attualità, politica italiana

"Alla ricerca dell'autorità perduta", di Ilvo Diamanti

Viviamo un passaggio d’epoca. Questa crisi, infatti, non scuote solo le Borse, l’economia, la condizione di vita della gente. Ha aggredito, con violenza, anche il principio di autorità. Il Potere stesso, che a differenza dell’Autorità, non ha bisogno di legittimità e di consenso. Dovunque, si assiste alla rapida e diffusa caduta di ogni autorità. E di gran parte dei “poteri” che regola(va)no il nostro mondo. Anzi, il mondo, in generale. Lasciamo per ultimo il nostro Paese. È sempre stato una “periferia”, che oggi, però, appare priva di “centri”.

A partire dall’Europa dell’euro, una moneta senza Stato. E senza politica. Mentre l’Unione europea è un tavolo dove i governi nazionali si confrontano. In un gioco a somma negativa, perché nessuno, appunto, ha sufficiente potere per imporsi agli altri. Neppure i più forti. Si veda l’esito del vertice tra Sarkozy e la Merkel. Meno di nulla. D’altronde, Sarkozy e la Merkel, a casa loro, sono in profonda “crisi” di popolarità. Come i principali capi di governo europei. Senza parlare di noi, basti pensare a Zapatero, che ha indetto le elezioni per il prossimo autunno, annunciando che non si ripresenterà. Lo stesso Cameron, da un anno premier inglese, sta attraversando più di un problema. Per sedare le violenze esplose due settimane fa, a Londra e in altre città, ha dovuto mobilitare 16mila agenti. Lo stesso numero, più o meno, dei “tumultuosi”. Cameron: ha usato la forza (pubblica), ma i tagli alla spesa ridurranno gli organici della polizia. E, per questo, è in polemica aperta con Scotland Yard. Esempio significativo del conflitto fra i poteri – e dunque dell’autorità – dello Stato (e che Stato!). Lo stesso Cameron, d’altra parte, ha accusato le famiglie di aver ceduto, se non perduto, la propria “autorità” rispetto ai figli. Per l’incapacità di dettare regole e valori. Ma per dettare valori e ancor più regole occorre Autorità. O almeno, potere. Meglio entrambi, insieme. Oggi chi è in grado di esercitarli? Allargando lo sguardo al mondo, chi comanda? Gli Usa? Certamente non più. Viviamo in un mondo multipolare. E gli Usa, oggi, sono coinvolti nella crisi finanziaria “globale”, esattamente come gli altri Paesi dell’area di mercato.

Anzi, la loro stessa debolezza ne è una causa. Un moltiplicatore. Il che ha eroso, rapidamente, la popolarità, dunque il “consenso” e la legittimità del presidente Obama, appena un anno fa, considerato il portabandiera di una stagione di rinnovamento globale. Oggi in difficoltà, quasi im-potente, dentro e fuori gli Usa. Nonostante sia investito di “poteri” ben più rilevanti rispetto ad altre democrazie, come la nostra. Dove in molti vagheggiano il modello presidenzialista (all’americana).

I “nuovi” potenti del mondo, per prima la Cina, agiscono, anch’essi, attraverso i “mercati” e le Borse. Controllano il debito pubblico americano. Ma ne sono, per questo, vincolati. La Cina, però, sconta un deficit di autorità. Perché non può costituire un “modello” internazionale, dal punto di vista dei diritti e dei valori che ne orientano il regime, sul piano interno.

La crisi finanziaria che scuote l’economia globale, d’altronde, riflette un’evidente incertezza di “poteri” e di regole condivise. Nessuno che sia in grado, davvero, di prevedere e di orientare il corso dei mercati – e delle Borse. La relazione tra finanza ed economia è debole (per usare un eufemismo). La politica ancor di più. Si dice, anzi, che la debolezza della politica e degli Stati sia causa della crisi delle Borse. Prive, a loro volta, di metri e, soprattutto, “autorità” in grado di regolarle. Le agenzie di Rating, con i loro “voti”, possono produrre (e hanno prodotto) effetti pesanti. Ma sono, a loro volta, poco credibili, dopo la pessima prova offerta nel 2008, al tempo della crisi dei subprimes. Il Nobel dell’Economia, Paul Krugman, sul New York Times le ha definite, impietosamente, “clown”. E ha riproposto, come prima causa della crisi finanziaria, la debolezza della politica e degli Stati (Uniti). Una crisi di autorità, insomma.

D’altronde, dal punto di vista geopolitico, è da mesi che poteri senza autorità, come quelli espressi dai regimi del Nord Africa e del Medio Oriente, sono stati investiti da potenti contestazioni – protagonisti soprattutto i giovani. Fino ad essere rovesciati. Dove, però, come in Tunisia e in Egitto ha contribuito l’esercito a rovesciare il “potere” precedente. Altrove, invece, (Libia e Siria, in particolare) si assiste a rivoluzioni ancora incompiute. Guerre civili. Rivolte represse nel sangue. Eppure irriducibili.

La crisi del Potere e – soprattutto – dell’Autorità, infine, è particolarmente visibile in Italia. Dove la Politica è debole, più ancora della Finanza e dell’Economia. Dove i leader di governo cercano di non dar nell’occhio. Si affidano alla supplenza di altri poteri (relativamente) più autorevoli, come la Bce. Mentre l’opposizione stenta a trasformare l’impotenza della maggioranza in potere. A guadagnare autorità. Il nuovo moto di insofferenza contro la casta non deriva solo dal riprodursi di un sistema di privilegi – e di corruzione – che, in effetti, non è mai cessato. Ma dall’assoluta perdita di autorità della classe dirigente. Soprattutto dei leader che governano il Paese da 10 anni, in modo quasi ininterrotto. Quelli che, fino a un anno fa, avevano trasformato Villa Certosa nella rutilante capitale estiva del Paese. Affollata di veline e velinari. Quelli che parlano di politica con un linguaggio antipolitico. Usano il turpiloquio come linguaggio pubblico. E alzano il dito non per mostrare la luna …

Come immaginare che possano riscuotere “prestigio” e deferenza tra i cittadini? Se riproducono i vizi e le debolezze del popolo, perché dovrebbero ottenere privilegi e riconoscimento da parte del popolo? Oggi che la crisi minaccia la condizione economica e sociale, la vita quotidiana di tutti?
Questa fase mi pare particolarmente insidiosa. Difficile da superare. È frustrata da un grande deficit di autorità – e di potere. Da una grande povertà di riferimenti etici e di comportamento. Un problema aggravato, (non solo) in Italia, dalla scarsità di attori e persone credibili. In grado di “dire” le parole necessarie a esprimere il sentimento del tempo. (Ne abbiamo tracciato una “Mappa”, un mese fa, su Repubblica). Ma, soprattutto, di tradurle in pratiche coerenti. Di dare il buon esempio.

Eddy Berselli, prima di lasciarci, ha rammentato, profeticamente, (L’economia giusta, Einaudi) che “dovremo abituarci ad essere più poveri”. Ma, a maggior ragione, diventa importante chi e come ce lo propone. Insomma: è una questione di autorità.

La Repubblica 22.08.11