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"Nel giorno delle deroghe ai contratti nazionali torna l'attacco all'art.18", di Bruno Ugolini

È un trucco quello adottato dal governo sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la norma che impedisce i licenziamenti facili. Hanno giocato come dei prestigiatori facendo scrivere alle agenzie di stampa: «l’ articolo 18 non sarà toccato». Poi uno va a vedere e scopre che se ora non verrà toccato, più tardi sì. L’esecuzione sarà affidata alle parti sociali disponibili che nel contratto aziendale, una volta seppellito quello nazionale, potranno scrivere molti tipi di deroga, compresi quelli relativi ai licenziamenti e quindi all’articolo 18. E laddove, come spesso avviene, non esistono strutture sindacali? Qualcuno metterà in piedi un sindacato giallo. Certo, forse non si potrà licenziare uno perché è iscritto alla Cgil, come si faceva ai vecchi tempi. Niente «licenziamenti discriminatori». E però si potrá spedire a casa uno che non appare abbastanza svelto nello spostare i pezzi o che non si mostra ossequente verso il capo di turno. E così il lavoratore non solo sarà colpito da una gragnola di colpi (tariffe dei servizi aumentate da comuni e regioni, assistenza negata ai genitori malati, aumenti del costo della vita). Avranno anche sulla testa, una volta in fabbrica, la spada di Damocle di un improvviso licenziamento perché osa protestare. Ecco perché nel centrodestra quella parolina «licenziamenti» piace. L’aveva tirata fuori, quasi come per caso, Giulio Tremonti nella sua flautata seduta parlamentare addebitandola, con palese inganno, alla lettera segreta dell’Unione Europea. La verità è che in molti esponenti del centrodestra permane un’acuta nostalgia di tempi andati, quasi medioevali, quando era in voga il cosiddetto licenziamento «ad nutum». Il padrone oun suo rappresentante, il caporeparto, alzava un dito verso una persona, e quella era destinata a cessare il rapporto di lavoro: licenziato. Tutto questo servirà all’economia del Paese? Provo a mettermi nei panni di un imprenditore. Un uomo, o una donna, proprietari di una media azienda, magari situata nel favoloso Nord-Est. Legge tutte le mattine i giornali, guarda la televisione, assiste con gli occhi sbarrati e i pensieri confusi, al crollo dell’ economia mondiale,non sa che cosa fare per salvaguardare il futuro della propria impresa già assillata da mille problemi. Eche cosa legge, intuisce, vede? Cheil governo, tramite, i solerti ministri Tremonti e Sacconi, spesso dichiarati eredi di una gloriosa tradizione socialista, quella di Turati, Matteotti, Buozzi, Pertini, Nenni, Lombardi, Brodolini, Giugni, gli offrirebbero uno scalpo fondamentale: l’articolo 18. Una ricetta accompagnata dalla ennesima drammatica frattura fra i sindacati, da un possibile sciopero generale capace di catalizzare il malcontento di una discreta parte del Paese, leghisti compresi. Questo sarebbe il toccasana che dovrebbe ridare a quell’ imprenditore o imprenditrice, la fiducia nei mercati, la voglia d’investire, di assumere, di rilanciare l’impresa. Eppure la stessa Confindustria della signora Marcegaglia aveva fatto capire come il Paese più che mai avesse bisogno di coesione, unità, non di scontri sociali. C’è però chi dice, anche a sinistra, che cancellando la protezione dettata dall’articolo 18, ma valida solo nella grandi e medie imprese, si aprirebbe la strada del paradiso per i precari. Tutti destinati ad essere assunti quando fosse imperante la legge per cui tutti potrebbero essere però licenziati, sia pur con qualche motivazione. E così facendo, però, quel futuro nuovo contratto «a tempo indeterminato » non sarebbe affatto a tempo indeterminato. E nessuno potrebbe dimostrare, ricorrendo alle statistiche, che i licenziamenti facili sono la strada maestra per incrementare l’occupazione, per aiutare la crescita economico- produttiva. È un’equazione che non sta in piedi nel nostro e in altri Paesi (in Usa i licenziamenti facilissimi non hanno fermato la crisi). Se avesse un fondamento bisognerebbe dimostrare che in quell’epoca del licenziamento «ad nutum», negli anni 50, prima della riscossa operaia, prima dello Statuto dei lavoratori, voluto da ministri quelli sì socialisti, le imprese erano rigonfie di lavoratrici e lavoratori. Anche in Sicilia, anche in Calabria, in Campania c’era forse e non ce ne siamo accorti un tasso di disoccupazione di tipo norvegese? Senza contare il fatto che anche le protezioni previsto da questo Statuto dei lavoratori, dai governanti considerato «antiquato», spesso e volentieri, quando soffia la crisi, viene spazzato via. Lo dimostra l’elenco delle aziende che ogni giorno chiudono i battenti e lasciano a casa i lavoratori, per sempre o nel limbo della cassa integrazione. E i primi ad essere colpiti sono proprio loro, i giovani. Il centro di ricerche DataGiovani ha reso noto che oltre 427 mila giovani nel 2010hanno perso un posto di lavoro che avevano nel 2009. I licenziamenti facili ci sono già e sono frutto della Grande Crisi. Non c’è proprio bisogno di agevolarli con nuove norme. Non serve a loro e non serve agli imprenditori. Sarebbe necessaria invece una politica atta a incrementare la crescita, a dare uno scossone all’economia, a impedire quell’abuso di precari che dispiace perfino a Tremonti, riconsegnando loro diritti e tutele. Tagliando, per combattere il soffocante debito pubblico, privilegi e rendite, non tagliando il mondo dei produttori, quelli che formano la ricchezza del Paese. Loro sono le fondamenta, i nostri pilastri, anche per affrontare il debito pubblico.

