attualità, politica italiana

"Tasse, il sogno impossibile di Berlusconi", di Mattia Feltri

“Le ridurrò da domani”: 17 anni di promesse, poi l’aumento.
Una aliquota «Non possiamo realizzare la nostra riforma domattina», disse Berlusconi il 2 marzo del 1994. Era un Berlusconi molto americano, sull’economia lavorava il liberale Antonio Martino e la riforma diceva: flat tax, cioè aliquota unica al 33 per cento. Perché qui «i governi per risanare la finanza pubblica hanno accresciuto le entrare», diceva Berlusconi. E allora rivoluzione! Flat tax e poi detrazioni fiscali in funzione del numero dei familiari, riduzione del numero delle imposte (una ventina in tutto), maggiore flessibilità del sistema, Iva ridotta a due-tre settori, buono-scuola e buonosanità alle famiglie più povere. «Panzane», disse Giulio Tremonti che era in campagna elettorale coi pattisti di Mario Segni. «Miracolismo finanziario», aggiunse. E infatti Forza Italia vinse le elezioni, Tremonti lasciò Segni e passò alle Finanze e Martino se ne andò agli Esteri. E di flat tax non si sentì più parlare.

Due aliquote Di flat tax non si sentì più parlare perché si trovò una soluzione molto migliore dell’aliquota unica: due aliquote. Nel contratto con gli italiani, firmato nello studio di Bruno Vespa, Silvio Berlusconi promise che avrebbe applicato l’aliquota del 23 per cento ai redditi fino a 200 milioni di lire e l’aliquota del 33 per i redditi oltre. Era il 2001. Berlusconi tornò a Palazzo Chigi e, attenzione, la promessa non andava mantenuta entro domattina, ma entro la legislatura. Una promessa sacra: «Se non ci riusciamo è inutile stare qui a dannarci. Se non ci riuscirò non mi ricandido». Lo disse che era già il 2004. La legislatura si sarebbe conclusa nel 2006. «Non riuscirò a ottenere due aliquote», spiegò affranto Berlusconi soltanto cinque mesi più tardi.

Tre aliquote E se non si riescono a fare due aliquote? Se ne fanno tre. «Come sapete, le aliquote fiscali si ridurranno a tre: 23, 33 e 39 oppure 42 per cento, dobbiamo sederci intorno ad un tavolo per decidere», disse un ottimista Silvio Berlusconi nel settembre del 2004.

Tre aliquote e un quarto Ci sono riforme epocali, rivoluzionarie, che non si possono fare entro domattina e così le tre aliquote si complicarono un poco (e siamo giunti al novembre del 2004): «La riforma fiscale ricomprenderà tre aliquote, per quanto riguarda l’Irpef, al 23, 33 e 39 per cento, con una aggiunta di un 4 per cento per i redditi sopra i 100 mila euro come contributo di solidarietà», dettagliò ai giornalisti un orgoglioso Berlusconi. Comunque la riforma è straordinaria, ambiziosa eccetera e non si fa domattina e infatti ci furono ulteriori evoluzioni. Anzi, tuffi nel passato. Una aliquota: raggiungere il traguardo dell’aliquota al 33 per cento è «possibilissimo» (Berlusconi, marzo 2008). Due aliquote, una al 23 e l’altra al 33 per cento: «Sarebbe più razionale» (Berlusconi, gennaio 2010). Tre aliquote: «Ridisegneremo l’impianto delle aliquote, ve ne saranno solo tre rispetto alle attuali cinque, e più basse». (Berlusconi giugno 2011).

Dolci evasioni Una tale feroce guerra al sistema fiscale ha delle giustificazioni etiche. «Se si chiede una pressione del 50 per cento, ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere». «E’ una verità insita nel diritto naturale». «Non bisogna chiedere più di un terzo di quanto si guadagna altrimenti è una sopraffazione». «Se lo stato mi chiede il 50 e passa per cento, sento che è una richiesta scorretta».

Se non ora, quando?
Dunque, priorità assoluta sebbene non si pretende che si faccia tutto entro domattina. Su Internet si trovano ancora i titoli dei giornali, titoli storici. Per esempio. La Stampa, 2001: «Tagli alle tasse solo dal 2002». Il Messaggero, 2002: «Berlusconi: meno tasse dal 2003». MilanoFinanza, 2003: «Tasse più leggere nel 2004». La Stampa, 2004: «Berlusconi conferma: meno tasse entro il 2005». Il Giornale, 2005: «Rispetteremo i patti: meno tasse entro il 2006».

Se non questa, quella?
Perché poi un conto è l’Irpef, le aliquote, quest’anno o l’anno prossimo, ma le tasse sono numerose, si interviene su balzelli particolarmente odiosi. Ricordate l’Irap, l’imposta sulle attività produttive? Berlusconi non l’ha mai amata: «E’ una rapina»; «eutanasia fiscale»; «dies irap»; «iniqua, la abrogherò». Tutte queste cose le ha dette dall’opposizione. Al governo rivide leggermente il giudizio: «Anomala»; «esamineremo l’abolizione»; «la ridurremo»; «non eliminare ma modificare». Nel 2006 ritornò all’opposizione: «E’ una rapina»; «odiosa»; «assurda» e così via. Naturalmente l’Irap c’è ancora poiché certe tasse non è facile abolirle così, domattina.

Compendio
Per i più distratti, un breve elenco di altre tasse di cui Berlusconi annunciò l’abolizione e che oggi ci sono ancora: bollo auto, bollo moto, tassa sui rifiuti, canone Rai, tassa di successione, tassa sul caro estinto.

Le mani nelle tasche
Da un certo punto in poi, ma molto presto («è quasi un miracolo non avere aumentato le tasse», dicembre 2001), Berlusconi sperimentò un nuovo tipo di annuncio: il non aumento. «Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani», ripetuto sino a 48 ore fa, è uno slogan del settembre 2002. Non metteremo le mani nelle tasche, niente patrimoniali, niente prelievi aggiuntivi, niente contributi di solidarietà. Adesso però le cose cambiano. E da domattina.

La Stampa 13.08.11