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"Lavoro, sindacati in allarme: La legge non stravolga l'impresa", di Massimo Franchi

Ora che anche l’Ufficio studi del Senato smentisce il ministro Sacconi, certificando come il “suo” articolo 8 della manovra «contenga implicitamente la possibilità di derogare allo Statuto dei lavoratori», la sordina che il governo ha messo su un provvedimento che non fa recuperare un solo euro al bilancio statale e fa solo un piacere a Fiat pian piano si sgretola. Merito anche delle denunce di Cgil e Pde dell’editoriale di Guglielmo Epifani sul nostro giornale. Non sappiamo se il ministro del Lavoro ha cercato di bloccare la scheda di lettura con cui il solerte Ufficio studi di palazzo Madama accompagna il decreto-manovra. Di certo non può avergli fatto piacere. Il suo mantra («L’articolo 18 non è stato toccato») non regge più. La realtà riconosciuta da tutti, favorevoli e contrari, è che il governo ha sconvolto la legislazione sul lavoro. Per giunta tramite decretazione d’urgenza. Sul metodo dunque i sindacati sono concordi: «Si doveva agire per via ordinaria». Sul merito invece cominciano i distinguo, con la sola Cgil che appoggia la proposta di Epifani di cancellare interamente la norma. Cisl e Uil comunque chiedono forti modifiche, coscienti entrambe che il colpo di manodi Sacconi rischia di buttare a mare quel dialogo che l’accordo del 28 giugno aveva avviato. Concorda e approfondisce il discorso del suo ex segretario generale, Claudio Treves, coordinatore dell’area Politiche del lavoro della Cgil. «La norma va ritirata proprio perché va esattamente contro quanto il ministro Sacconi ha sostenuto. È tutt’altro rispetto ad un sostegno alla contrattazione per due motivi: il primo – spiega Treves – è che con l’accordo del 28 giugno, che diventa legge anche retroattivamente, sindacati e Confindustria avevano ristabilito una gerarchia delle fonti, con al centro il contratto nazionale. Invece il contratto di prossimità, dizione che Sacconi usa come un vezzo al posto del più corretto contratto aziendale, diventa preponderante e ha tutte le facoltà “in deroga al contratto nazionale”. La seconda ragione – continua Treves – è che l’istituzionalizzazione dell’accordo del 28 giugno si riferisce alle “parti sociali”, mentre era stato sottoscritto solo da Cgil, Cisl, Uil con Confindustria, senza le altre organizzazioni. Come si devono comportare queste?», si chiede Treves. Altro che «legislazione di sostegno alle parti sociali – chiosa Treves -, qui il concetto viene completamente ribaltato: il legislatore dice alle parti stesse che possono andare oltre alla legge vigente ». Ma non è tutto. Treves sottolinea poi un altro autogol fatto dal ministro sui tirocini. «Nell’intesa sull’apprendistato, firmata questa sì da tutte le parti sociali con Sacconi poche settimane fa, si prevedeva l’istituzione di un tavolo con gli enti locali per organizzarli. Ebbene, il decreto lo sostituisce, svelando l’anima autoritaria che sta dietro a tutto il provvedimento. Altro che autonomia contrattuale». La Cisl è invece la più comprensiva. Nonostante gli autorevoli pareri critici (Franco Marini su questo giornale), il segretario generale aggiunto Giorgio Santini si sforza di vedere aspetti positivi nel decreto. La premessa però rende bene le difficoltà: «Capisco che i puristi della contrattazione storcano il naso, ma noi consideriamo il decreto un’opportunità per allargare le maglie della contrattazione aziendale». Riconosciuto che il terzo comma è fatto per la Fiat («molti amministratori del Pd lo auspicavano, il provvedimento era nell’aria e Sacconi in qualche modo lo aveva anticipato ») e che «le deroghe previste sono importanti, fino all’articolo 18 e al licenziamento», Santini coglie l’opportunità di trovare a livello aziendale «di accordi avanzati, sfruttando l’ambivalenza dello spazio di trattativa », «per esempio sulla stabilizzazione del precariato o sull’imporre alle aziende che vogliono licenziare di trovare un nuovo impiego ai lavoratori, tutto questo ampliando, e non riducendo, le possibilità sindacali». Su un punto però la Cisl non transige: «Bisogna cambiare il primo comma, specificando che le deroghe possono farle solo le rappresentanze sindacali nazionalmente rappresentative per evitare accordi pirata con sindacati gialli», attacca Santini. La Uil va oltre, criticando fortemente il metodo. «Una riforma di questa portata andava affidata alle parti», chiarisce il segretario confederale Guglielmo Loy. Anche nel merito le zone grigie sono molte: «Appoggiamo l’idea di lavorare sulle tutele per favorire investimenti e nuovi posti di lavoro, ma non ci sembra che le deroghe previste raggiungano l’obiettivo. Gli strumenti esistevano già». La Uil poi dà molta importanza alla salvaguardia del dialogo con le altre parti sociali, tanto da avanzare una proposta: «Così come siamo andati uniti a trattare con il governo, spero che saremo uniti nell’emendare queste norme che non avevamo chiesto».

