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L’insegnante: “Carte cambiate a giochi aperti”, di Luigi Grassia

Questa cosa mi angoscia, mi fa venire una gran rabbia. È tutto il giorno che ricevo telefonate di persone nelle mie condizioni. Mi ero fatta tutto un programma. Sarei andata in pensione presto e avevo tante cosa da fare: avrei avuto più tempo per scrivere i miei libri per le scuole, e per fare più spesso la volontaria nella Croce Rossa. E invece mi hanno cambiato le carte in tavola a giochi aperti». Donatella Bottero, che insegna inglese in una scuola per geometri di Torino, non si dà pace, anche se dice: «Adesso comincio gli esami di settembre. Magari tornando a lavorare mi passa tutto. Ma che peccato».

Al tempo. Lei quanti anni ha? E quale storia?

«Sono nata nel 1956. Lavoro nella scuola dal 1977 o 1978, ho fatto pochissimo precariato, per cui avevo quasi raggiunto i 35 anni di anzianità, a parte un piccolo scatto che avrebbe comunque comportato un ritardo. Ma così…».

Scusi, non si arrabbi ancora di più. Ma guardi che parecchi esperti di previdenza non si commuoverebbero per il suo caso. Le direbbero: lei è una signora giovane, continui a lavorare.

«Può darsi. Ma avrebbero dovuto dirmelo prima. Invece questa cosa retroattiva è una promessa tradita».

Lei ha già pagato per il riscatto degli anni di laurea?

«No. C’è una prassi nella scuola, per cui si fa domanda per il riscatto quando si passa di ruolo, però il pagamento resta sospeso. Si salda più avanti lo stesso ammontare che si sarebbe pagato al momento della richiesta. In questo siamo più fortunati degli altri lavoratori che hanno pagato senza sapere. Ne conosco uno che ha versato 120 mila euro. Credo che diventerà un terrorista» (ma si sente al telefono che la professoressa lo dice come battuta, NdA).

I calciatori come Eto’o che vogliono cambiare squadra ottengono quello che vogliono, in barba al contratto, perché nessuno può obbligarli a lavorare. E voi insegnanti «scippati»? Farete ostruzione? Giorni e giorni di mutua selvaggia?

«Ma per carità! Ho fatto l’ultima malattia due anni fa: dieci giorni d’influenza col febbrone, e ho subìto una decurtazione di 148 euro in busta paga per le regole di Brunetta. Come fa a paragonarci ai calciatori? Loro scioperano e tutti si interessano. Noi siamo delle nullità».

Quando le dicono che voi professori non siete mal pagati, soprattutto in rapporto alle non moltissime ore lavorate, lei come risponde?

«Su questo ho un’opinione diversa dalla maggior parte dei miei colleghi, e di sicuro non riuscirò a convincerli. Io ho visto come funzionano le scuole all’estero. Ho notato che negli altri Paesi gli insegnanti passano più ore di noi fra le mura della scuola. Qui c’è una certa tendenza a scappare via appena finisce l’orario. È vero che poi passiamo altro tempo a casa a correggere i compiti e a preparare le lezioni, ma questo tempo non viene apprezzato come vero lavoro dal resto della società, sembra un parttime. Invece all’estero molte di queste attività vengono svolte fra le mura della scuola. Per giustificare socialmente un aumento di stipendio dovremmo passare più tempo a scuola. Ma il messaggio non passa».

La Stampa 31.08.11

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“Insegnare bene, unica salvezza”, di Mila Spicola

Nelle ultime ore ho ricevuto quattro sms. Di Calogero, «bidello precario», che ha iniziato a Palermo lo sciopero della fame (ancora?) da mancato incarico. Di Marco, collega di francese dello scorso anno, che è entrato di ruolo a Reggio Emilia e sta preparando la valigia. Il gatto lo lascia a Palermo. Insieme alla mamma e alla fidanzata. Della mia preside. Anzi ex, in pensione dall’1 settembre: non saremo accorpati, non avremo un nuovo preside, ma un reggente. Di Alessandra «agosto china sui libri per il concorso e tu?». Il concorso per preside: «Tu non lo fai? Lo fanno tutti, prova. Insegnare è un inferno ormai». Quattro storie, quattro problemi: il precario, il prof che dal Sud va al Nord (chissà le maledizioni leghiste), le scuole senza presidi e gli insegnanti stanchi di esserlo. Mi ripeto davanti allo specchio che ho fatto bene: io voglio insegnare, nel bene e nel male «finché morte non ci separi», spero mai giunga. Sono anni che ripetiamo che «difendiamo la scuola statale», ora trasformiamolo in «miglioriamo la scuola». Abbiamo corso il rischio di diventare i paladini dei mali e della voglia di tornare indietro: «eliminiamo i tagli» non vuol dire che la scuola era una meraviglia prima dei tagli. Difetti e malamministrazione la riguardavano come ogni ambito della vita pubblica. La scuola deve cambiare, deve farlo per tutti noi. Deve aggiornarsi, puntare su qualità e professionalità, sul rigore e sulla professionalità. Con l’aiuto di chi «ne ha competenza» e non con «gli allenatori della domenica». Quelli della banalità dei «grembiulini» e del «siete troppi». Si torna a scuola ragazzi. Evviva. Insegnare bene rimane per noi, e anche per voi, l’unica via di scampo

L’Unità 31.08.11