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"Viaggio nel paese del bavaglio", di Andrea Tarquini

Bavaglio alla stampa, epurazioni negli uffici statali, leggi anti immigrati. La svolta autoritaria della destra di governo che spaventa l´Europa.

Budapest, estate 2011: ecco il resoconto del nuovo autoritarismo liberamente eletto che cresce, emargina, censura indisturbato in uno Stato membro dell´Ue. La grande purga non risparmia nessuno. Ai posti di comando solo uomini fedeli al premier Orban. E un´unica newsroom centrale distribuisce notizie ai media pubblici
La paura di perdere il lavoro perché sospettati di idee critiche la cogli in ogni ambiente. Nuove proposte di legge prospettano campi d´ospitalità per disoccupati o elementi asociali

I giornalisti della radio pubblica l´hanno appreso come in un campo di concentramento: improvviso appello del mattino per tutti nel grande cortile della sede centrale, poi l´ordine di dividersi in scaglioni di 50 e presentarsi un gruppo dopo l´altro a commissioni speciali: quelle hanno detto loro chi restava e chi veniva licenziato. Gli epurati, in radio e tv di Stato, sono stati finora 525, molti tra i migliori, fior di giornalisti, premi Pulitzer. Altri 450 licenziamenti arriveranno prima di fine anno: la grande purga eliminerà così mille su tremila persone, un terzo del totale. Una sola newsroom centrale, in mano alle penne della destra, distribuisce notizie ai media pubblici.
Nella pubblica amministrazione, è ancora peggio, e il governo ha facile gioco a difendersi: niente statistiche pubbliche sul totale dei posti soppressi e delle persone sostituite. Nei teatri e nelle Università, nella magistratura e alla Corte dei Conti, ai posti di comando sono solo uomini fedeli alla Fidesz del premier Viktor Orban, il partito al potere. In provincia, si comincia con metodi di segno ancor più chiaro. Come a Gyoengyoespata, governata dai neonazisti di Jobbik: ogni mattino alle sette i disoccupati, tutti Rom, devono presentarsi con una maglietta arancione che ricorda le uniformi dei detenuti di Guantanamo: chilometri a piedi sotto il sole, con zappe, rastrelli e pesanti secchi d´acqua per dissetarsi, e poi ore di duro lavoro manuale. “Koezmunka”, lavoro socialmente utile, si chiama la misura che evoca un po´ lo Arbeitsfront nazista e altre misure del Terzo Reich, e presto potrebbe coinvolgere fino a 300mila persone. Ungheria, estate 2011: ecco quasi una cronaca dal fascismo in diretta, ecco il resoconto del nuovo autoritarismo liberamente eletto che cresce, emargina, censura indisturbato in un paese membro dell´Unione europea.
«È troppo facile, e sbagliato, paragonare Orban a Berlusconi, in confronto al premier ungherese Berlusconi è un democratico», mi dice Karoly Voeroes, ex direttore del quotidiano Népszabadsàg, uno dei più autorevoli giornalisti magiari, protagonista della protesta contro la legge-bavaglio. Aggiunge: «La situazione è peggiorata. Mesi fa ritenevamo impossibili nuove strette, e invece eccole. Governano usando l´odio, l´invidia, la paura». Non sono bastati i limiti draconiani alla libertà mediatica, né l´istituzione della Nmhh, l´autorità-Grande fratello fedelissima al potere, che veglia su ogni testata e punisce con multe che portano sul lastrico. Adesso i media pubblici hanno un´unica newsroom, «è la fine del giornalismo come ricerca critica», nota Voeroes.
«La nazione ora è unita», gridano in strada manifesti governativi esaltando la maggioranza più che assoluta, oltre due terzi dei legislatori. Foto: una bionda famiglia sorridente. Il capo esecutivo della newsroom unica è Daniel Papp, 32 anni, cofondatore di Jobbik, il partito della Guardia magiara che sfila con le uniformi nere degli alleati di Hitler e correi dell´Olocausto. Ha fatto carriera manipolando un´intervista a Daniel Cohn-Bendit: in onda la domanda sulle vecchie, assurde accuse di passata pedofilia al leader dei verdi europei, ma non la risposta di smentita. Capo supremo della newsroom è Csaba Belenyesi, promosso nell´agenzia di stampa nazionale per volere della Fidesz. Con un gioco di parole amaro, il settimanale tedesco Der Spiegel parla di “Arcipelago Gulash”: dal tollerante, morbido “socialismo del gulash” della guerra fredda la cara, bella, vivace Ungheria diventa un paese che, da destra, evoca l´Arcipelago Gulag narrato da Solgenitsyn.
