voluto, il governo avrebbe potuto adoprarsi in tutti questi anni per ridurre le disparità del mercato del lavoro. Riconoscendo ai precari il diritto ad una retribuzione due o tre volte superiore a quella dei lavoratori di pari qualifica occupati a tempo indeterminato. Correggendo le distorsioni di una legislazione, la sua, che ammette l’assunzione di finti lavoratori autonomi (per cui anche un muratore deve farsi la partita-IVA del piccolo imprenditore) e di lavoratori incaricati di eseguire inesistenti “progetti”. Sì, c’è tanto da fare proprio col riformismo di cui il ministro si considera un maestro. Tranne che tornare al regime della licenza di licenziare nuovamente sottratta al controllo giudiziario, sia pure pagando una penale – come si chiamava una volta – più salata. Dopotutto, nel frattempo anche il pedaggio auto-stradale è aumentato. A questo punto, ci si chiede cosa scaturirà dall’incontro di oggi. Escluderei che si arrivi nell’immediato alla riscrittura della disciplina del licenziamento. Tuttavia, è realistico supporre che proprio questo è il tema centrale della complessa trattativa. Tutto dipenderà dalla scelta del governo. Ai comuni mortali resta la speranza che un governo bisognoso di coesione sociale non potrà permettersi la ricerca della rottura dell’unità sindacale appena ritrovata.

ASSISTENZA
Con i tagli lineari colpiti solo i più deboli, di Ruggero Paladini
Nei prossimi due anni una ventina di miliardi dovrebbero uscire fuori dalla spesa di assistenza e dalle agevolazioni fiscali; su circa 240 miliardi un terzo è costituito dalla spesa assistenziale. Già questo dato induce a pensare che nell’anno prossimo sia più probabile che le misure si concentrino su quell’insieme di deduzioni, detrazioni, aliquote ridotte che costituiscono quelle che sono definite come tax expenditures, cioè riduzioni d’imposta. Ben difficilmente, infatti, un ridisegno dell’assistenza può essere partorita dal Mef nel giro di poche settimane.
Il grosso delle agevolazioni fiscali riguarda l’Irpef; e la voce più rilevante sono le detrazioni per lavoro e per carichi familiari. La caratteristica di queste detrazioni è che sono decrescenti rispetto al reddito, e pertanto riducono l’imposta in modo più accentuato per i redditieri con redditi più bassi. Esse costituiscono dunque una componente importante del perseguimento dell’equità verticale (a maggior reddito maggiore incidenza fiscale) e dell’equità orizzontale (a parità di reddito la famiglia più numerosa, o con handicap, deve avere minor incidenza fiscale). È chiaro quindi che intervenire sulle detrazioni significa colpire in modo più accentuato operai, impiegati e pensionati.
Altre deduzioni e detrazioni in sede Irpef non sono collegate al reddito ma alla proprietà della casa d’abitazione, a versamenti a fondi pensione, a spese mediche, a interessi su mutui ipotecari, a premi di assicurazione, e via declinando. Le voci sono tante, ma quelle citate costituiscono oltre il 90% delle agevolazioni. Nel loro insieme queste agevolazioni tendono a crescere, in cifra assoluta, col reddito, ma in termini percentuali invece tendono a diminuire. Anche per queste riduzioni d’imposta, dunque, i tagli incidono di più, nell’insieme, sui redditi medio-bassi.
Non è questo, tuttavia, l’aspetto più negativo. Il punto è che i tagli colpiscono i contribuenti come una specie di roulette russa: la rendita catastale di una casa vecchia è più bassa di quella di una casa nuova, anche se il valore della prima è maggiore; chi è alla fine di un mutuo per la casa paga pochi interessi, mentre chi è all’inizio ne paga tanti; chi ha sostenuto una spesa medica rilevante quest’anno si salva, mentre chi la dovrà affrontare l’anno prossimo sarà colpito. Sull’assistenza, come si è detto, è da escludere un intervento organico, ma sono possibili misure parziali, in particolare sulle pensioni d’invalidità, indicate spesso da Tremonti come settore di sprechi e truffe. Che ce ne siano è indubbio, ma il modo migliore per affrontare il problema è un’intensificazione dei controlli, mentre tagli lineari non risolvono il problema e colpiscono persone che hanno tutti i diritti ad usufruire delle prestazioni. La spesa per assistenza in Italia è nettamente più bassa che negli altri grandi paesi europei; a parte l’indennità di accompagnamento i vari benefici sono sottoposti a diverse forme di prova dei mezzi (dagli assegni al nucleo familiare a quelli di maternità e per il terzo figlio alle pensioni sociali). Una razionalizzazione in materia sarebbe opportuna, ma occorrerebbe anche cambiare le regole che riguardano l’Isee (l’indicatore della prova dei mezzi). Ma su questo tema, connesso a quello dell’evasione, è difficile che questo governo, al di là delle parole, si decida ad intervenire.

