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"L'economia reale soffre", di Daniele Lepido

Se le Borse sono orologi rotti, l’economia reale è il tempo che smette di scorrere, la sospensione del mondo causata dall’incriccarsi degli indici. Paradossi e dolori di questa mezza estate, fatta non solo di spread troppo larghi e ottovolanti virtuali, ma anche di produttività mancata, esportazioni a rischio, aziende timorose dell’inasprirsi del credito e impaurite dell’incertezza sui tassi. Come tre anni fa, quando l’America crollò una prima volta, inghiottita dalla voragine Lehman Brothers.

Oggi gli effetti della crisi finanziaria sull’universo produttivo iniziano a impensierire gli economisti, che annunciano per il nostro Paese un autunno nero, dopo un inizio d’anno tanto scoppiettante quanto illusorio, fatto di vendite all’estero che nei primi cinque mesi avevano corso a ritmi «tedeschi», crescendo del 17 per cento.

Tutto da rifare: lo spiega l’ultima analisi mensile del Centro studi di Confindustria, secondo la quale per l’Italia la crescita nel terzo trimestre sarà «quasi nulla», dopo che nel secondo trimestre si era avuto un aumento dell’1,6% della produzione industriale, «concentrato nella prima parte del periodo», che ha causato una temporanea accelerazione del Pil. Concetti ribaditi proprio ieri anche da Unioncamere, che sul fronte del lavoro stima un 2011 ancora in sofferenza, con un saldo negativo per 88mila addetti e un calo dell’occupazione dello 0,7%.

«Ci troviamo di fronte a una crisi simile a quella del 2008 – racconta Luigi Campiglio, economista dell’Università Cattolica – anche se gli impatti andranno ancora quantificati e potrebbero essere meno devastanti. Ma per l’Italia, pur con tutti i tagli di spesa necessari, c’è un problema forte sugli investimenti reali, un piano che dia stabilità al sistema industriale e rilanci la produttività».

Il problema delle esportazioni, tra i pochi motori della ripresina di primavera, è uno dei nodi cruciali della mannaia che potrebbe colpire l’Italia. Perché in assenza della domanda estera le nostre aziende – dalla meccanica all’alta tecnologia – rimpiomberebbero nel limbo del 2008, quando le disdette di ordini e commesse da Paesi come Francia e Germania bloccarono il rilancio di alcuni settori per almeno due anni. E poi l’enigma del costo del denaro, che significa prestiti e credito. Qui dòmina un cauto ottimismo e forse c’è da sperare in un cambio di rotta della Bce sul trend rialzista dei tassi, difficoltoso in un contesto a rischio recessione e di inflazione all’ingiù, con la rapida discesa del prezzo del petrolio.

«L’Euribor sta subendo pressioni al ribasso – sostiene Fabrizio Guelpa, responsabile ufficio industry & banking dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo – perché si sta indebolendo l’aspettativa in autunno di un altro aumento del Refi (il tasso Bce), che era diffusa prima dello scoppio della crisi sui debiti sovrani».

C’è da chiedersi, poi, se esiste per l’Italia un rischio credit crunch, causato più o meno direttamente dall’aumento degli spread e quindi dal deteriorarsi del debito sovrano. «Le imprese italiane ricorrono molto poco al funding di mercato e il canale principale di finanziamento rimane quello bancario – continua Guelpa – il probabile allargamento degli spread delle obbligazioni bancarie sulle nuove emissioni, in seguito al maggior rischio paese, solo nel medio termine dovrebbe avere un effetto rilevante sul costo medio del funding per le banche e di conseguenza per le imprese». Infatti il flusso di emissioni lorde mensili in rapporto allo stock di obbligazioni è pari al 2-2,5% e un aumento stabile di 100 punti base dello spread per le obbligazioni bancarie comporterebbe in un anno un impatto teorico dello 0,25 per cento.

«Ma questa è anche una crisi politica e di reputazione – dice Cecilia Guerra, ordinario di economia pubblica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia – e lo dimostra il fatto che l’Europa si è mossa per acquistare i nostri titoli di Stato in modo straordinariamente lento, senza troppa convinzione. Stiamo perdendo competitività e per stimolare la domanda interna si potrebbe puntare su settori come i servizi alla persona».

Quale crescita, quindi, e quale riscatto per il nostro mondo produttivo? «Le opportunità dell’Italia di generare maggiore crescita economica – spiega Pietro Reichlin, economista della Luiss – dipendono crucialmente dalla capacità di investimento delle imprese e da un rafforzamento delle infrastrutture materiali e immateriali, ma queste componenti della spesa saranno le prime vittime dell’instabilità finanziaria».

Segno che le Borse di tutto il mondo, con i loro cappellai matti, potrebbero incidere sempre di più sul tempo dell’economia e sugli orologi della realtà.

Il Sole 24 Ore 12.08.11