L´epurazione continua, e fa paura a tutti, giornalisti, dipendenti pubblici e semplici cittadini. Non risparmia nemmeno i più illustri. L´Arcipelago Gulash ha licenziato premi Pulitzer, da Laszlo Benda all´intera redazione del programma giornalistico critico La sera, con cui Antonia Mészaros e il suo team facevano reportage d´alto livello. È finita per la trasmissione culturale di Sandor Szenési, troppo critica e aperta al mondo. Parlava anche delle infami indagini contro Agnes Heller, Mihaly Vajda, Sandor Radnoti e gli altri grandi filosofi della Scuola di Budapest, quegli epigoni di Gyorgy Lukacs accusati di “malversazione di pubblico denaro” per spese documentate di ricerca scientifica e letteraria. La newsroom unica funziona a meraviglia: in radio e tv, notano diplomatici europei, Orban ha 35 volte più spazio rispetto all´opposizione. Si tace persino delle critiche ordinate da Hillary Clinton alla scelta di cambiare nome alla centralissima Piazza Roosevelt, dedicata dal dopoguerra al presidente americano che sconfisse l´Asse. Il cinema ungherese, che fu tra i più illustri dell´Impero comunista, ora è in mano a un magnate di Hollywood amico di Orban, Andy Vajna: vuole telenovelas da cassetta, addio alla qualità di Miklos Jancsò e degli altri grandi di ieri.
Appena celata dalla gentilezza d´animo e dalla vivacità di questo adorabile popolo nel cuore dell´Europa, la paura di perdere il lavoro perché sospetti di idee critiche la cogli in ogni ambiente, la leggi su tanti volti, e per chi visita spesso l´Ungheria fin dai Settanta è uno shock triste. Il ricordo del misto allegro e cinico di umor nero, ironia e disprezzo con cui i magiari vivevano nella “migliore baracca dell´Impero del Male” si allontana. Diffamano anche Pal Lendvai, principe dell´emigrazione anticomunista e grande firma del Financial Times: lo accusano contro ogni prova di spionaggio per la vecchia dittatura. Liberal, cosmopolita, amico degli stranieri ostili alla patria, amico del grande capitale internazionale – ricalcano i sinonimi con cui Goebbels parlava degli ebrei – qui sono termini entrati nel nuovo salotto buono della newsroom unica. La paura blocca i Rom, le prime vittime del lavoro utile obbligatorio: se rifiutano la vita da forzati, addio ai miseri sussidi-povertà. Nuove proposte di legge prospettano “campi d´ospitalità” per disoccupati non collocabili o “elementi asociali”. In altri ghetti, squallidi prefabbricati come quelli dei terremotati italiani, sono finiti, come nella cittadina di Ocsa, gli ungheresi impoveriti dalla crisi, che hanno perso la casa comprata con mutui (oltre trecentomila, tanti in un paese di 10 milioni scarsi di abitanti) ormai troppo cari in franchi svizzeri.
«Non è finita, aspettiamo i prossimi passi, la fascistizzazione strisciante verrà», dicono i colleghi del Népszabadsàg: il governo prepara leggi che vorrebbero autorizzare il licenziamento immediato anche di malati o donne incinte, imporre ai lavoratori di andare in ferie soprattutto quando lo dice il padrone, esautorare i sindacati. Nell´Arcipelago Gulash, mi dicono amici preferendo l´anonimato, incontri professori che hanno paura di chiedere all´antennista di sintonizzare la tv su canali critici. O vedi un razzismo da banalità del male. Come l´altro giorno in un paesino, a una festa per i bambini. Il clown scritturato dal sindaco a un certo punto ha teso la mano ai bimbi per avviare un girotondo. A tutti, fuorché a due piccoli visibilmente Rom di cinque e tre anni, rimasti là soli senza che nessuno volesse giocare con loro. Nemmeno sembravano sorpresi: emarginazione naturale fin da piccoli, evoca quel sentimento dei bambini ebrei in guerra che Gyorgy Konrad descrisse: «A cinque anni sapevamo che prima o poi Hitler ci avrebbe uccisi». L´Arcipelago Gulash è così, l´Unione europea tace e stronca le speranze. Il dolore per l´Ungheria te lo allevia l´Airbus della Lufthansa quando, ai comandi d´una giovane pilota, stacca le ruote rombando dalla pista di Budapest e punta verso la Germania: a bordo vien quasi voglia di applaudire, come usava sotto Breznev decollando da Mosca.

