attualità, politica italiana

"Sulle città colpo da 20 miliardi", di Maria Zegarelli

Venti miliardi di meno agli Enti locali decisi dalle ultime tre finanziarie e dal Milleproroghe. «In questo modo si rende inapplicabile lo stesso titolo V della Costituzione», commenta Marco Causi, Pd. Se a picchiare duro è uno come Roberto Formigoni allora vuol dire che il governo rischia davvero grossoin casa propria: «Non mi è affatto piaciuto che il consiglio dei ministri per la terza volta abbia calato la mannaia pesantemente su Regioni e Comuni mentre ha dato soltanto una spolveratina a se stesso». La mannaia di cui parla il governatore tradotta in cifre è pari a 20 miliardi di euro in menoagli Enti locali «grazie» alle ultime tre manovre e al decreto Milleproproghe. «Una cifra che non tiene conto del taglio ai Fas e che non è stata controbilanciata da altre misure compensative – dice Davide Zoggia, responsabile Enti locali del Pd -. Davanti a questi dati è evidente che è lo stesso federalismo ad essere stato ucciso dal governo». Bilancio amaro, così tanto che lo stesso ministro Roberto Maroni ha detto che non si può continuare a infierire sui finanziamenti destinati agli Enti locali. Marco Causi, professore di discipline economiche, ex assessore al Bilancio del comune di Roma, nonché membro della Commissione Finanze alla Camera non usa mezzi termini: «L’attuazione del federalismo fiscale riceve dalla manovra finanziaria del governo un colpo durissimo. Al centro della riforma federalistica stanno infatti i fabbisogni standard di finanziamento per i servizi essenziali e le funzioni fondamentali che Regioni ed enti locali garantiscono in tante importanti aree di servizio e di welfare. Ma i nuovi vincoli finanziari imposti a Regioni ed enti locali, che si sommano a quelli già in vigore, determinano un drammatico abbassamento dei livelli di servizio e l’impossibilità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni».Una evidente fragilità del bilancio che lomStato destina agli Enti locali da cui non può che derivare, secondo Causi, una inattuazione dello stesso Titolo V della Costituzione. «La Lega che cerca di tranquillizzare i suoi dicendo
che le Regioni del Nord essendo più ricche non avranno problemi a garantire i servizi, di fatto si mette fuori dalla Costituzione perché il Paese non è fatto solo dal Nord: quei servizi essenziali devono essere garantiti ovunque. E mi chiedo, per esempio, come sarà possibile per un comune del Sud riuscire ad avvicinarsi ai parametri stabiliti da Lisbona – continua Causi – per gli asili nido. Non riusciranno mai, dopo questi ulteriori tagli, a raggiungere il 30% fissato da un trattato che il nostro stesso Paese ha sottoscritto?». Ma se è più tranquillo su questo fronte il costituzionalista Alessandro Pace, il suo allarme cresce su un aspetto «più istituzionale». «Berlusconi – dice – ha annunciato che ci saranno modifiche al decreto legge appena licenziato dal Consiglio dei ministri e firmato dal Presidente della Repubblica. Le faranno in Parlamento con un emendamento integrativo definito, per ben due volte dalla Corte costituzionale, incostituzionale». Insomma, dice Pace, qui è la manovra stessa ad essere a rischio incostituzionalità «perché l’unico modo corretto di intervenire è quello di emettere un nuovo decreto legge e sottoporlo alla firma preventiva del presidente della Repubblica». Difficile che sia questa la strada che
intraprenderà il governo. E sarà anche difficile che alleggerisca il peso dei tagli a Regioni, Province e Comuni. «Impossibile governare il territorio e garantire lo stesso livello di servizi ai cittadini», prevede Alfonso Bonaiuto, assessore al Bilancio del comune di Salerno. Impossibile in una Regione, la Campania, che già ha conquistato la maglia nera rispetto alla gestione dei fondi Ue destinati alle cosiddette aree ad Obiettivo 1.
«Nonostante questa grande opportunità di far parte delle zone ad Obiettivo 1 fino al 2013 – spiega l’assessore – in Campania non si è fatto nulla. Abbiamo restituito milioni e milioni di euro perché non erano stati utilizzati. Con questa manovra sarà ancora più difficile perché per poter usufruire di quei fondi gli Enti locali devono partecipare con una propria quota: dove prenderanno i soldi per i progetti da finanziare anche con i fondi Ue se non saranno più in grado neanche di fornire lo stesso livello di servizi ai cittadini?». Bella domanda, considerando che la regione Campania non è stata in grado di erogare i fondi neanche per i progetti destinati alla ricerca per le piccole e medie imprese datati 2008-2009.