LIBERALIZZAZIONI
Lobby e oligopoli risparmiati dal governo, di Antonio Lirosi
Cadute nel dimenticatoio le liberalizzazioni sono prepotentemente tornate di attualità: anche la Bce si è unita al drappello di coloro che le invocano per favorire la crescita. Nei tanti anni in cui ha governato il centro-destra le liberalizzazioni non sono mai state in programma, né potevano esserlo perché ciò avrebbe intaccato gli interessi di oligopolisti, lobbies e corporazioni facenti parte del suo blocco elettorale. E se in queste ultime settimane non sono più tabù, lo si deve soltanto al fatto che l’agenda viene condizionata da parti sociali e organismi internazionali. Il governo Berlusconi, oltre a sbagliare il segno delle numerose manovre varate, ha fatto di peggio nel campo delle liberalizzazioni: non solo non è stato in grado di presentare il disegno di legge annuale sulla concorrenza, ma la sua maggioranza ha depotenziato alcune delle misure delle lenzuolate di Bersani, quali quelle su polizze pluriennali, autoscuole, tariffe minime, parafarmacie, guide turistiche. Soltanto con l’ultima manovra dal governo è giunto, in modo confuso, qualche segnale in direzione opposta, anche se le norme approvate sui carburanti e sull’apertura dei negozi sono servite più a fini propagandistici che non a produrre effetti concreti. E poi come valutare il lancio del sasso nello stagno degli ordini professionali? Con il pronto ritiro della mano nel corso del varo del decreto-legge, tanto era radicale e goffo il tentativo di cancellare gli esami di stato e sopprimere gli Ordini senza una proposta organica di riforma. Liberalizzare è una cosa seria che richiederebbe una visione chiara degli obiettivi e una strategia riformista che non può essere improvvisata, se si vuole davvero scongelare la società da vecchi schemi corporativi; promuovere il merito e la concorrenza; suscitare speranza nei giovani; ridare potere di acquisto ai consumatori. E se oggi il nostro Paese non parte da zero, lo si deve alle riforme avviate dai governi di centro-sinistra che sono intervenuti organicamente per liberalizzare i settori dell’elettricità, del gas, della telefonia, dei trasporti e, senza alcun vincolo comunitario, il commercio, con la riforma Bersani del 1998 che ha abolito licenze e tabelle merceologiche. Tutto questo è stato possibile senza dover scomodare il nostro dettato costituzionale, di cui l’attuale articolo 41 può essere considerato un nonno lungimirante degli interventi di regolazione in chiave pro-concorrenziale. Dunque l’Italia ha oggi bisogno di un nuovo ciclo di liberalizzazioni, per aprire alla concorrenza mercati chiusi, per dare più potere ai consumatori, per eliminare ingiustificate barriere di accesso a categorie e professioni, per dotarsi di Autorità realmente indipendenti dal potere politico. Allora occorrerebbe portare subito a compimento la riforma del sistema delle professioni, da un lato modernizzando il ruolo e l’assetto degli Ordini (anche per ridurre privilegi e costi degli organi direttivi) che si dovrebbero occupare della tutela di interessi generali, quali la qualificazione degli operatori (senza vincoli numerici e accorciando la distanza tra la formazione e lo sbocco professionale), la corretta informazione agli utenti, la concorrenza leale, le pari opportunità di genere e generazione, e dall’altro lato, riconoscendo il ruolo delle libere associazioni costituite tra professionisti. Nel campo della distribuzione sarebbe poi utile ampliare il processo di liberalizzazione nella vendita dei medicinali e creare condizioni concorrenziali in tutta la filiera.