L’UNità 14.08.11

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“Colpiti i più deboli e chi paga le tasse contro questa manovra sarà sciopero”, intervista a Susanna Camusso di Roberto Mania

Segretario Camusso, lei mercoledì scorso, dopo l´incontro con il governo, parlò di possibile sciopero generale contro la manovra economica in preparazione. Ora il decreto legge dei sacrifici è stato approvato: l´ipotesi dello sciopero si avvicina o si allontana?
«Dopo l´incontro con il governo dissi una cosa precisa: se la manovra avesse avuto tratti di forte iniquità noi l´avremmo contrastata anche con lo sciopero generale».
E ora cosa dice?
«Ora lo confermo. E aggiungo che il 23 agosto ci sarà una riunione straordinaria dei segretari generali delle categorie e delle strutture territoriali della Cgil per decidere la data della mobilitazione».
Quindi proclamerete lo sciopero?
«Non vedo un altro modo per cambiare l´iniquità di questa manovra».
Ma in un momento di emergenza nazionale, in cui da più parti si invoca la coesione, il ricorso al conflitto le sembra la soluzione più efficace?
«Guardi, questo è un interrogativo che, ovviamente, ci siamo posti anche noi. Siamo assolutamente coscienti e convinti che sia purtroppo necessario un intervento sui conti pubblici. A questa situazione ci hanno portato anche i tre anni passati durante i quali il governo ha negato la gravità della crisi. Così come ci è assolutamente chiaro che né le politiche monetariste europee, né gli interventi a livello mondiale, abbiano interferito con le ragioni che hanno provocato la crisi. L´appello di tutte le parti sociali nasceva da questa premessa. C´era uno sforzo comune per provare a costruire un quadro differente e soprattutto offrire una prospettiva al paese. E invece, per quel che finora si è potuto capire data la scarsezza delle informazioni da parte del governo, questa manovra “parla” solo a chi le tasse le paga già. Dall´altra parte i tagli agli enti locali mettono in discussione le prestazioni ai cittadini e, come sempre, in particolare ai più deboli. Continuo: colpire il lavoro pubblico è diventato uno sport nazionale, ma ora lo si fa con modalità mai viste. Ora la retribuzione stessa di un impiegato pubblico (la tredicesima non è altro che una parte della retribuzione) dipende dal comportamento del suo dirigente o addirittura da quello dello stesso ministro. Ma ci rendiamo conto? Davvero, è come se il governo, o qualche suo ministro, anziché porsi il problema di come tirare fuori dai guai il Paese, approfittasse della situazione per esercitare una sorta di vendetta nei confronti di chi lo ha contrastato».
Proporrete a Cisl e Uil di scioperare con voi?
«Certo. L´abbiamo già detto e lo ribadiamo. A lavoratori e pensionati si chiedono sacrifici al di sopra delle loro stesse possibilità».
Pur tuttavia i dipendenti con reddito superiore ai 90 mila euro l´anno sui quali grava il contributo di solidarietà non sono esattamente la vostra base.