L’Unità 18.08.11

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«Siamo seduti su un vulcano che può esplodere»

Un «abominio» contro il quale gli amministratori locali di tutta Italia dovrebbero alzare la voce e scendere in piazza a reclamare un
dietrofront immediato, in nome dell’equità sociale. Per il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, la manovra del governo, con quella sforbiciata da 6 miliardi di euro agli enti locali, non può passare.
Presidente, cosa significano quei tagli?
«Oltre all’entità drammatica della riduzione dei trasferimenti, il vero dato è politico: siamo di fronte al fallimento strategico di una destra che aveva vinto anche in nome della volontà di costruire uno stato moderno fondato sulle autonomie e che invece da tre anni individua nelle autonomie locali soltanto un costo. Così facendo compie due errori, seppellendo il federalismo e non capendo che il pianeta è fatto di politiche continentali ma la sua forza è nella competitività dei territori. Questa è una sconfitta strategica per la destra e per tutti».
Sul territorio l’impatto della manovra nel concreto quale sarà?
«Questa manovra sarà devastante per tutti gli enti locali. I tagli stabiliti, che si sommano alle contrazioni di trasferimenti degli ultimi anni, cim costringeranno a ridurre sensibilmente le voci di spesa riferibili al welfare. Le politiche di comunità, come ad esempio il sostegno ai centri anziani e ai servizi sociali necessari per le fasce della popolazione più bisognose, saranno le prime ad essere individuate e colpite. Ci saranno tagli agli investimenti per le scuole. Ma inevitabilmente gli interventi più cospicui lederanno le strategie
della mobilità pubblica. E nel complesso, con tagli del genere si genereranno nuove domande sociali che resteranno senza risposta, da quelle dei pendolari che già oggi viaggiano su mezzi che somigliano a carri bestiame, alle istanze e alla solitudine di chi ha bisogno… Questo è ciò che accade quando lo stato sociale arretra».
E nella vostra provincia?
«Nel Lazio solo l’ultima finanziaria ha tagliato 540 milioni di euro, oggi si parla di altri 270 milioni in meno solo per il Comune di Roma. Noi, ad esempio, nonostante avessimo la possibilità di aumentare la tassa sulle autoimmatricolazioni finora non lo abbiamo fatto. Ma i cittadini devono sapere che con questi tagli nei prossimi 10 anni non si spenderà un solo euro per trasporto pubblico».
Secondo lei quindi c’è un errore di fondo.
«Sì, quello di rimuovere totalmente il tema nazionale che è quello generazionale e giovani. In Italia solo il35% dei giovani ha un’occupazione, c’è una parte del Paese che oggi vive nell’oblio e per domani è senza speranza. Siamo seduti su un vulcano, senza rendercene conto. Che nellamanovra delle destre Bossi-Berlusconi questi temi non incidano, ma pesi di più la difesa di chi ha portato i capitali all’estero è un fatto gravissimo.
Nego che sia un problema di risorse. Qui c’è un problema di iniquità. E si mette a nudo una destra che proprio non riesce a fare proprio il concetto di giustizia sociale. È su questo che va fatta una battaglia».
Per questo lei rilancia le proposte del Pd…
«Esattamente. In questa manovra c’è scarsa attenzione alla crescita e una inesistente lotta all’evasione. Si favoriscono i furbi e gli evasori e si stanga invece chi ha di meno. Le decisioni prese dal governo sono figlie di una scala gerarchica in cui i temi che contano non ci sono. Ma a saldi invariati, il merito delle scelte può cambiare. Per questo è importante che i sindaci e i rappresentanti di tutti gli enti locali italiani, anche con una manifestazionem sotto Palazzo Chigi, chiedano di cambiare priorità, dicendo “no” ai furbi e agli evasori e “sì” ai diritti della persona. Di fronte a questo attacco sconsiderato al welfare e alle fasce sociali più deboli non possiamo restare inerti».
Quindi si possono recuperare in altromodole risorse che a oggi si pensa di risparmiare con i tagli agli enti locali…
«Certo, non c’è un problema di numeri ma di priorità. Per questo
chiedo con forza che il governo punti sulla lotta all’evasione, che si introduca un’ulteriore tassazione per i capitali “scudati” e che si estenda la tracciabilità dei pagamenti. Recuperare i soldi dell’evasione, ma anche un prelievo sui grandissimi capitali, compresi quelli immobiliari. In questo modo sarà possibile recuperare ingenti somme ed evitare di far pagare ulteriormente questa crisi a ceti bisognosi e già notevolmente tartassati».

