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"Bersani: l’articolo sui licenziamenti serve solo a provocare le parti sociali", di Francesca Schianchi

Arriva al Meeting di Rimini con un obiettivo in testa: «Se vedrò qui Tremonti, gli voglio dire una cosa: ma vi rendete conto del disastro che state provocando con l’articolo 8?». Siccome poi l’incontro con il ministro dell’Economia avviene, un faccia a faccia di dieci minuti, il leader del Pd Pier Luigi Bersani solleva l’argomento, esce rinfrancato dall’atteggiamento del ministro («sull’articolo 8 non si è chiuso, mi è sembrato abbastanza aperto») e scatena così la polemica con governo e Pdl, lesti a ribadire, a partire dal ministro del Lavoro Sacconi, che la norma non si tocca.

L’articolo 8 della manovra, già molto criticato dalla Cgil, tratta di contratti di lavoro: a quelli aziendali o territoriali è permesso di regolare varie materie, incluso il licenziamento, anche in deroga a leggi e contratti nazionali. Vengono inoltre riconosciuti come «efficaci» gli accordi, come quelli alla Fiat di Pomigliano e Mirafiori, siglati prima dell’intesa raggiunta il 28 giugno tra Confindustria e sindacati.

Così, tra un attacco alla manovra «ingiusta e recessiva» e al centrodestra «barca senza timone» e senza «timoniere», il segretario Pd innesca la polemica. Subito risponde Sacconi: «Bersani non può chiedere solo a Tremonti, che peraltro ha contribuito alla elaborazione della norma, di togliere l’articolo 8», seccato dall’apertura del collega dell’Economia (il cui portavoce si preoccupa infatti in serata di sottolineare che Tremonti «non ha avuto colloqui riservati e non ha parlato di manovra»). Di eliminare la norma, comunque, «non se ne parla proprio», taglia Sacconi: «Il Pd ancora una volta si appiattisce sulla Cgil e si rivela partito della conservazione ideologica».

Accusa a cui Bersani reagisce: «Più che sulla Cgil, sono appiattito sulla positiva intesa del 28 giugno», scrive, «un governo serio dovrebbe custodire e sostenere quell’intesa e non metterla a rischio». Ma il ministro del Lavoro non è d’accordo: «La nuova norma è coerente» col patto del 28 giugno.

La pensa così anche la leader di Confindustria, Emma Marcegaglia: la norma «deve rimanere, gestita in continuità con l’accordo e insieme ai sindacati firmatari».

Mentre dal Pd arrivano voci a sostegno del segretario («il Parlamento corregga l’estremismo ideologico del ministro del Lavoro», sospira Fassina), dal Pdl è un coro di no alla richiesta di stralcio: dal capogruppo al Senato Gasparri che definisce Bersani «il vice della Camusso» e «leader del partito della disoccupazione» al collegaQuagliariello che inscrive la norma «nella categoria dei principi non negoziabili». Gli risponde in serata Bersani: «Non è negoziabile? Ma chi è, il Papa?». No, ripete ancora, quell’articolo è stato messo lì «per accendere la miccia», è «stato inserito in maniera irresponsabile per creare tensioni». E allora «o si toglie e si fa fare la contrattazione alle parti sociali o si riporta il documento firmato a giugno, su cui erano tutti d’accordo».

La Stampa 28.08.11

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“Bersani difende lo sciopero:contro il decreto va bene tutto”, di Francesco G.Gioffredi e Diodato Pirrone

