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"Evasione, una battaglia persa in partenza", di Stefano Lepri

Chissà in quanti porticcioli estivi un dirigente d’azienda, furioso per le tre annate di «contributo di solidarietà» che gli toccherà pagare, osserva dal suo gommone il motoscafo assai più grande del libero professionista. Si domanda se per caso quello là dal nuovo tributo non sia esente, perché dichiara meno di 90.000 euro. Ancor più sospetterà che l’enorme yacht più oltre, di cui si ignora la vera proprietà, faccia capo a un nullatenente o a uno «scudato». Attorno alle tavole di questo Ferragosto di maxi-manovra, si discorrerà inevitabilmente di evasione fiscale. Torneranno argomenti che, a fasi alterne, si ascoltano da decenni; soltanto più arrabbiati. Paghino per primi gli evasori! Il guaio è che gli evasori sono sempre gli altri. Qualcun altro da accusare si trova sempre, in un Paese dove, secondo stime ragionevoli, ogni cento persone ci sono duecentomila euro sottratti al fisco (scagli la prima pietra chi non ha tralasciato mai di chiedere al ristorante la ricevuta). Né si può addossare tutta la colpa alla «casta». Se quasi tutti i politici sono convinti – , beninteso che a combattere sul serio l’evasione tributaria si perdano le elezioni, qualche ragione ci sarà. Quante promesse di condonare multe si sono ascoltate prima delle ultime elezioni comunali? E l’altro giorno inveiva ancora contro Equitalia Umberto Bossi, pur convinto che i sacrifici si debbano fare. Sembra uno dei peggiori circoli viziosi in cui l’Italia è riuscita a cacciarsi. I lavoratori autonomi, che pagano autotassandosi, sono il 25% circa del Paese. Come quota sulla popolazione, è il doppio che in Germania; più del triplo degli Stati Uniti, che pure, come tutti sanno, sono il luogo più propizio alla libera impresa.

Su un quarto degli elettori dunque non si può infierire all’ingrosso. Sono tanti, e non tutti se la passano bene. Ma forse sono così tanti perché si è sempre chiuso un occhio su quante tasse pagano. Da stime abbastanza attendibili parrebbe che il commerciante e l’artigiano medi nascondano al fisco circa la metà dei guadagni, il professionista un terzo. Naturalmente sono tanti anche gli onesti; chi fattura soprattutto per il settore pubblico o per grandi imprese lo è per forza. In una economia con vaste aree di sommerso o di illegalità, per alcuni l’evasione è una maniera di sopravvivere (sono da sempre rarissimi gli idraulici che emettono fatture, ma ora li incalza la concorrenza degli idraulici immigrati, che costano meno). Nell’insieme, purtroppo, l’evasione favorisce le imprese meno efficienti; le spinge a restare piccole, per continuare a sfuggire al fisco. Ha quindi a che fare con il ristagno della produttività che affligge l’economia italiana. Perfino se il pericolo incombe risulta difficile agire. Nell’ottobre 1992, quando il Tesoro rischiava di non poter pagare gli stipendi perché nessuno comprava i Bot, infuriava la protesta contro la norma che imponeva ai titolari di impresa minore di dichiarare redditi almeno pari a quelli dei loro dipendenti. Alla guida della lotta c’era un tal Sergio Billé, poi presidente della Confcommercio travolto da uno scandalo, mesi fa condannato a tre anni per corruzione. La minimum tax (termine che negli Usa indica tutt’altro) di allora era una norma rozza, ma fin dall’inizio presentata come temporanea, giustificata con i rischi che correva il Paese. Fu invece letale per il consenso alla Democrazia cristiana. Venne anche da lì, un anno dopo, la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, che fino alla campagna elettorale del 2008 l’evasione l’ha a volte giustificata. Tuttavia combattere la frode fiscale non è impossibile. Lo dimostra anche l’esperienza recente.

Nella fase iniziale dell’attuale legislatura, quando nel 2008 furono abrogate misure del governo precedente definite «poliziesche», l’evasione è cresciuta (secondo l’indice ritenuto dagli esperti più significativo, il rapporto fra Iva interna e Pil). Dopo che, a partire dall’autunno 2009, Giulio Tremonti ha a poco a poco cambiato strada, il recupero di entrate non è mancato. E’ possibile andare avanti senza vessare nessuno con troppe pratiche o controlli pignoli, soprattutto con la trasparenza: tracciabilità dei pagamenti, elenchi dei clienti e dei fornitori, e, come avviene in quasi tutti gli altri Paesi, accesso del fisco ai conti bancari.

