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"Consigli per resistere all'emergenza", di Luca Mercalli

Costa Est degli Stati Uniti: prima un improbabile terremoto, poi l’attesa per l’arrivo di Irene fino a New York, un uragano poco consueto fino a queste latitudini, il tutto a dieci anni da quel drammatico undici settembre. Cosa si accanisce sull’America? Le tempeste naturali dopo quelle finanziarie hanno almeno un vantaggio: sono un fenomeno fisico potente, pericoloso ma ben identificabile, contro cui ci si può organizzare e preparare. E proprio una concreta e pragmatica «preparedness» formicola febbrile su una striscia di territorio che va dalla South Carolina al New England, un concetto intraducibile in italiano, un misto di prevenzione e prontezza operativa di fronte a un disastro annunciato, sotto il motto «Sperare in bene, prepararsi al peggio». Nulla a che vedere con il catastrofismo né con il fatalismo. Qui sono le immagini satellitari e i modelli di simulazione dell’atmosfera a fornire i dati su cui costruire una strategia delle istituzioni ma soprattutto del popolo. Dopo Katrina nel 2005 gli Stati del Sud hanno metabolizzato questa lezione, per New York è invece meno scontato dover mettere in atto un piano di emergenza uragani, ma c’è sempre una prima volta, vuoi perché la statistica dei fenomeni meteorologici ha sempre nuove sorprese in serbo, vuoi perché i cambiamenti climatici cominciano a truccare le carte delle frequenze di eventi estremi.

Così, allertata dal National Hurricane Center (www.nhc.noaa.gov), la municipalità newyorkese non ha esitato da un lato a pulire i tombini da foglie e detriti, dall’altro a informare con ogni mezzo i propri cittadini su cosa fare di fronte al ciclone tropicale che potrebbe portare piogge torrenziali fino a 380 millimetri, raffiche tempestose di vento fino a 100 km/h e onde di marea alte fino a un paio di metri in grado di allagare vaste aree costiere e urbane. Le istruzioni sono semplici e chiare, stampate fin dal 2006 in undici lingue, italiano incluso (www.nyc.gov). Preparatevi a resistere fino a tre giorni di isolamento in casa con un «emergency kit»: quattro litri d’acqua potabile al giorno per persona, cibo in scatola e ovviamente l’apriscatole, materiale di pronto soccorso, lampada di emergenza con lampeggiante, radio a batterie o meglio con generatore manuale a molla, materiale per igiene personale maschile e femminile, varechina e contagocce per disinfezione acqua, provviste per bambini piccoli o anziani. Poi, in caso di evacuazione, tenete pronto uno zainetto d’emergenza («go bag») contenente: copia dei documenti importanti in busta impermeabile, secondo mazzo di chiavi di casa e dell’auto, bancomat, carta di credito e 50-100 dollari in biglietti di piccolo taglio, acqua in bottiglia e cibi non deperibili come barrette ai cereali o ad alto contenuto energetico, torcia elettrica, radio con pile di riserva, informazioni mediche aggiornate, elenco farmaci assunti e altri oggetti personali essenziali, nomi e numeri di telefono dei medici di famiglia, cassetta di pronto soccorso, informazioni su contatti e luogo di incontro per i membri della famiglia, unitamente a una mappa della zona, provviste per i bambini piccoli e altri oggetti per familiari bisognosi di speciali attenzioni. Ho voluto riportare anche solo una parte di questo elenco che sembra (a noi) ridicolo e banale, ma è fondamentale per difendere la propria vita e garantire un minimo di comfort durante i momenti critici. In Italia ve lo ha mai dato qualcuno? L’avete sentito declamare alla tv? Qui ci si vergogna quasi a dire alla gente di tener pronto un paio di stivali in caso di alluvione e un cambio di mutande pulite, paura di creare panico, di portare sgarro, meglio incrociare le dita, toccare ferro o altro, e poi sperare sui vigili del fuoco e i volontari della protezione civile, loro sì preparatissimi, ma che tuttavia intervengono solo a tragedia compiuta.

La Grande Mela tecnologica e glamour non si è vergognata, per bocca dello stesso sindaco Bloomberg, di ricordare di prendere portafoglio e dentifricio, di consultare la mappa su web dei rifugi collettivi più vicini (lo sapete dov’è il vostro?) e di scendere sotto il decimo piano dei grattacieli, che più in alto il pericolo è maggiore, e senza dimenticare cani e gatti! E’ proprio questa composta e operosa solerzia di tutti, dai politici ai portinai, che stupisce noi latini: qui siam stati rapidi a copiare i mutui subprime, mentre la preparedness è sconosciuta. Ne avremmo tanto bisogno, come patrimonio personale diffuso, non solo degli addetti ai lavori. Vi si sopperisce spesso con una tardiva pietas, da parte dei soccorritori, dei medici, ma più spesso nei cimiteri.

La Stampa 27.08.11