attualità, politica italiana

"Il popolo dei forzati del fisco", di Maurizio Ricci

Solo 70mila autonomi dichiarano più di 90mila euro. L´evasione distorce l´attendibilità dei dati sui redditi. La vera piramide sociale del Paese non è quella delle statistiche ufficiali. La ricchezza netta delle famiglie italiane è pari, in media, a 153 mila euro.Nel 2010, in Italia si sono vendute, fra fuoristrada e deluxe, un po´ meno di 350 mila vetture di grossa cilindrata. Chi paga? Il conto della megastangata, servita in due razioni dal governo, ricade in larga misura sui ceti medi e popolari. Colpiti, a luglio, dai tagli sulle deduzioni fiscali, sulle indennità assistenziali, sugli asili e gli altri servizi che i Comuni, con i bilanci all´osso, saranno costretti a ridurre. E, adesso, dai blocchi delle tredicesime e dai licenziamenti facili. Ma, nella “Manovra 2”, fa capolino l´intenzione di chiamare all´appello anche chi sta all´altro capo della piramide sociale. Sui ricchi si abbatte il rincaro delle tasse sulle cedole dei fondi e delle obbligazioni, in parte compensata dalla minore tassazione dei depositi bancari. E, soprattutto, il contributo di solidarietà, rispettivamente del 5 e del 10 per cento, per i redditi superiori ai 90 mila e ai 150 mila euro, lordi. Tremonti scommette di ricavare da questo contributo 1 miliardo di euro l´anno. Su una manovra che supera abbondantemente i 100 miliardi di euro su tre anni, è un contributo limitato. Ma basta per dire che anche i ricchi pagano. Di quali ricchi, però, stiamo parlando?
Secondo i dati del ministero dell´Economia, solo l´1,2 per cento dei contribuenti dichiarava, nel 2009, un reddito superiore a 90 mila euro. In sostanza, un po´ più di 500 mila persone. Mentre constatate, nello specchietto retrovisore in autostrada, che quella è la seconda Mercedes che vi sorpassa in pochi secondi, è probabile che vi vengano dei dubbi. In effetti, nel 2010, in Italia si sono vendute, grosso modo, fra fuoristrada e deluxe, un po´ meno di 350 mila vetture di grossa cilindrata, quei bestioni che, solo all´acquisto, costano lo stipendio netto di un anno del più povero dei super-ricchi. Nel 2007, erano oltre 450 mila. Possibile che i 500 mila megacontribuenti si possano permettere quasi una Mercedes nuova all´anno? In effetti, secondo l´indagine campione della Banca d´Italia, i capifamiglia italiani che guadagnavano più di 90 mila euro l´anno (nel 2008) non sono l´1,2 per cento, ma il 2,5 per cento del totale, per un reddito medio di 130 mila euro. Insomma, un milione anziché 500 mila: il doppio. Ovvero, la metà dei super-ricchi italiani risulta renitente alla leva Tremonti.
Per capire chi sono i renitenti, cominciamo a vedere chi è che risulta straricco, anche per il fisco. Secondo i dati elaborati da Manageritalia, per conto della Cida, il sindacato dei dirigenti aziendali, l´86 per cento dei contribuenti che denunciano più di 90 mila euro l´anno sono lavoratori dipendenti e pensionati. Nello specifico, circa 300 mila dirigenti e quasi 140 mila pensionati. Sono i forzati del fisco, quelli chiamati a pagare sempre, senza se e senza ma, sulla propria busta paga. Accanto a loro, in questo esercito di spremuti dall´erario che si prepara ad una nuova torchiatura, un manipolo di avvocati, architetti, farmacisti, gioiellieri, notai, negozianti e pizzaroli: in tutto, imprenditori e lavoratori autonomi sono 60-70 mila, gli abitanti di una media città di provincia. Questa ripartizione non è del tutto irrealistica. L´Istat censisce 17 milioni di lavoratori dipendenti e quasi 6 milioni di indipendenti: poco più di un terzo. Ma, a inquinare il quadro, nelle tabelle dell´istituto di statistica sugli indipendenti ci sono i plotoni di co. co. co e di bancarellari ambulanti stranieri. Per stare ai dati della Banca d´Italia, i capifamiglia imprenditori o autonomi sono il 12,5 per cento del totale. A occhio, a prima vista, con i dati del fisco ci siamo.
Ma questo presuppone che i lavoratori autonomi si spalmino nella piramide dei redditi, più o meno nella stessa proporzione, dalla base al vertice. Questo, in effetti, risulta da quanto hanno dichiarato, ad esempio, al fisco nel 2009. A parte notai (oltre 400 mila euro) e farmacisti (che trattano con la sanità pubblica: 126 mila euro), i medici dichiarano, in media, meno di 60 mila euro (lorde). I commercialisti meno di 50 mila. I dentisti meno di 45 mila, appena più degli avvocati. Gli assicuratori circa 30 mila (sempre lorde). Architetti e geometri fra 25 e 28 mila, poco più di mille euro nette al mese. I concessionari di automobili 18.400 euro l´anno, più o meno quanto un maestro elementare. Sempre più, comunque, dei gioiellieri, costretti a sbarcare il lunario con un reddito medio al di sotto dei 16 mila euro l´anno, la busta paga di un precario.
