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«Cambiamo lo Statuto Pd. Un politico deve essere più corretto di un cittadino», intervista a Luigi Berlinguer di Simone Collini

Il presidente della Commissione di garanzia «Il caso Penati sarà discusso il 5 settembre. È doveroso che il partito valuti un suo iscritto secondo criteri di etica politica che ha tempi diversi rispetto a quelli della magistratura». Il Pd ha convocato per il 5 settembre la Commissione di garanzia del partito per discutere del caso Penati. Spiega l’eurodeputato Luigi Berlinguer, presidente di questo organismo, che ha preso la decisione insieme a Pier Luigi Bersani per un motivo ben preciso: «Abbiamo convenuto che allo stato attuale Penati ha tutto il diritto di difendere la sua onorabilità come qualunque altro cittadino,ma ha altrettanto diritto di farlo il suo partito ». Non a caso, aggiunge l’ex ministro, sia lo Statuto che il Codice etico contengono espliciti richiami alla «onorabilità» del Pd.
Presidente Berlinguer, perché convocare questa Commissione quando è in corso un iter giudiziario?
«C’è un profilo giudiziario nella vicenda e la sua definizione spetta alla magistratura. Ma c’è anche un profilo politico, che tra l’altro non riguarda solo l’illiceità giudiziaria di comportamentoma la rilevanza politica
e morale, che invece compete al partito. Le cose che leggiamo sui giornali, citando decisioni non definitive di organismi giudiziari, investirebbero,se confermate, anche il profilo etico-politico. Ed è non legittimo ma doveroso che il partito si faccia la sua opinione e valuti anche secondo i criteri dell’etica politica».
Ha convocato anche Penati, alla riunione del 5 settembre?
«Non spetta a me farlo ma eventualmente potrebbe o dovrebbe essere una decisione della Commissione. Certo, se Penati vuole che lo sentiamo penso che non ci rifiuteremo».
Su cosa vi baserete?
«Io intendo giungere alla riunione della Commissione fornito fin dove possibile della documentazione accessibile, perché pubblica, finora raggiunta dalle autorità giudiziarie milanesi, ivi comprese le memorie d’accusa e difesa. C’è un’articolo dello Statuto che pone in capo alla Commissione di garanzia il compito di vigilare sul corretto comportamento dei membri del Pd. È un compito che intendiamo affrontare, insieme a tutto il partito. Non perché ci siano tante scorrettezze. Il Pd è sano, non è malato. La corruzione politica italiana risiede in assoluta prevalenza altrove. Tuttavia quell’articolo va onorato. Se non altro in sede preventiva. E poi anche perché certe patologie possono albergare anche nelle migliori famiglie».
Penati secondo lei dovrebbe rinunciare alla prescrizione?
«L’unico che può disporre di questa facoltà è lui. Certamente, gli appelli che gli sono stati rivolti da autorevoli esponenti Pd, le sollecitazioni a riflettere sul fatto che la sua stessa onorabilità è affidata a una piena soluzione, non possono non avere un peso».
Alla riunione della Commissione arrivate attrezzati di tutti gli strumenti necessari alla discussione?
«Molto è stato fatto, ma ci sono ancora delle questioni da affrontare. E non a caso un paio di mesi fa, quindi in un periodo non sospetto, Migliavacca e io abbiamo convocato per la Festa di Pesaro, il 9 settembre, una riunione dei 20 presidenti delle commissioni di Garanzia regionali e di altrettanti rappresentanti di organismi esecutivi regionali del partito dal titolo “regole e garanzie”. Dobbiamo aggiungere regole perché non c’è democrazia senza regole, non ci sono diritti senza doveri, partecipazione senza responsabilità. E poi dobbiamo ricordarci anche che non c’è legittima aspirazione individuale senzaun forte senso di appartenenza. Se mi iscrivo ad un partito è perché le mie idee si possano affermare in questa società ma anche per sostenere la mia famiglia politica nella sua interezza e non solo la mia individualità. La politica è un’attività che si fa per gli altri. E nostro compito è che il Pd vinca, non perda. Se si violano le regole morali nell’intento di far del bene si finisce sempre male. Si può e si deve far bene, con abilità, e perfino con astuzia.
Ma non con l’inganno e la strumentalità permanente. Nella riunione di Pesaro non ci chiuderemo sul caso Penati, allargheremo il discorso, perché è il momentodi affrontare tutte queste questioni».
Rimanendo a Penati, quali misure potreste adottare nei suoi confronti?
«La condizione per decidere è di conoscere ciò che è successo, sapere come stanno realmente le cose. I pm accusano con energia e convinzione ma con altrettanta energia e convinzione Penati si dichiara estraneo. Se noi ci avvicinassimo al problema col pregiudizio di un’idea precostituita non sarebbe corretto. Non possiamo anticipare nulla».
Quale sarà la vostra «indagine»?
«Dobbiamo individuare se ci sono profili etici o politici, sapendo che i tempi della politica e quelli della magistratura sono diversi, hanno esigenze diverse. In sede giudiziaria nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva. La politica non può aspettare anni. Naturalmente, è successo tante volte che dopo un lungo periodo di convinzione colpevolista sia arrivata una sentenza totalmente assolutoria, e viceversa. E quindi ad accelerare c’è un rischio. Però così noi nelle prossime settimane ci ritroveremo un profilo anche politico per affrontare la questione».
Penati ha fatto bene ad autosospendersi dal partito?
«Il sistema del Pd prevede, quando è in corso un’indagine giudiziaria di particolare gravità, l’autosospensione.
Ancor prima di accertamenti di colpevolezza. È una misura pesante, magiusta per la politica. Non sarebbe giusta in altri campi, ma è corretto che sia così. Penati ha ottemperato a questo principio, bisogna dargliene
atto».
Il vostro Statuto consentirebbe alla Commissione di garanzia anche di adottare una misura come l’espulsione
dal partito?
«È molto incerto in questo, non si può dire un sì o un no secco, c’è bisogno di una interpretazione complessa. Se c’è un corrotto non si può tenerlo nel partito, ovviamente, ma deve essere accertato. Per com’è attualmente lo Statuto, per adottare una simile decisione c’è bisogno di certezza giudiziaria o di forte certezza politica, documentata».
Pensa sia il caso di porre rimedio a questa incertezza dello Statuto?
«Partiamo da un principio generale: nel comportamento il pubblico amministratore, e a maggior ragione se del
Pd, deve essere molto più scrupoloso del cittadino comune. Se certe cose che non sono strettamente illegali
non rispondono però a principi di etica politica, il pubblico amministratore del Pd non può porle in essere. E quindi sì, noi discuteremo e vedremo come stanno le cose nel caso particolare di Penati, ma dovremo anche lavorare a una più chiara definizione dello Statuto e del Codice etico perché sia affermato in pieno questo principio. Bisogna essere più corretti di un cittadino comune. Sono contro l’idea della diversità biologica. Ma sono dell’ idea che noi abbiamo una scala di valori diversa da quella praticata, se non declamata, da quella degli altri partiti e amministratori».

L’Unità 29.08.11