PRIVATIZZAZIONI
Vendere Eni ed Enel sarebbe il suicidio industriale, di Paolo Bonaretti
Privatizzare non è di per sé né un bene né un male per l’economia. Insomma possono esistere beni ed imprese pubblici gestiti bene e beni ed imprese private gestite male, e viceversa. Vi sono poi particolari categorie di beni, servizi e imprese, la cui gestione, le cui politiche è bene che rimangano nella sfera pubblica, a causa della loro valenza strategica o della loro rilevanza per la coesione sociale o per la sicurezza dello Stato. D’altra parte in un mercato e in uno Stato sani è bene che tutto ciò che non rientra in queste categorie venga lasciato alla libera iniziativa e impresa privata (profit, mutualistica, sociale), secondo un principio fondamentale di sussidiarietà.
Oggi, di fronte a una manovra finanziaria tutta da rifare, la questione “privatizzazioni “ rischia invece di venire proposta in chiave essenzialmente ideologica, pregiudicando la capacità industriale del Paese e in particolare il futuro di qualsiasi politica industriale. È ovvio: una politica di privatizzazione del patrimonio pubblico può contribuire a migliorare i conti pubblici, ma quali privatizzazioni, in che modo? Se si tratta di privatizzare quella parte di patrimonio pubblico inutilizzato, scarsamente produttivo, specie di carattere fondiario e immobiliare, o in settori dove il mercato fa egregiamente il suo mestiere, allora questa si configura come un’operazione salutare per l’economia.
Se invece si tratta (come è verosimile oggi) del settore energetico o di settori strategici con particolare riferimento ad Eni, Enel, Finmeccanica e alle public utilities (addirittura del settore sanitario!), è tutt’altra questione. La politica e l’industria dell’energia, delle risorse idriche e in generale delle tecnologie per l’energia e l’ambiente sono strategici. La politica industriale in questo campo sarà una delle maggiori chance dell’Italia nei prossimi anni: la presenza di grandi imprese nazionali capaci di competere ne sarà un pilastro fondamentale. A chi dovremmo lasciarle in mano o peggio ancora svenderle? Ad aziende straniere che operano negli stessi settori, casomai russe? Agli attori della finanza che oggi stanno speculando contro il nostro debito pubblico? O ad imprenditori poco avveduti che sfruttino gli asset esistenti e le loro capacità “tariffarie” dimenticandosi completamente degli investimenti? In questo caso la privatizzazione non è la soluzione. Può essere affrontata in modo graduale, con condizioni particolari, ma la definizione delle strategie industriali internazionali in questi settori sono una questione nazionale. Stesso ragionamento per settori ad alta tecnologia e forniture militari. Si aggiunga poi che la politica industriale ha bisogno di grandi imprese nazionali, anche per sostenere il sistema di piccole e medie imprese italiane.
Per le public utilities è necessario rimuovere tutte le condizioni di monopolio esistenti, evidenziando in tal modo anche quelle efficienti e inefficienti (che, queste sì, dovrebbero essere obbligatoriamente dismesse). Non si capisce invece perché “svendere” in tutta fretta il patrimonio degli enti locali : equivarrebbe ad aumentare le tasse locali, senza alcun principio di progressività. Allora, mi chiedo, non sarebbe meglio meglio richiedere un contributo di solidarietà a quel 10% di italiani più ricchi che negli ultimi 15 anni ha visto crescere la propria ricchezza, fino possedere oggi il 45% del totale nazionale?

