attualità, politica italiana

"Lacrime, sangue e sprechi. La manovra finisce nel Ponte", di Manuela Modica

Il Ponte non c’è ancora, e praticamente neanche le opere preliminari. In compenso ci sono già i primi conti, salatissimi, che graveranno sulle spalle dello Stato per un quarto dellamanovra
appena varata. Più che un ponte, un pozzo senza fondo. Tra i soldi già spesi e quelli in preventivo lo Stretto di Messina più che dell’azzurro del mare sembra brillare d’oro. Dalla sua fondazione, infatti, la Società Stretto di Messina è costata alle casse dello Stato almeno 400 milioni. È stata costituita l’11 giugno1981 (a seguito della legge istitutiva 1158/1971) ed è concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del Ponte. Da allora, ha percepito un contributo annuale dallo Stato di 50 miliardi di lire, poi convertiti in euro, fino al 1996, quando il governo Prodi frenò la trasfusione di denaro dalle casse statali, tagliando l’annualità. Eppure dall’81 al 2011 non si è fatto nulla. Nonostante i numerosi annunci, le dichiarazioni da propaganda – alcune paradossali: Matteoli sostenne ai microfoni di Sky, per esempio, dopo l’alluvione di Giampilieri (50 km a sud dal punto in cui dovrebbe sorgere la megastruttura) che il ponte avrebbe evitato le morti –non esiste ancora il progetto esecutivo, senza il quale nessun lavoro può prendere avvio, e non esiste ancora lo studio di fattibilità. Vuol dire che ancora non si sa se sia possibile realizzarlo: «Per stessa ammissione dei progettisti esistono 120 criticità da risolvere,una per esempio riguarda i giunti che terranno l’impalcatura », spiega Domenico Marino, docente presso il dipartimento di Patrimonio
architettonico all’università di Reggio Calabria, autore del libro L’insostenibile leggerezza del ponte. Non si sa ancora come si farà a sostenere la campata unica più grande al mondo, lunga 3,5 chilometri, ma si conoscono le cifre dell’ipotetica realizzazione. Numeri in costante espansione: «Il costo di costruzione era stato previsto in 4,6 miliardi di euro nel progetto preliminare del 2003. – continua Marino – Questa cifra è lievitata a 6,3 miliardi nel 2008. Oggi nel progetto definitivo approvato dalla Stretto di Messina è di 8,5 miliardi. Con questo trend si arriverà a 12 miliardi in fase di progetto esecutivo». Mentre il progetto definitivo è stato annunciato
soltanto poche settimane fa. Lo scorso 29 luglio Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto Spa, così annunciava il via libera del cda: «L’investimento complessivo previsto nel piano economico finanziario viene aggiornato da 6,3 a 8,5 miliardi».
L’annuncio arriva appena 10 giorni dopo la notizia che in «Europa 2020», il piano di finanziamento della Commissione Ue che partirà nel 2014, è stato cancellato il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. E annuncio è rimasto: il progetto definitivo non ha avuto una presentazione ufficiale. Mentre Eurolink, il consorzio che ha vinto il bando di gara nel 2003, liquida per termine contratto (a progetto) 15 addetti, restando con un solo dipendente, si riducono drasticamente i soldi per le opere compensative. Solo il Comune di Messina aveva previsto per queste una spesa di 250 milioni, ma nell’ultima finanziaria il tetto massimo previsto per le “compensazioni” è del 2 per cento: «In tutto erano stati previsti 700milioni di spesa, il 2% dell’intera somma consiste soltanto in 156 milioni». Dalla Stretto rispondono che si deve fare riferimento alla finanziaria precedente, quella cioè in cui il costo complessivo del ponte era stimato «in 4,6 milioni e la spesa prevista per le opere compensative del 5%: 200 milioni circa, quindi». Ma Ciucci spiegava a fine luglio anche l’attenta analisi di fattibilità finanziaria: «È stato confermato lo schema di finanziamento del progetto che prevede di raccogliere sui mercati finanziari oltre 4 miliardi di euro, così come previsto nel piano 2009». Quindi un’opera che rischia di costare allo Stato un quarto di tutta al manovra lacrime e sangue, si affida ai mercati finanziari, adesso, con il clima che c’è in giro. Il governo ha previsto nella finanziaria di giugno che la società passi alle dipendenze dirette del Ministero del tesoro. Dunque espropri, risarcimenti alle famiglie, altri costi per lo Stato. Si attende ora il pronunciamento del Cipe sul progetto definitivo, e dopo l’ultimo passaggio, l’approvazione del progetto esecutivo, in cui si saprà l’effettivo costo e se davvero è possibile unire Scilla e Cariddi.

L’Unità 19.08.11