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Meno manovre e più riforme

Unità d’Italia e riformismo alla Festa nazionale di Pesaro. Veltroni: “Il 10% degli italiani possiede il 48% della ricchezza del Paese. La parola patrimoniale non deve mettere paura”. Amato: “I sacrifici devono distribuiti tra tutti. La storia del riformismo è storia di costruzione: si può sacrificare il presente in nome del futuro”. Walter Veltroni e Giuliano Amato sono stati i protagonisti del dibattito alla Festa nazionale di Pesaro sul riformismo e l’unità degli italiani. I due leader hanno analizzato le profonde differenze che hanno caratterizzato la politica che ha fondato l’Italia da quella attuale che l’ha portata alla crisi dei valori comuni.

La manovra economica è un chiaro esempio dei tempi che viviamo. Amato ha posto l’accento sulla sbagliata condizione di fondo che caratterizza l’azione del governo. “Oltre alle difficoltà di trovare la quadra del puzzle che risolva il problema – ha dichiarato l’ex Presidente del Consiglio – siamo in una situazione in cui bisognerebbe fare sacrifici e distribuire questi sacrifici tra tutti. Purtroppo invece si paga e si viene chiamati a pagare non in quanto componenti di una comunità (dove ciascuno paga per quanto può) ma come punizione. Così si distrugge la società. Si paga per chi ha esportato all’estero i capitali, per l’evasore, si paga per la casta”. L’ostilità per cui si paga non risolve un problema collettivo. “È solo una punizione che alcuni meritano e altri no. Ci sarebbe da domandarci che cosa abbiamo meritato per meritarci questo? (cit. Pedro Almodovar). È sparito il noi della solidarietà, che ci accomuna in una prospettiva futura. Un futuro per cui sacrificarsi”. Invece questo governo nella sua manovra dichiara di aver bisogno di nemici per risolvere il problema.

“Qualcosa ha inquinato nel profondo la nostra Italia – ha continuato Amato – per cui c’è bisogno di recuperare quei sentimenti che ci permettono di superare le difficoltà, fidandoci l’uno con l’altro. La storia del riformismo è storia di costruzione: si può sacrificare il presente in nome del futuro. La
la crisi attuale è di valori morali e di etica civile. Nella malattia che ha colpito l’Italia anche noi siamo responsabili per la mancanza del coraggio di sostenere cosa siamo stati e di sostenere il futuro”.

È un momento molto difficile per l’Italia e occorrono decisioni immediate per dare sostegno e forza all’Italia. Per Veltroni “il Paese brancola nel buio per colpa di un governo che ha già prodotto 3 manovre senza trovare la cosiddetta quadra. Un governo sbandato che trascina in basso le imprese, i lavoratori, i giovani. Noi non siamo un paese di merda come ha detto Berlusconi ma un grande paese che merita immediatamente un governo adeguato alla grandezza della sua storia. Abbiamo problemi immediati e questi vanno affrontati con un messaggio forte e con una persona autorevole al governo che possa parlare in Europa. Berlusconi è escluso! Una persona come Giuliano Amato, Carlo Azelio Ciampi, Romano Prodi: persone che anno legato il loro nome al risanamento del Paese e che possa sedersi in Europa con prestigio”.

“Non si può continuare di andare di manovra in manovra- ha continuato Veltroni – perché ci avviteremmo come la Grecia in una spirale. Servono meno manovre e più riforme. Quante riforme sono state fatte? Serve coraggio! Rispondere alle esigenze di generazioni che non hanno nessuna certezza per il futuro e sono sostenuti solo dai loro padri che si stanno svenando”.

“Il messaggio da dare è chiaro e semplice: il 10% degli italiani possiede il 48% della ricchezza del Paese. Questi devono contribuire. Si chiama patrimoniale e non deve mettere paura questa parola. Governare un paese non è un fine ma un mezzo: non è la conquista del potere ma la volontà di cambiare il Paese. Occorre alzare lo sguardo e non restare piccoli. Occorre il coraggio per la più difficile delle sfide: il riformismo”.