da www.unita.it del 10 agosto 2011

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Fronda anti-Tremonti nel Pdl: “Il nostro voto non è scontato”
Il sottosegretario alla Difesa e deputatp del Pdl, Guido Crosetto
Stracquadanio, Crosetto, Malan e la Bertolini: vediamo il decreto

«Ora aspettiamo il decreto. Con una sola avvertenza. Il nostro voto parlamentare non è affatto scontato». È l’avvertimento lanciato da quattro parlamentari del Pdl (Giorgio Stracquadanio, Guido Crosetto, Lucio Malan e Isabella Bertolini) che hanno diffuso un comunicato congiunto intitolato «Tremonti a dir poco deludente».

«L’esposizione del ministro Tremonti, che ha anteposto il tema del vincolo costituzionale al pareggio di bilancio alle misure per raggiungere lo zero deficit nel 2013 – sottolineano i quattro parlamentari – ci aveva fatto credere che il ministro avrebbe colto l’occasione della crisi per essere all’altezza di quello che Tremonti ha definito “un tornante della storia”. Ci aspettavamo che il ministro – il quale ha espresso il suo favore per la proposta di riforma dell’articolo 81 presentata da Nicola Rossi – fosse conseguente alle sue parole».

« Nella proposta di Nicola Rossi è contenuta una percentuale, il 45%, che rappresenta il limite massimo di spesa pubblica in rapporto al Pil e quindi il limite massimo della complessiva tassazione. Oggi quella percentuale – aggiungono – è al 52% e dunque un ministro conseguente alle premesse costituzionali esposte avrebbe dovuto indicare la strada per ridurre di almeno sette punti la spesa pubblica. E su questo il Parlamento avrebbe dovuto discutere. Invece, niente. Quando il ministro è passato a indicare come raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 è tornato rapidamente al vecchio metodo: come finanziare il deficit con entrate straordinarie, proseguendo in quella politica che ha alimentato il mostro del debito pubblico che oggi ci sta distruggendo. La crisi può essere occasione per far approvare la riforma della spesa previdenziale, della spesa sanitaria, del costo esorbitante della pubblica amministrazione. Oppure può essere il vicolo cieco in cui classi dirigenti irresponsabili condannano i loro paesi al declino e all’impoverimento diffuso. A parziale scusante del ministro – concludono – c’è solo il fatto che tutte le opposizioni, nessuna esclusa, sono convinte che la crisi vada affrontata con la solita ricetta: tasse, tasse e ancora tasse».

da www.lastampa.it

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Bossi: «Tremonti non mi ha convinto. Bisogna dire anche dei no o è crisi»
Il leader della Lega: «Dal ministro discorso fumoso. La lettera della Bce? Forse è stata scritta a Roma»

MILANO – Il controcanto agli interventi ufficiali, alle riunioni delle Commissioni, persino ai vertici istituzionali è arrivato, per tutto il giorno e a più riprese, da Umberto Bossi. Il leader della Lega aveva parlato in mattinata, mentre era in corso l’audizione di Tremonti davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. E in serata, arrivando a Palazzo Grazioli per un vertice con Berlusconi e lo stesso ministro dell’Economia, ha dato un giudizio netto: «Sulle pensioni Tremonti non mi ha convinto. Bisogna saper dire anche dei no, perché altrimenti si rischia una crisi».

L’INCONTRO A CASA BERLUSCONI – Al vertice con Bossi e Berlusconi ha partecipato anche lo stesso Tremonti. con il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, il vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, il segretario politico del Pdl, Angelino Alfano, e i capogruppo del Pdl di Camera e Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri.

LA LETTERA – Sulla famosa lettera della Bce, Umberto Bossi svela i suoi sospetti. «Temo che quella lettera sia stata fatta a Roma» dice, spiegando anche di aver paura che lrappresenti di fatto un «tentativo di far saltare il governo». Un tentativo, viene chiesto a Bossi, che arriva da parte interna o internazionale? No», risponde il leader della Lega. E aggiunge: «Draghi da qui è andato in Europa ma è sempre a Roma».

