attualità, politica italiana

"Perchè è giusto tassare i patrimoni", di Gad Lerner

Non sono riuscito ad afferrare il nesso logico con cui la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, nell´intervista rilasciata ieri a “Repubblica”, respinge l´idea di prelievi fiscali aggiuntivi a carico dei ricchi italiani. Quando Roberto Mania le chiede se firmerebbe il manifesto dei sedici imprenditori e manager francesi disponibili a «un contributo eccezionale», così risponde la Marcegaglia: «Se fossi in Francia sì, in Italia no. Da noi una tassa di quel tipo servirebbe soltanto a far pagare di più chi le tasse le paga già con un prelievo che complessivamente ormai sfiora il 50 per cento».
Non voglio pensare ad un mero aggiramento dialettico. Posso condividere, vivendolo pure io, un certo fastidio dovuto al fatto che noi fortunati lavoratori ad alto reddito pagheremo salato (com´è doveroso, viste le circostanze); mentre nulla è richiesto agli altrettanto fortunati detentori di patrimoni, che vivono magari di rendita. In Italia se sei ricco e non guadagni, niente tasse. Questa è la vera differenza con la Francia, dove vige l´Imposta di solidarietà sulla fortuna a carico di chi possiede cospicui patrimoni. Dunque paghi in percentuale su quel che hai già, non solo su quanto incassi.
Sarebbe maggiormente apprezzabile la premura della Marcegaglia a favore di chi guadagna 90 mila euro lordi l´anno, e quindi non può considerarsi un ricco da spremere, se lo facesse seguire da un richiamo alle responsabilità eccezionali cui sono chiamati oggi i veri ricchi. Lo ha proposto il suo predecessore al vertice della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo; dispiace non se ne faccia carico lei. Possibile che in Italia trovino così scarsa udienza le voci di Warren Buffett e della borghesia francese? Che non si avverta la necessità di un contributo straordinario su base patrimoniale per un´equa ripartizione dei sacrifici necessari a fronteggiare l´emergenza?
In verità il ricorso a un´imposta patrimoniale straordinaria non spaventa certo quegli imprenditori che hanno fiducia nelle proprie capacità di creare ricchezza; consapevoli peraltro del fatto che tale prelievo non sarà mai tale da modificare il loro tenore di vita. Ciò spiega anche perché le loro voci isolate siano risuonate, comunque, ancor prima dell´iniziativa di una sinistra italiana ridottasi per troppo tempo a considerare il tema della giustizia sociale poco spendibile sul terreno del marketing politico.
Non dovrebbe mancare all´appello una confederazione degli industriali proclamatasi fautrice del merito contro il parassitismo delle rendite: proprio ieri “Il Sole 24 Ore” ricordava che l´evasione fiscale tocca percentuali del 56,3% nel lavoro autonomo, ma schizza addirittura all´83,7% fra i rentier.
Il contributo di solidarietà disposto nella manovra economica del governo è viziato per l´appunto da questa distorsione inaccettabile: viene imposto sui redditi ma non sui patrimoni. Tanto per capirci: è giusto che Berlusconi contribuisca solo in ragione delle sue entrate annuali? O dovrebbe essergli richiesta pure una quota relativa alle svariate proprietà immobiliari e mobiliari in cui ha valorizzato il suo patrimonio? Naturalmente la stessa domanda vale per tutti gli altri milionari e miliardari d´Italia. A prescindere dalle loro ultime dichiarazioni dei redditi.
Da Pellegrino Capaldo a Pietro Modiano, sono state avanzate (e ignorate) ormai varie ipotesi di prelievo una tantum sui patrimoni, in grado di garantire un gettito elevato salvaguardando l´ampia fascia di popolazione che ha visto diminuire il proprio reddito nel mentre una minoranza di italiani si arricchiva in proporzioni abnormi rispetto alla mancata crescita del Pil. Si è detto e ripetuto che la rivoluzione italiana passa dalla ricevuta fiscale, nonché da quell´accertamento efficace della ricchezza circolante già costato al benemerito Vincenzo Visco l´epiteto di Dracula. Giusto, ma non possiamo permetterci di star fermi nell´attesa di tale rivoluzione.
In conclusione, vorrei raccontare a Emma Marcegaglia la storia vera di un manager di mia conoscenza che dieci anni fa percepì una liquidazione milionaria e da allora ha deciso di non lavorare più. Per passare il tempo, ha imparato a giocare a golf; e con stupore mi racconta che nei giorni feriali i campi sono affollati di persone come lui che vivono di rendita. Buon pro gli faccia, ma vogliamo chiedere un contributo di solidarietà pure a loro?