da La Repubblica

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L´appello di Agnes Heller “L´Europa deve aiutarci solo così ci salveremo”, di a. t.

L´intellettuale ungherese: “Il nostro è un regime bonapartista, un´oligarchia”

«L´Europa deve aiutarci ad avere solidi media indipendenti. Solo così salveremo la democrazia». Ecco l´appello di Agnes Heller, la grande intellettuale ungherese.
Signora Heller, quanto è pericolosa la situazione ungherese?
«Ci vuole un volto nuovo, o un nuovo gruppo di leader democratici, che ci salvi. Non aspettiamo Godot, aspettiamo un Lohengrin come ultima speranza. Se non apparirà entro un anno e mezzo sarà la fine».
Perché una simile svolta autoritaria?
«In Ungheria non abbiamo mai avuto veri partiti. Fummo una democrazia solo tra la fine della guerra e il ´49 della svolta staliniana. Gli ultimi vent´anni del comunismo di Kadar furono comunismo senza comunisti, poi venne una democrazia senza democratici, oggi abbiamo un governo di destra senza veri conservatori».
Chi è allora Orban?
«Ha solo alcune somiglianze con Berlusconi. Berlusconi non interferisce come Orban nella vita degli atenei, nei teatri, all´Opera, nei media, ovunque. Fascismo e bolscevismo sono termini abusati, sebbene, ricordiamolo, siano nati entrambi in Europa, non altrove. Il governo Orban non è fascista, è un regime bonapartista: la concentrazione di tutto il potere in mano a loro, senza controlli o checks and balances. Orban crede nell´oligarchia, se ne sente parte, crede in se stesso e di conoscere il Giusto e ciò che è giusto per l´Unghiera. L´état c´est moi, la societé c´est moi. Il sistema fiscale privilegia i super-ricchi. Non abbiamo il capitalismo della libera concorrenza, ma gli oligarchi».
Un addio agli standard democratici europei?
«Sì, ma non serve il fascismo. La Fidesz è bonapartista, non razzista. Non è lo stesso. Ma conta abolire i checks and balances come hanno fatto, decidere da soli, senza alcuna voce in capitolo dell´opposizione e della società civile. Criminalizzano vecchio regime e avversari attuali, vogliono processare l´ex premier socialista Gyurcsany. Introducono leggi retroattive. Tentano di criminalizzare noi filosofi, e tutto ciò che ha a che fare col liberalismo. Liberal significa nemico della nazione magiara, alieno, straniero. La democrazia liberale è distrutta dalla maggioranza democraticamente eletta. C´è odio verso il liberalismo. E la sua identificazione con gli ebrei e l´ebraismo, tipica del passato».
I pericoli riemergono dunque dal passato?
«Sì: ogni totalitarismo ha sempre visto le idee liberal come primo nemico, definendole tra l´altro come cosmopolitismo. La Fidesz mobilita con ideologie. Il nazionalismo. E slogan molto tradizionali: nazione, famiglia, religione. Non è totalitarismo, perché il totalitarismo vieta, loro epurano e marginalizzano. La strategia è comportarsi come se l´opposizione non esistesse. E darle la maschera del nemico della concordia nazionale, criminalizzarla secondo una fortissima ideologia nazionalista e una mitizzazione del lavoro concorde per la nazione unita».
Lei come si sente, dissidente ieri e oggi?
«Critica eterna, e poi quanto dura l´eternità? Al fondo non ho paura. Nella guerra fredda, in Polonia e da noi, c´era ben meno paura che nel resto del blocco. Oggi la paura diffusa segna il quotidiano ungherese. Paura esistenziale per chi teme di perdere il lavoro, prima di tutto. Hanno ragione: se esprimono le loro opinioni possono essere licenziati l´indomani, giovani, padri di famiglia. Ma più hai paura più sei vulnerabile. Bisogna cercare di non avere paura, come noi voci critiche sotto Kàdàr. Ma l´indipendenza della giustizia è in via di liquidazione. Agli occhi del governo sono persona non grata, per l´opinione pubblica sono nei sondaggi che ancora escono una delle 50 donne più influenti d´Ungheria. Mi basta».
Non vi sentite lasciati soli dall´Europa?
«Si sono espressi contro la nuova Costituzione. Orban disse “non ci capiscono”. Sanzioni rischiano di far male solo alla gente, non al governo che potrebbe approfittarne dicendo “ecco la cospirazione liberal internazionale contro la nazione ungherese”. L´Europa potrebbe aiutare stazioni radio, tv, tutti i media liberal ungheresi. Allora forse arriverà lo sperato Lohengrin, non la catastrofe».
L´Ungheria è eccezione o laboratorio?
«Orban parla di laboratorio, di questo ho paura. La sua politica può diventare attraente per altri paesi. E persino Marine Le Pen è meno a destra di lui. Bonapartismo autoritario, nazismo, fascismo, bolscevismo, sono tutte invenzioni europee, le tendenze autocratiche sono vive. È una bella tentazione governare senza fare i conti con l´opposizione. Weimar, Vichy, Mussolini sono passati ancora presenti nell´anima europea. Anche Hitler fu popolarissimo nella patria di Goethe, Beethoven e Thomas Mann. La democrazia liberale in Europa non ha tradizioni così lunghe, solo postbelliche, ecco il peccato originale. E l´Ungheria non ha tradizioni democratiche, a parte tra il 1948 e il ´49. È difficile fare i conti col passato europeo».
Quanto conta l´antisemitismo?
«In Ungheria l´antisemitismo è molto forte, ed è pubblico. Esprimere opinioni antisemite è legale, anche in Parlamento. In pubblici raduni si è parlato di piani per uccidere l´ex premier socialista Ferenc Gyurcsany in presenza di deputati di Jobbik. Dicono di me “Agnes Heller e la sua banda si considerano membri del Popolo Eletto e per questo attaccano noi ungheresi”. Parlano come lo Stuermer, il giornale di Hitler».
(ha collaborato Agi Berta)