L’INTERVENTO DI TREMONTI E LE PENSIONI – Polemico Bossi lo è anche nei confronti di Giulio Tremonti. Secondo il leader della Lega, infatti, l’intervento del ministro dell’Economia sulle misure anticrisi è stato «troppo fumoso». «Abbiamo annunciato un decreto legge – replica il ministro dell’Economia -. Ma è difficile, prima di andare dal capo dello Stato e a mercati aperti, essere più precisi di come sono stato io».

PENSIONI E PATRIMONIALE – Il numero uno del Carroccio rivela, poi, che il governo non ha ancora deciso se intervenire sulle pensioni o se stia pensando a una patrimoniale. in ogni caso Bossi è convinto che «serve un compromesso». «Bisogna capire cosa fare – dice – dipende da come si toccano le pensioni. Sicuramente questo è un bivio importante». Ma «Tremonti non ha ancora deciso, non lo devo dire io. Lui e il premier non hanno ancora deciso». «Il problema – osserva il Senatùr – è che o tagliano le pensioni o i patrimoni: dunque, o tocchiamo i poveri o i ricchi. Noi abbiamo le nostre idee e le presenteremo, ma in ogni caso la gente non vuole che si tocchino le pensioni».

ATTACCO AL PD – Bossi ne ha anche per Pier Luigi Bersani. «La prossima volta che vince le elezioni, faccia un governo più ampio», dice il leader leghista incalzato dai cronisti sulle parole del segretario dei democratici. Prima dell’audizione di Tremonti, il Senatùr era apparso ottimista. «Oggi sarà una buona giornata. Ieri abbiamo parlato di rotture di coglioni», aveva detto commentando il vertice di mercoledì a Palazzo Grazioli con il premier.

da www.corriere.it

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“Il fumo di Tremonti”

La testimonianza della sen. Bastico che oggi ha partecipato ai lavori delle commissioni congiunte di Camera e Senato

La sen. Mariangela Bastico ha partecipato oggi ai lavori delle Commissioni congiunte I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) di Camera e Senato. Ecco di seguito il suo commento alle proposte del governo – illustrate dal ministro Tremonti – per far fronte alla crisi. «L’atteggiamento di Tremonti di fronte alle commissioni congiunte e’ stato davvero sconcertante: da una lato l’assenza di proposte, le incertezze, la “fumosità”, come ha sostenuto Bossi, degli argomenti; dall’altro l’arroganza delle risposte del Ministro, la dichiarazione che il Governo non chiede aiuto. Del tutto improponibile la pretesa del Ministro di limitare la discussione alla modifica dell’art. 81 della Costituzione, senza affrontare il tema crisi e le proposte per la nuova manovra che sarà approvata a giorni ed ammonterà a 20 miliardi di euro .

Tremonti non ha saputo indicare quali saranno i contenuti di una manovra molto dura, necessaria per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, con un anno di anticipo rispetto alla manovra approvata dal Parlamento 20 giorni fa: l’ha annuncia e basta, confermando la genericità e il nulla con cui ieri si era presentato alle parti sociali.

Bersani ha denunciato che il cuore della crisi italiana sta nell’inadeguatezza del governo: la crisi è politica. Con amarezza il segretario del Pd ha rilevato che l’Italia è costretta a sottostare non solo ai vincoli ma anche alle ricette della BCE per uscire dalla crisi. E ha concluso avanzando quattro proposte concrete: riduzione della spesa della P.A e della politica, senza tagliare sul sociale; liberalizzazioni; riduzione dell’evasione fiscale; prelievo fiscale a chi ha di più. Rimane lo sconcerto, dopo l’incontro di oggi, per la pervicacia con cui questo governo vuole restare al suo posto nonostante la palese incapacità ad affrontare la crisi. Irresponsabile non è chi chiede un cambio di governo ma chi insiste nel tenerlo in vita contro gli interessi del Paese».