La Stampa 15.08.11

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“Lotta all´evasione se non ora, quando?”, di ALESSANDRO PENATI

Dov´è finita la “lotta all´evasione” nella manovra? E´ vero che in Italia si “lotta” da 20 anni, con scarsi risultati. Ma non è questa una ragione per desistere.
Anzi, doveva essere l´imperativo di un Governo che impone l´ennesimo aumento della pressione fiscale sui redditi di chi li ha sempre dichiarati. Senza contare che iniquità e aliquote elevate costituiscono un incentivo a non pagare le tasse. E che il contrasto all´evasione è anche un modo efficace di combattere corruzione e illegalità.
Primo, bisognava stabilire un legame diretto tra la lotta all´evasione e il beneficio per il cittadino. Disponendo che il gettito tributario eccedente la previsione nella legge di bilancio andasse a ridurre automaticamente le aliquote sui redditi nell´anno successivo. Oltre che per un senso di equità, per rendere manifesto l´interesse di ognuno a scoraggiare l´evasione.
Inutile puntare solo sull´inasprimento delle sanzioni. La manovra minaccia la chiusura di esercizi commerciali e la sospensione dagli ordini professionali in caso di mancati scontrini e fatture. Ci credete davvero? Le sanzioni non servono se sono poco credibili, o se la probabilità di venire sanzionati è bassa. Chi mai è finito in galera per evasione? O non si è accordato per una cifra inferiore alle imposte evase? Magari, grazie a condoni e scudi? Ridicolo fare la faccia feroce con gli evasori. Serve un sistema di controlli credibile che scoraggi l´evasione: che sia efficace grazie alla sua capacità deterrente, più che a quella sanzionatoria.
La chiave è la “tracciabilità”. Ma non quella del vigente “spesometro”, che impone ai soggetti titolari Iva di comunicare all´Amministrazione finanziaria i pagamenti superiori a certe soglie. L´Iva è l´imposta maggiormente evasa: come mettere una volpe a guardia del pollaio.
La traccia da seguire è quella che lasciano i soldi: qualsiasi entrata o uscita prima o poi viene registrata dagli intermediari finanziari, che già ora sono in grado di trasmettere all´Agenzia delle Entrate tutti i rapporti e le transazioni finanziarie. Oggi si ricorre a questi dati solo per i soggetti già in sospetto di evasione. Andrebbero analizzati prima e in modo sistematico. Non per accertare l´imposta evasa, ma per identificare i soggetti che hanno maggior probabilità di essere evasori.
Un´analisi dei dati finanziari universale e sistematica sarebbe un deterrente potente: sfuggirebbero solo le transazioni estero su estero, comunque rintracciabili grazie agli accordi di collaborazione internazionale, e quelle in contanti, alimentate però da incassi in contanti, senza mai passare per una banca, rese difficoltose dal limite ridotto oggi a 2.500 euro.
Il principio a cui ispirarsi è quello del rendiconto finanziario delle società quotate: qualsiasi uscita di cassa, per qualunque finalità (investimenti o costi operativi) deve trovare la giustificazione in un ricavo, nell´accensione di un prestito o nella vendita di un´attività. La cassa non si crea e non si distrugge.
Per ogni individuo, nucleo familiare, impresa individuale o società di persone, gli intermediari dovrebbero comunicare annualmente al fisco: (1) la somma complessiva delle poste in “Dare” di tutti i suoi conti correnti, misura della capacità complessiva di spesa, di consumo e di investimento, finanziario e reale (case, opere d´arte, licenze, macchinari); più (2) la differenza tra saldo finale e iniziale dei conti; meno (3) interessi e dividendi incassati (tassati alla fonte); meno (4) i prestiti concessi. Se questa somma è sproporzionata rispetto al reddito dichiarato, o non c´è dichiarazione, la spesa complessiva deve essere finanziata da una riduzione degli attivi patrimoniali (vendita di immobili, di titoli, di un´azienda), da un´eredità, o una vincita. Per questo, bisognerebbe richiedere in dichiarazione l´elenco dei beni patrimoniali; facilmente verificabile dal fisco, incrociando le informazioni di altre banche dati (Camere di commercio, Agenzia del territorio, Monopoli di Stato).
Chi ha ricevuto tangenti, svolto attività o lavorato in nero, incassato affitti non registrati, venduto case o licenze commerciali a un multiplo di quanto dichiarato, investito proventi illeciti, o ricevuto regalie e “prestiti infruttiferi” per allietare uomini facoltosi, si troverebbe in serie difficoltà a giustificare la propria capacità di spesa. Oltre a inguaiare le controparti. Sapendolo, ci penserebbero bene prima di evadere o commettere illeciti.
Una proposta simile verrebbe immediatamente bollata come “stato di polizia”. Anche se negli Stati Uniti vigono principi similari. Eppure sarebbe un sistema fattibile, poco costoso e infinitamente più efficace di tutti gli inutili redditometri, spesometri, studi di settore (meri accordi negoziati con le categorie) che abbiamo partorito in questi anni. Basta volerlo. Se non ora, quando?

