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"Ma i conti continuano a non tornare", di Stefano Lepri

No, i conti non tornano. Ancora il Tesoro non ha fornito cifre precise, ma la manovra di Ferragosto appare parecchio indebolita. E non è bene anche solo darne l’impressione, quando sui mercati i titoli di Stato italiani sono sostenuti da interventi che la Bce ha deciso in modo non unanime, con la Bundesbank all’opposizione. Si rischia di aggravare il disamore dei tedeschi verso l’euro. I soliti italiani, diranno: gli dai una mano e approfittano per prendersela comoda. Prima dell’accordo di Arcore era corsa voce che il «contributo di solidarietà» sarebbe stato sostituito da un aumento dell’Iva. Poi il ritocco Iva è scomparso, ma tutti gli altri pezzi della manovra sono stati riaggiustati come se ci fosse. I due moventi principali sono stati renderla più presentabile all’elettorato del centro-destra e attenuare l’ostilità degli enti locali. Ossia minori aggravi fiscali, o almeno l’apparenza di minori aggravi fiscali, da una parte; minori tagli di spese dall’altra. Che così facendo la somma resti uguale è più che dubbio.

Già prima, alcuni analisti reputavano la manovra insufficiente a raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Tra i punti deboli, come rilevato dalla Corte dei Conti, c’era la somma enorme, 1,5 miliardi nel 2012, affidata all’aleatorio aumento di gettito di lotto, lotterie ed altri giochi. Fra una cosa e l’altra, ad esempio gli economisti della banca inglese Barclays già la settimana scorsa valutavano che il pareggio sarebbe stato mancato di una quindicina di miliardi.

Altre speranze a cui il governo ora si affida vengono dalla lotta all’evasione fiscale. Giustissimo colpire gli evasori prima di infierire sugli onesti. Ma, a meno di sorprese, non si capisce da quali nuovi provvedimenti dovrebbe provenire il gettito. Contro le «società di comodo» già in passato diversi ministri hanno agito: lo stesso Giulio Tremonti quando debuttò nel 1994, e a più riprese, nel 1997 e nel 2006 sotto il centro-sinistra, il suo rivale Vincenzo Visco. Ora, piuttosto che ingegnarsi a scoprire a chi davvero fanno capo ville e yacht, non si fa prima a tassare le ville e gli yacht?

La scomparsa del «contributo di solidarietà» a carico dei redditi medio-alti non sarà rimpianta. Tuttavia rispondeva in modo sbagliato a una esigenza largamente condivisa, anche in altri Paesi: far pagare ai ricchi almeno una parte degli oneri della crisi. Veniamo da anni in cui le disuguaglianze sociali si sono allargate; e proprio a causa del cattivo andamento dell’economia difettano le occasioni di investire produttivamente i capitali. Per tassare i patrimoni era disponibile un consenso ampio, perfino da parte della Confindustria.

Ma quando la politica è debole, è debole soprattutto verso i propri vizi. Trova ancor più difficile raccogliere le esigenze dei cittadini perché teme il potere dei corpi intermedi che sanno frammettersi tra l’elettorato e il Parlamento: enti locali, categorie, corporazioni varie. Aumentando le tasse certo si rischia di perdere le elezioni. A tagliare le spese si rischia di non riuscire nemmeno a fare la campagna elettorale, causa ribellione nelle proprie file (come si vede dall’atteggiamento di molti amministratori locali di centro-destra). Così si esita da entrambi i lati.

Questa debolezza viene rivelata dalla crisi; a guardare le cifre si è manifestata lungo gli anni, in un progressivo allontanamento dalle promesse della prima ora. Nella prima legislatura in cui ebbe respiro per governare, dal 2001 al 2006, il centro-destra lasciò la pressione fiscale invariata e fece crescere la spesa di due punti. Nella seconda, l’attuale, secondo i suoi stessi piani spingerà la pressione fiscale a un record storico, per coprire una spesa che anche realizzando tutti i dolorosi tagli resterà più alta di quella del 2001.