A guardare lo studio, i vestiti, l´auto del vostro dentista, vi vengono dei dubbi. Anche alla Banca d´Italia. Secondo i calcoli di via Nazionale, infatti, imprenditori, liberi professionisti, commercianti, non si distribuiscono affatto, nella stessa proporzione, lungo la piramide dei redditi. Al contrario, il 56 per cento degli imprenditori e dei liberi professionisti, un terzo dei commercianti e degli artigiani rientra nel 20 per cento più ricco del paese. Del resto, sono stati loro ad essere premiati dal lungo ristagno che, dal 1993, la data dell´ultima grande stangata di governo, imprigiona l´economia italiana. Nei 15 anni dal 1993 al 2008, prima, cioè, dell´ultima crisi, il reddito delle famiglie italiane, al netto dell´inflazione, è salito del 12 per cento, meno dell´1 per cento l´anno. Ma non è andata nello stesso modo per tutti, forse a dimostrare che le stangate non lasciano gli stessi segni a chiunque. In questi 15 anni, il reddito medio dei lavoratori dipendenti è salito, senza contare l´inflazione, del 4 per cento. Di fatto, le buste paga sono rimaste, più o meno, più o meno, quelle dei tempi di Tangentopoli e del governo Amato. Al contrario, i redditi di imprenditori, liberi professionisti, commercianti e artigiani sono arrivati a gonfiarsi, anche nonostante la brusca caduta degli ultimi anni, del 25 per cento. In soldoni, tolta l´inflazione, la busta paga dell´impiegato, fra il 1993 e il 2008, è passata da 1.000 a 1.040 euro. Il compenso dell´idraulico da 1.000 euro a 1.250.
Nulla di tutto ciò, a quanto pare, è noto al fisco. Assai più candidi con gli intervistatori della Banca d´Italia di quanto siano con gli agenti delle Entrate, gli stessi interessati, tratteggiando i propri redditi, disegnano una piramide sociale in cui chi non dipende dalla busta paga tende ad addensarsi nelle fasce alte. Solo il 10 per cento dei lavoratori dipendenti dichiara di guadagnare più di 60 mila euro l´anno. Mentre lo dice (alla Banca d´Italia) il 25 per cento dei lavoratori autonomi e indipendenti. Ad un risultato analogo si arriva se, invece del reddito, si usa un parametro assai più efficace per disegnare la piramide sociale italiana, al di là della nebbia delle denunce dei redditi: la ricchezza, ovvero il reddito accumulato negli anni. L´Italia vive, infatti, la singolare contraddizione di essere, sulla base dei dati ufficiali, un paese ricco, con redditi bassi. La ricchezza netta delle famiglie italiane è pari al 5,7 per cento della ricchezza mondiale, mentre siamo solo il 3 per cento del Pil e l´1 per cento della popolazione globale. E´ una ricchezza media, naturalmente, ma il dato proietta, in tempi di discussione sul declino nazionale, un paradosso. Nessun paese sviluppato al mondo è così ricco, rispetto al reddito disponibile: siamo otto volte più ricchi di quanto riusciamo a produrre in un anno. Negli Stati Uniti il rapporto è 5 a 1. Vicino ai nostri livelli arriva solo la Gran Bretagna.
Una parte cospicua di questi soldi è gelosamente custodita all´estero: 150 miliardi di euro, secondo gli ultimi calcoli di Via Nazionale, in barba allo scudo fiscale Tremonti. Il resto, in case e in titoli, è distribuito in Italia secondo uno schema facilmente ricostruibile. La ricchezza netta delle famiglie italiane è pari, in media, a 153 mila euro. La ricchezza media di un lavoratore dipendente è 122 mila euro, quella di un lavoratore autonomo, imprenditore o libero professionista, è 290 mila. Dai dati della Banca d´Italia si ricava, dunque, chi sarebbe stato la vittima di una imposta patrimoniale, di cui si è a lungo parlato. Solo il 6,5 per cento dei lavoratori dipendenti dispone di un patrimonio, immobili compresi, superiore ai 500 mila euro. Mentre la quota sale al 25 per cento per imprenditori e liberi e professionisti. Quanto alle seconde case che vedete, ogni mattina, dalla spiaggia: ci sono, statisticamente, due possibilità contro una che siano di un avvocato o di un droghiere, piuttosto che di un impiegato.

La Repubblica 14.08.11