La Repubblica 15.08.11

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“Anche la prima casa pesa sulla super-tassa”, di Valentina Conte

Anche la casa entrerà nel calcolo della supertassa che colpirà i contribuenti con un reddito superiore a 90 mila euro. La supertassa si pagherà dal 2012 e al momento è prevista per un solo triennio. Ma la supertassa non è l´unica novità prevista dal decreto. Il taglio dei finanziamenti a comuni e regioni porterà una valanga di addizionali, Imu (nuova Ici) e aumenti del bollo auto e delle imposte per la compravendita delle auto.
La solidarietà al Paese arriva anche dalla prima casa. Il contributo previsto dalla manovra d´emergenza, il decreto 138 firmato sabato da Napolitano, si calcola difatti sul «reddito complessivo» dai 90 mila euro annui in su, immobili compresi. Una sorpresa di Ferragosto che rimette in campo un tema caro al centrodestra: le tasse sulla casa.
Il prelievo solidale, una sorta di eurotassa, sarà pagato da 559 mila contribuenti, 3 mila euro in media a testa annui, riferisce l´Agenzia delle entrate. Funziona così: è dovuto da chi lavora o ha lavorato e paga le tasse (dipendenti pubblici e privati, autonomi e pensionati), corrisponde a un 5% sulla parte che eccede i 90 mila euro e a un 10% sopra i 150 mila. Si paga già sui redditi di quest´anno, «in deroga all´articolo 3 dello Statuto del contribuente» che vieta la retroattività dei tributi, dice la relazione al decreto, e fino al 2013. Un triennio di solidarietà che vale 3,8 miliardi complessivi per lo Stato: 674,4 milioni nel 2012, 1,557 miliardi nel 2013 e 1,586 miliardi nel 2014.
E´ un contributo deducibile: il suo peso effettivo scende così dal 5-10% al 3-7%. Chi denuncia 100 mila euro versa un obolo di 1.500 euro in tre anni, ridotti a 855. Chi ha 250 mila euro deve 22.230 euro anziché 39 mila, sempre in tre anni. Fermo restando il tetto del 48% per i redditi molto alti: se il contributo supera quella percentuale, il contribuente può scegliere di essere meno solidale e pagare al massimo il 48%.
L´eurotassa si applica, come detto, sul reddito totale prima che le deduzioni lo trasformino in reddito imponibile. Nel computo entrano tutte le altre componenti, dunque anche le rendite catastali. Chi vive in una casa da cinque vani in zona centrale a Roma e guadagna 100 mila euro, per tornare all´esempio di prima, verserà 989 euro, 134 in più del caso-studio senza casa.
Secondo i calcoli dell´Agenzia delle entrate, ecco come si distribuisce l´imposta (senza però la deduzione e la casa): 150 euro all´anno in media a testa per i redditi tra 90 e 100 mila euro, 570 euro tra 100 e 120 mila, 1.250 euro tra 120 e 150 mila, 2.940 tra 150 e 200 mila, 14.440 euro sopra i 200 mila euro.
Pochi gli autonomi coinvolti, nel mezzo milione di italiani solidali: notai, farmacisti, dirigenti d´azienda. Chi non ha altri redditi, oltre quello da lavoro, pagherà a partire da gennaio 2012 con prelievi in busta paga. Gli altri, a maggio-giugno 2012 in sede di dichiarazione dei redditi. Agli statali, tassati già da gennaio come deciso dal Dl 78 (finanziaria 2010), sarà garantito «il recupero degli importi eventualmente già trattenuti». Così anche ai pensionati d´oro, solidali già dal 1° agosto per effetto della manovra di luglio.
Sempre sul piano fiscale, il rincaro delle sigarette si avrà, per decreto, entro il 31 dicembre 2011. L´inasprimento, infine, delle «sanzioni accessorie» per i professionisti che non rilasciano scontrini o ricevute non sembra poi così severo. I requisiti – quattro distinte violazioni nel corso di cinque anni e in giorni diversi – comporterebbero al massimo la sospensione dall´albo o dall´Ordine professionale «per un periodo da tre giorni ad un mese». Un invito a rischiare?

La Repubblica 15.08.11