La Stampa 31.08.11

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“Sindacati, toghe e medici è altolà sulla previdenza”, di LUCIANO COSTANTINI e UMBERTO MANCINI

Il fronte della rivolta è esteso, sempre più esteso ed agguerrito: dai sindacati ai funzionari pubblici, dai magistrati ai dirigenti di polizia ai medici. Tutti sul piede di guerra, pronti a muovere contro una manovra che va a scompaginare l’assetto della previdenza pubblica. La Cgil conferma lo sciopero del 6 settembre: «Sulle pensioni si è consumato un autentico golpe». Cisl e Uil danno, praticamente, l’ultimatum al governo: o ci ripensa o scatterà la mobilitazione. I magistrati minacciano «iniziative di protesta, nessuna esclusa». Questa volta non si tratta di annunci intimidatori perché è la base che è in rivolta, difficile arginare la rabbia. Che la tensione stia salendo lo dimostra anche la decisione di Bonanni e Angeletti di convocare per le sette di ieri sera le segreterie di Cisl e Uil, unitariamente, per formalizzare la richiesta all’esecutivo di stoppare l’annunciato intervento sulle pensioni in quanto «discriminatorio nei confronti dei lavoratori che hanno pagato di tasca propria il riscatto della laurea sulla base di norme vigenti, azzerando di fatto anche i contributi del servizio militare». La Uil deciderà il 16 settembre la data di uno sciopero del pubblico impiego; la Cisl siciliana si sta già preparando ad una manifestazione regionale a settembre. Sarà battaglia. Chi lo sciopero generale conferma è la Cgil che martedì 6 settembre scenderà in piazza: otto ore di stop a tutte le attività con manifestazioni in tutta la penisola. «Le ragioni della protesta – dice Susanna Camusso in conferenza stampa – sono rafforzate e i lavoratori se ne sono accorti. A tutti i maschi italiani che hanno deciso di servire lo Stato con un anno di militare, ora gli si dice di aver perso un anno. Va peggio per coloro che hanno scelto di laurearsi e che hanno speso soldi per riscattare gli anni di laurea: dovranno lavorare almeno 4 o 8 anni se hanno fatto la specializzazione». Assai critici anche Bonanni e Angeletti. «La soluzione trovata da Pdl e Lega – sottolinea il numero uno della Cisl – è inaccettabile, sgradevole, non equa, non prevista». Non prevista perché palazzo Chigi soltanto a giochi fatti avrebbe comunicato ai vertici sindacali entità e contenuti della manovra. Oltre tutto – ed è questo un forte motivo di irritazione delle confederazioni – è assurdo che il contributo di solidarietà venga tolto ai privati e mantenuto per i pubblici. Irritazione, anzi di più.
Durissimo anche il giudizio del Comitato intermagistrature che coordina l’Associazione nazionale magistrati e le principali sigle: «E’ del tutto evidente l’incostituzionalità di una disposizione con la quale si opera una decurtazione secca del trattamento economico solo dei dipendenti pubblici, in violazione dei principi di uguaglianza e di progressività del sistema fiscale». Anche in questa caso, la categoria si riserva di adottare «azioni di protesta, nessuna esclusa». Fortemente critici anche i funzionari di polizia: «Le nuove norme penalizzano gli onesti. La maggioranza di governo anziché colpire con determinazione, senza se e senza ma, la corruzione e l’evasione, cause immorali del debito italiano, preferisce penalizzare chi ha servito lo Stato».
I più arrabbiati sono i medici. E in effetti la nuova stretta sulle pensioni colpisce soprattutto chi ha scelto di laurearsi e specializzarsi, escludendo gli anni riscattati, per l’università o il servizio militare, dal calcolo del requisito di anzianità. E proprio dai camici bianchi arrivano le proteste più feroci. Con la minaccia, se le norme non dovessero cambiare, di avviare una class action. «Penalizzare chi ha studiato è assurdo, la scure cade sempre sui soliti noti – dice Carlo Palermo, primario e coordinatore delle segreterie regionali dell’Anaao Assomed – che attacca duro: nei prossimi 5 anni sarebbero dovuti andare in pensione circa 30 mila medici ospedalieri, con circa 62 anni di età e 37-38 di contributi. Con le nuove regole ci sarà un rallentamento delle uscite per circa 30-35 mila colleghi. Per il prof. Giacinto La Verde, presidente dell’Ape ed ematologo, «colpire la cultura e chi ha studiato è una offesa per un Paese civile». «Al ministro Calderoli – aggiunge La Verde – che dice di voler penalizzare chi non ha lavorato, faccio notare che gli anni di specializzazione per i medici sono anni di duro impegno, con l’obbligo di frequenza, i turni di notte, la retribuzione: non considerare questo periodo ai fini pensionistici è assurdo e contro le regole europee».

Il Messaggero 31.08.11