«La Cgil non ha mai ragionato in termini di contrapposizioni tra lavoratori. Siamo stati i primi, e lo rivendichiamo, ad aver proposto un contributo straordinario sui redditi superiori ai 150 mila euro, ma ciò che fa orrore nell´operazione del governo è che si colpisce esclusivamente chi già paga le tasse. Questo è ingiusto. Perché chi evade continuerà a guadagnare da tutto questo? Perché chi, evadendo, si è costruito grandi patrimoni immobiliari, viene salvaguardato?».
Per avere entrate certe non si può che andare a prendere i soldi dal reddito fisso. Anche gli altri Paesi europei l´hanno fatto.
«Già, ma non hanno fatto solo questo. La verità è che da noi si continua a proteggere una parte del Paese che per mille ragioni contribuisce alla situazione di difficoltà in cui ci troviamo, semplicemente perché evade. E la crescita? Dove sono le misure per la crescita?».
Per incrementare la produttività, le feste laiche nazionali si celebreranno sempre di domenica.
«E´ una misura a dir poco umoristica. Dicono che così fanno anche gli altri Paesi. Quali? Forse la Francia, la Germania o la Gran Bretagna rinunciano a festeggiare le loro ricorrenze nazionali se cadono durante la settimana? E il primo maggio è dovunque la festa del lavoro, con la sola eccezione dei paesi nei quali vige una dittatura».
Il governo ha anche trasferito in legge l´accordo con la Confindustria sulla contrattazione e la democrazia sindacale.
«Non c´è stato alcun trasferimento. No, no e no. Il governo ha fatto un´altra cosa: ha stravolto quell´intesa. Così vuol far saltare a piè pari il contratto nazionale. L´accordo tra le parti sociali è stata una soluzione di equilibrio tra diverse posizioni, qui c´è la volontà di qualcuno di affermare la sua tesi, secondo cui si può fare a meno del contratto nazionale».
Quel “qualcuno” è il ministro Sacconi?
«Sì. Ed è la prima volta che un fatto del genere accade nelle relazioni industriali».
L´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è stato toccato. Decideranno le parti, di volta in volta, se derogare alla norma che protegge dai licenziamenti senza giusta causa. Perché la Cgil è contraria?
«Questo è un vero pasticcio. I diritti dei lavoratori dipenderanno dalle condizioni della propria azienda. Chiederemo al Parlamento di cambiare anche questa norma. C´è il rischio concreto di una proliferazione di “accordi pirata”, firmati da sindacati di comodo. Queste sarebbero le misure per la crescita?».
Resta il fatto che questa manovra è stata in buona parte imposta dalla Bce. C´è una lettera firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi.
«Io quella lettera non l´ho letta pur avendo chiesto al governo che la rendesse pubblica. Penso che la Bce abbia chiesto di anticipare il pareggio di bilancio nel 2013, ma non abbia detto come raggiungerlo».
Quale pensa che sarà martedì, alla riapertura dei mercati, il giudizio degli investitori sulla manovra?
«Non voglio pensarci. Sono preoccupata. Spero comunque che l´Italia non sia sottoposta a una nuova ondata speculativa».