La Repubblica 25.08.11

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“Una tassa per la prosperità”, di GIANCARLO GALAN
Caro direttore, chi desidera o sogna di rimettere in gioco l’idea che più gli sta a cuore, dev’essere disposto a sfidare rigidità, ortodossie, conservatorismi che costituiscono la corazza che è nemica di ogni liberatorio cambiamento.

L’ insofferenza verso tutto ciò che impedisce ogni positivo mutamento è la caratteristica di ogni vero liberale. E questa «virtù» è tanto più benefica quanto più la si esercita in tempi di crisi, quali quelli che stiamo attraversando e in cui occorre innanzitutto rifiutarsi alla paura o all’odiosa difesa dei propri privilegi, del proprio esclusivo punto di vista.

Ecco perché il primo passo in avanti può essere compiuto soltanto se chi sta al governo e chi all’opposizione agisce secondo quanto ebbe a dire Simone Weil: «Si deve sempre essere pronti a cambiare idea insieme con la Giustizia, questa eterna fuggitiva dal campo del vincitore».

Il che significa che in certi «straordinari» momenti si vince come Paese se ognuna delle parti in campo è disposta ad ascoltare e quindi ad accettare ciò che «l’altro» suggerisce o propone.

O non è forse questo il senso autentico del messaggio del Presidente della Repubblica quando invita le forze di governo e di opposizione a «finalmente liberarsi da approcci angusti e strumentali»?

Di qui l’apertura al confronto, al costruttivo dibattito parlamentare, che il Presidente Berlusconi auspica da giorni per consolidare in meglio la manovra anticrisi, anche in vista di quelle grandi riforme fino ad ora da più parti ostacolate o respinte.

Da liberale quale sono, la sola parola «patrimoniale» mi provoca l’orticaria. Ma questo non mi impedisce affatto di riflettere con tutta la dovuta attenzione su quanto proposto da Luca Cordero di Montezemolo e da Italia Futura sulla etica utilità di tassare i grandi patrimoni dello 0,5 per cento quando questi superino i 10 milioni di euro. Non la si chiami patrimoniale, perché, in effetti, una simile tassa la giudicherei un contributo da parte di chi, avendo molto dato e molto avuto, sente il dovere di garantire una nuova e più lunga prosperità alla propria nazione. E la tassa per la prosperità della nazione potrebbe fruttare un miliardo l’anno da mettere a completo «finanziamento dell’istruzione superiore, dei progetti di ricerca delle università» e di quanto necessita per la tutela, salvaguardia e conoscenza dei nostri beni culturali e paesaggistici.

Tanto per citare alcuni di quei temi che, se affrontati e risolti – approfittando in positivo della crisi – porterebbero enormi vantaggi al sistema culturale, turistico e pertanto economico dell’Italia, è poi così impossibile lavorare sul serio per la cessione di almeno due reti della Rai o delle concessioni Anas o per l’abolizione di tutte le Province?

Le crisi, quelle che possono causare danni irreparabili, hanno questo di buono: vanno affrontate con cure severe, con medicine che guariscono per davvero. Oltretutto l’ammalato, fuor di metafora, nel senso che l’ammalato siamo noi tutti intesi come nazione, è disposto ad accettare qualche duro sacrificio, anche perché si aspetta che siano decisi finalmente provvedimenti non più dilazionabili, come la riforma delle pensioni, ad esempio. Riformare la previdenza è un atto che va oltre le scadenze della politica corrente, essendo questa riforma ciò che serve per garantire un futuro di reale benessere ai giovani, alle donne, alle prossime generazioni.

E la stessa apertura al nuovo deve poter valere se si osserva ciò che sta accadendo, ormai da mesi, nella vicinissima Africa del Nord, o ciò che accade e che di sicuro accadrà in termini assolutamente imprevisti e imprevedibili nel Medio Oriente. Novità che impongono al nostro Paese e a tutto il mondo politico internazionale di nostro riferimento scelte coraggiose, improntate a quanto è in grado di favorire la crescita della democrazia nei Paesi delle rivoluzioni ancora in corso; lo sviluppo delle nostre e altrui economie; l’abbattimento di ogni barriera tesa a dividere e ad allontanare tra loro chi invece avrebbe tutto l’interesse a costruire «bacini» comuni di libertà e di civile convivenza.

Ancora: in un quadro di auspicabile «liberatorio cambiamento» sarebbe urgente un diverso approccio dell’opposizione al tema del difficile rapporto dell’Italia con l’Europa.

Questione assai complessa questa, ma di sicuro la nostra opposizione dovrebbe giudicare lucidamente i danni che stanno causando in ogni campo all’Unione Europea i congiunti euro-nazionalismi sostenuti dalla Germania di Angela Merkel e dalla Francia di Nicolas Sarkozy.

Ministro ai Beni Culturali

La Stampa 25.08.11