L’Unità 18.07.11

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“Statuto dei lavoratori derogabile” al Senato è bagarre sui licenziamenti, di Paolo Griseri

Bozza dell´ufficio studi. Il Pd: norma grave, va cambiata. Crosetto: “E´ un tabù da abbattere” Ma anche Di Pietro promette le barricate
Un documento di Palazzo Madama spiega che ormai l´articolo 18 ha perso la sua forza. La parte della manovra che riguarda il lavoro finirà per portare alla deroga dei contratti e delle leggi, compreso lo Statuto dei lavoratori. Lo scrivono in una nota di accompagnamento alla Finanziaria bis i tecnici dell´Ufficio Studi del Senato. Il documento fa rapidamente il giro delle segreterie dei partiti e scoppia il putiferio. Perché gli esperti del Senato finiscono in questo modo per sposare le critiche dell´opposizione e dei sindacati che negli ultimi giorni avevano accusato il ministro del lavoro Maurizio Sacconi di voler introdurre quasi di nascosto quelle modifiche alle leggi sui licenziamenti che non erano passate in occasione del referendum per l´abolizione dell´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. «Se la destra vuole cancellare lo Statuto lo dica e non si nasconda dietro norme implicite», protesta l´ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd) annunciando che il suo partito «chiederà con un emendamento l´abrogazione della manovra sui licenziamenti». Duro il commento dell´Idv di Di Pietro: «Quattro pazzi pericolosi vogliono abolire i diritti dei lavoratori».
Al centro della bufera è l´articolo 8 del decreto presentato da Tremonti per correggere i conti pubblici. Un articolo difeso nei giorni scorsi in conferenza stampa dal ministro Sacconi che aveva spiegato: «La manovra vuole rafforzare la contrattazione aziendale. Quest´ultima ha una capacità compiuta anche in deroga ai contratti nazionali e alle leggi». Un concetto che ieri l´Ufficio Studi del Senato si è limitato a ripetere. Nella conferenza stampa del 13 agosto, il ministro aveva aggiunto che i contratti aziendali avrebbero potuto derogare alle leggi anche in materie come «le conseguenze dei licenziamenti senza giusta causa con l´esclusione del licenziamento discriminatorio o in prossimità della maternità». Proprio queste esclusioni dalle materie trattabili nella contrattazione aziendale, ha osservato ieri l´ufficio studi del Senato, fanno implicitamente ritenere che la contrattazione aziendale possa ora intervenire sulla rimanente materia delle conseguenze del licenziamento senza giusta causa. I licenziamenti senza giusta causa sono esplicitamente vietati dall´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e dunque un contratto aziendale che intervenisse sulla materia diventerebbe una deroga a quell´articolo. «L´articolo 18 resta vigente», aveva detto nei giorni scorsi Sacconi, rispondendo alle prime proteste dell´opposizione. Ma il fatto che rimanga in vigore non esclude che possa essere modificato in singole aziende da accordi con i sindacati.
Subito dopo la diffusione della nota e le polemiche che ne sono seguite, l´Ufficio Studi del Senato ha fatto sapere che il documento «è solo una bozza all´esame dei competenti uffici», ma difficilmente, una volta concluso quell´esame, gli esperti potranno giungere a conclusioni diverse da quelle del ministro. A conferma che l´interpretazione del Senato è corretta è arrivata la dichiarazione di un autorevole esponente della maggioranza, il sottosegretario Guido Crosetto: «Considero il fatto di poter licenziare liberamente un obiettivo da raggiungere prima o poi nel Paese: certi tabù, insomma, vanno abbattuti. L´interpretazione dell´Ufficio Studi del Senato non è una brutta notizia».

La Repubblica 18.08.11