L’Unità 18.08.11

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“Comuni, sforbiciata sotto i 10mila abitanti”, di Mauro Favale

Ecco come cambiano giunte e consigli. Sindaci in piazza per protestare. In molti centri resterà solo il primo cittadino: l´opposizione non è prevista. Cambia la geografia, spariscono quasi 2.000 piccoli Comuni, si rimpiccioliscono i consigli comunali e, per qualcuno, si riducono anche gli spazi di democrazia. La manovra del governo, nell´anno del 150esimo anniversario dell´Unità d´Italia, trasforma il profilo del Paese e rivoluziona la rappresentanza a livello locale, in quella rete di Comuni che finora ha caratterizzato la provincia italiana. Degli attuali 8.092 municipi ne resteranno 6.129: 1.963 quelli a rischio (perché sotto i mille abitanti) e che potrebbero essere costretti a fondersi tra di loro nelle cosiddette “unioni municipali”, raggruppamenti di enti con una popolazione di almeno 5.000 abitanti.
È questo il destino che potrebbe toccare a Lorenzago di Cadore, provincia di Belluno, dove oggi il ministro Giulio Tremonti, “padre” della manovra, festeggerà 64 anni. La stessa sorte di Sestriere, in Piemonte, sede di tappe della coppa del mondo di sci alpino, o di Torrita Tiberina, 60 km da Roma, nel cui cimitero è sepolto Aldo Moro. In questi paesini, ormai trasformati in “ex Comuni”, il municipio diventerà la sede di un solo rappresentante: soppressa la giunta e cancellato il consiglio comunale resterà il sindaco come unico organo di governo. Sarà lui a rappresentare l´ente nell´assemblea dell´unione municipale, guidata da un presidente e una giunta. Piccola anche questa, pari a quella prevista per i comuni con popolazione uguale a quella complessiva dell´unione. Perché il decreto fissa paletti rigidi e ridisegna interamente consigli comunali e giunte.
Così: per i comuni con popolazione tra mille e 3.000 abitanti il consiglio verrà composto da 5 consiglieri più un sindaco che al suo fianco potrà avere al massimo due assessori. Per i comuni fino a 5.000, l´assemblea sarà di 7 consiglieri più il primo cittadino che, in questo caso, potrà contare su un massimo di 3 assessori. Più si sale, più aumentano, seppur leggermente i numeri. Perché nei comuni fino a 10.000 abitanti il consiglio avrà 9 consiglieri, un sindaco e massimo 4 assessori.
Una cura dimagrante rigidissima, «l´ennesimo guazzabuglio», per Enrico Borghi, presidente dell´Unione comunità montane, secondo il quale, questa manovra darà vita a enti, come le unioni municipali, «in cui non esiste la minoranza. Tutte le competenze residue del Comune, dall´urbanistica al patrimonio, passano ad una persona sola. Significa che un sindaco-podestà deciderà come vorrà». E quella di Borghi è solo una delle tante voci contrarie alla manovra. Lunedì i sindaci dei piccoli Comuni scenderanno in piazza a Torino. Una mobilitazione che parte dal Piemonte, la regione che paga il tributo maggiore a questa manovra, con 598 municipi sotto i mille abitanti.
«Mantenerci in vita costa in un anno meno di quanto si spende per pagare 3 deputati. Con le fusioni il risparmio sarà di appena un milione e 150mila euro», sostiene l´associazione dei piccoli comuni lanciando un appello per «un´audizione urgente a Roma». L´Anpci ha poi calcolato non solo gli effetti economici ma anche quelli sulle poltrone tagliate: sarebbero «20.900 e non 54 mila, come il ministro Calderoli sbandiera».

La Repubblica 18.08.11