Contro la manovra va bene tutto. Anche lo sciopero generale della Cgil. In visita al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione Pier Luigi Bersani getta acqua sul fuoco della polemica scatenata da quanti nel Pd non hanno digerito la mossa della Camusso. «Il Partito democratico sarà presente ovunque si protesterà e si criticherà questa manovra, anche allo sciopero della Cgil – ha detto Bersani – Anche in casa mia, nel Pd, assisto sullo sciopero a una discussione che non capisco. Tutti protestano per questa manovra, non ho sentito uno che sia d’accordo. Poi, c’è chi sceglie di scioperare, chi fa un’assemblea, chi organizza una raccolta di firme. Io dico: ognuno scelga in autonomia le forme di protesta che vuole. Il Pd – ribadisce Bersani – sarà presente in tutti i luoghi, scioperi e quant’altro, organizzati da chi vuole chiedere più equità e crescita nella manovra, correggendola».
Logico quindi che Bersani sia tornato a picchiare duro sull’impianto della finanziaria di Ferragosto. Non solo è tornato a chiedere lo stralcio dell’articolo 8 responsabile, a suo giudizio, dell’apertura di un’autostrada per i contratti aziendali senza un’intesa con le parti sociali («il governo non accenda micce fra i sindacati», ha detto) ma ha aggiunto al ritornello sull’iniquità della manovra un nuovo e pesante aggettivo: «Non è credibile».
E’ evidente che Bersani si aspetta un settembre ancora rovente sul fronte dei mercati e mette le mani avanti su una manovra che se dovesse essere bocciata dai mercati potrebbe essere l’ultimo atto dell’attuale maggioranza. «Alla fine – aggiunge il segretario del Pd – come dice Bossi, una quadra la dovranno trovare. Ma purtroppo la soluzione lascerà buchi molto seri». E poi scandisce con cura: «Io non critico solo il merito di questa manovra ingiusta e recessiva, ma dico anche che non è credibile e temo che i mercati e gli osservatori internazionali questo lo abbiano capito. Il rischio più grosso è che, fatta una manovra scombinata, il giorno dopo si sia punto e a capo».
Un concetto che il leader Pd ha precisato in serata inaugurando a Pesaro la Festa Democratica nazionale. «Anche con gli aggiustamenti di cui si favoleggia – ha commentato ancora il leader del Pd – credo che gli osservatori internazionali si siano resi conto che il governo non riuscirà a fare nulla di strutturale». «In tutto il mondo – ha poi aggiunto – dagli Usa alla Francia, quando si chiede un sacrificio ci si rivolge a chi può farlo e non a chi non può. Questo credo che i mercati e gli operatori finanziari internazionali lo abbiano capito a dovere».
Analoga la lunghezza d’onda scelta da Massimo D’Alema ricomparso ieri in pubblico deciso a denunciare le oscillazioni della manovra, le fratture del governo e per definire «del tutto legittimo lo sciopero generale perché la gente ha pienamente diritto di protestare in una situazione così».
D’Alema ieri era nel Salento, a Melpignano, per il concertone della Notte della Taranta. Con i cronisti dapprima tenta di tenere la politica fuori dall’uscio, ma l’incursione sui temi nazionali è inevitabile. A partire dallo sciopero indetto dalla Cgil, appunto, e delle reazioni interne al Pd: «La gente ha ragione a protestare», riflette D’Alema. Giusto allora che i democratici aderiscano all’iniziativa della Camusso? «Guardi, sono del tutto d’accordo con quel che dice Bersani». Insomma: va bene così, mettendosi in scia alla Cgil? «Ma noi non ci accodiamo a nessuno, rispettiamo l’autonomia delle forze sociali. Credo che il Paese e i cittadini abbiano il diritto di essere arrabbiati per il modo confuso, ingiusto, inefficace con cui il governo sta affrontando la crisi. Soprattutto dopo che è emersa una grave responsabilità: questo governo ha sottovalutato la gravità della stessa crisi e si è invece trastullato per anni raccontando che la crisi non c’era. In questo modo ha perso credibilità».
Il Pd ha già messo a fuoco i suoi emendamenti per calibrare il tiro sulla manovra. Ma nelle parole di D’Alema una buona dose di realismo prevale su tutto: «Cambiare la manovra? Ormai non si capisce più cos’è, ogni giorno fanno un incontro e poi cambiano idea. Il governo prepara il decreto, dopodiché la gran parte dei membri dell’esecutivo inizia la lotta per cambiarla». Non resta che tracciare la road map per la fase post-approvazione in Parlamento della manovra d’agosto: «Berlusconi dovrebbe fare una sola cosa importante: dimettersi», chiosa D’Alema. E poi? «Deciderà il capo dello Stato Giorgio Napolitano».

Il Messaggero 28.08.11