Giuliano Amato è stato l’artefice nel 1992 della manovra più dura della storia italiana ma, a differenza di oggi, allora non ci furono le stesse divisioni.
“Non basterebbe dire c’ero io!” ha risposto con una battuta il presidente. “C’era un clima diverso, eravamo ai prodromi della nascita dell’euro. L’ingresso nell’area euro era la prospettiva, anche se meno prossima, che dava una grande spinta europeista. C’era anche la consapevolezza del rischio di sganciarci dall’euro e dal trenino delle valute che giravano attorno. Il Paese voleva conservare una prospettiva. Nella difficoltà cercai di avere un rapporto più stretto con le parti sociali e meno con i partiti. Fu molto intenso questo rapporto sebbene ci fossero misure che il sindacato non poteva accettare. C’era un’altra cultura. Si capiva che il presente si poteva ridurre in funzione del futuro”.

“Faccio un esempio” ha dichiarato Amato. “Oggi è stato chiesto di rivedere il sistema pensionistico: il problema principale è che le nuove generazioni, che non hanno lavorato in maniera continuativa o che hanno lavorato con salari bassissimi, avranno pensioni di fame. Io sto pagando il mio contributo di solidarietà ma se sapessi che questo potrebbe contribuire a dare forza a quelli dei giovani, mi sentirei molto più solidale e contento di farlo. Così si aprirebbe una porta al negoziato anche con i sindacati. Riformare significa trovare spazi in questo senso”.

“I decisori politici si dividono in due: quelli che hanno letto qualche libro e quelli che leggono solo l’Adnkronos”. Oggi i secondi sono predominanti.

C’è una crisi della credibilità della politica da cui occorre uscire presto. Per Veltroni il caso Penati è di enorme gravità ma “non è stato sottovalutato affatto. Non vedo nessuno fumus persecutionis della magistratura nei confronti del PD. Se sostenessimo il contrario saremmo come la destra che o si scaglia contro i giudici o approva leggi che fanno evitare i processi. Tutto questo significa far aumentare corruzione e criminalità organizzata. Questa è la vera questione morale: si è fatto strada il principio per cui etica e moralità sono fesserie. La politica è diventata una macchina troppo pesante che non decide nulla, che va in corto circuito con la società. E questo può essere la base di un nuovo autoritarismo. Da subito il PD deve essere protagonista della battaglia sul dimezzamento dei parlamentari. Solo una democrazia più snella funziona. Una democrazia con partiti più aperti e più leggeri. Poi serve nuova legge elettorale. Tutto questo si può fare in 90 giorni. Serve recuperare più sobrietà per la politica. Serve unità per gli italiani e non divisioni. Non è più tempo di sorridere, serve il cambiamento”.

“Quando arriveremo alle elezioni – ha continuato Veltroni – dovremmo essere in grado di saper comprendere questo cambiamento. Non sarà una cosa semplice: le leadership si misurano quando sanno dire cose che oggi appaiono strane e discutibili ma che domani diventano vere e reali. Enrico Berlinguer incontrò dissenso e solitudine: non fu facile il compromesso storico, la scelta della Nato; e così fu per Aldo Moro, Giuseppe Di Vittorio, Bruno Trentin, Luciano Lamo e Giorgio Napolitano”.

Un’ultima battuta sulla necessità di rinnovamento dell’attuale classe dirigente. Per Amato “la classe dirigente attuale è una delle ragioni delle difficoltà di oggi. Quando nacque l’Italia non c’erano solo élite di politici ed intellettuali. Furono le lotte locali a generare i diritti per tutti: questo fu il primo passo del riformismo. Oggi ci appaiono come cose molto lontane ma questa è la storia che ha formato la nostra comunità. La dirigenza nasce così: Sturzo era nel Consiglio di Caltagirone! La classe dirigente finché c’erano i partiti ancora funzionanti faceva da legame e sostanza del riformismo. Questo sentimento ora non c’è più”.

Per Veltroni “ è molto più serio parlare di rinnovamento della politica che dei certificati dell’anagrafe. C’è una parola troppo irrisa dalla superiorità della politica: valori. Non sta insieme una società senza valori, perché i valori non sono roba per la letteratura e i sognatori ma l’elemento costruttivo della società. La destra ha portato i valori dell’individualismo e della frantumazione in ceti e corporazioni. Il leghismo è stato un veleno locale e sociale. La società è molto separata. C’è fragilità, instabilità e insicurezza. Si è perso sentimento unitario che serve ad affrontare la tempesta. Dalla crisi non si esce con gli io di Berlusconi ma con la ricostruzione del noi collettivo. Il senso del vita politica è il rapporto con l’altro. Il PD ha un’identità propria: quella ambiziosa di sapere ricostruire un sistema di valori che diamo forza e speranza per il futuro”.

Andrea Draghetti

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