La Repubblica 14.08.11

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“La CGIL è pronta alla mobilitazione. Cauta Confindustria”, di Marco Ventimiglia

A fine luglio il clamoroso documento congiunto con cui imprese, sindacati e banche chiedevano “un patto per la crescita e discontinuità”, ed appena venerdì un nuovo appello ad “interventi strutturali” da parte di aziende e mondo del credito. Ebbene chi ieri si aspettava fuoco e fiamme dagli stessi soggetti, di fronte ad una manovra palesemente iniqua e dal corto respiro, è rimasto perplesso. Nessuna celebrazione di Berlusconi e Tremonti, ma una serie di giudizi molto cauti, eccezion fatta per quello, fortemente negativo espresso dalla Cgil. «Presenteremo le nostre proposte e continueremo a farlo – dichiara Susanna Camusso –ma è evidente che per correggere l’iniquità di questa manovra ricorreremo alla mobilitazione». E per il segretario della Cgil le normes ulla contrattazione introdotte nel testo rappresentano «un’ingerenza a favore della Fiat. Perché fare una legge se invece si vuole,come è stato affermato, meno legge e più contratto?».
TAGLI SBAGLIATI Confindustria, invece, dopo aver chiesto all’esecutivo di lasciar fuori dalla manovra la normativa sul lavoro, adesso si dice soddisfatta: «È importante aumentare il tasso di flessibilità – dichiara il presidente Emma Marcegaglia – dando maggiore centralità ai contratti aziendali, è un passo che noi consideriamo in continuità con l’accordo interconfederale di giugno». La stessa Marcegaglia chiede poi modifiche alla manovra per riformare «le pensioni di anzianità. In questo modo si recuperano in modo strutturale risorse fino a 7 miliardi in due anni. Si può fare anche di più – ha aggiunto – con un piccolo aumento dell’Iva, anche un solo punto, che può valere fino a 6,5 miliardi». Per Rete Imprese Italia, che comprende grandi associazioni come Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti, il pareggio di bilancio perseguito dalla manovra «è un obiettivo fondamentale per il nostro Paese ma, senza la crescita, rischia di non garantire un equilibrio stabile dei conti pubblici». Il presidente Ivan Malavasi sottolinea che «per la crescita sono necessari interventi mirati e accompagnati da un alleggerimento della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese. Invece, l’aumento delle tasse rischia di compromettere questo impegno». Preoccupazione viene poi espressa «per la fortissima riduzione delle risorse per gli Enti Locali che, senza una riduzione strutturale dei costi, potrebbe portare a nuove imposte ». Articolato pure il giudizio dell`Alleanza delle Cooperative Italiane, che racchiude Legacoop, Confcooperative e Agci. «E’ importante la rapidità con cui il governo ha adottato la manovra – dichiara il portavoce dell’Alleanza, Luigi Marino -, così come è giusta la strada intrapresa dal nel mettere manoai costi del sistema istituzionale. Bene le riduzioni della spesa pubblica, anche se sulla sforbiciata agli enti locali ci sono dei rischi che potrebbero comportare aumento delle imposte, riduzione dei servizi fondamentali per le famiglie e conseguente ricaduta occupazionale». Quanto alle forze sindacali, neppure di fronte ad un testo della manovra così penalizzante per i lavoratori dipendenti, la Uil dimentica il sostanziale appoggio alle politiche dell’esecutivo degli ultimi anni. Anzi, la nota del sindacato contiene persino un’autocelebrazione: «Per la prima volta quando si tratta di fare sacrifici, la classe politica comincia da sé: la Uil ritiene di potersi ascrivere il merito di questa svolta ». L’unica forte critica riguarda «l’ inaccettabile meccanismo con cui i lavoratori dipendenti rischiano di non percepire la tredicesima. Se non vengono rispettati i parametri di spesa che paghino, dunque, i soli dirigenti responsabili».

L’Unità 14.08.11