attualità, politica italiana

"L'ideologia che ci governa", di Nadia Urbinati

Continuare come se nulla fosse successo nel frattempo, come se il crollo di fiducia nella politica della destra non ci sia stato, come se la sconfitta di Milano, che prima del 15 maggio sembrava impensabile al premier, sia stata un fatto assolutamente irrilevante. Come se la grande disobbedienza del 12 e 13 giugno sia capitata in un altro paese. Tutto ciò che prima sembrava determinante, una volta avvenuto è stato rubricato in fretta nel capitolo della cronaca antica. Siccome i cittadini non hanno votato a elezioni politiche, essi non hanno espresso alcun giudizio su questa maggioranza di governo quando hanno votato a favore di coalizioni di centrosinistra e quando hanno detto NO all´insistente suggerimento di Berlusconi di non andare a votare ai referendum.
A leggere i giornali di questi giorni sembra che niente di nuovo ci sia sotto il sole italiano: il clientelismo con i quale si è cementata questa alleanza di governo mostra un altro spezzone del suo carattere sistemico, perpetrato con studiata intelligenza per distribuire incarichi proporzionalmente al nord come al sud, nelle posizioni di rilievo politiche, amministrative e aziendali. Come a riconfermare il carattere endogeno che lo contraddistingue dal primo giorno del suo insediamento, il governo ha deciso di tener conto solo delle opinioni che gli sono favorevoli, di dar segno di rispondenza solo a quella parte della società e della cittadinanza che è in sintonia con il suo fare. Gli altri, le opinioni degli altri, non esistono, non hanno peso, non contano. Indifferente all´opinione autorevole che i cittadini hanno voluto far giungere chiara e forte a Roma, il governo della Repubblica, che nella costituzione e nei manuali di dottrine della politica è definito come un potere dipendente e in questo senso servente rispetto a quello sovrano rappresentato in Parlamento e prima ancora nelle urne, persiste nella sua opera di nascondimento e indifferenza.
La P4 rispecchia l´identitá proteica dell´ideologia berlusconiana, poiché nonostante gli sforzi che facciamo per connotare onorevolmente le ideologie, interpretazioni di parte ma pur sempre politiche dei fini indicati nella costituzione, questa che ci governa da anni è un´ideologia. I cui caratteri principali e facilmente riconoscibili sono: il disrispetto per le regole poiché, si fa credere, limitano la libertà e l´intraprendenza di chi governa e al cui giudizio carismatico solo è bastante rifarsi se si vogliono conoscere le regole di ciò che conviene o non conviene; la giustificazione della necessità dell´emergenza quando l´ordinamento resiste alla volontá di potenza; la propaganda di ciò che si vuole il popolo creda e pensi; l´instancabile demolizione della dignità dell´opposizione, un intralcio al potere della maggioranza invece che un necessario controllo; la privatizzaione del bene pubblico, nel quale vanno messe prima di tutto le regole del gioco che non sono proprietà di chi le usa, oltre che le risorse dello Stato, tra le quali la legge è certamente quella più importante; il fare delle istituzioni luoghi per portare a compimento prima di tutto ciò che è nell´interesse privatissimo di chi governa, anche a costo di “mettere un velo” sulla legge (ovvero sulla libertà), per parafrasare il “divino Montesquieu”; infine e a compimento di tutto questo, la certosina e diremmo quasi perfezionistica attenzione a praticare l´arte del nascondimento.
La contraddizione tra questa pratica sistemica e le regole del gioco democratico costituzionale è stridente, insanabile. Sappiamo che la nostra democrazia è forte, perché vitalità e ragionevolezza della cittadinanza si sono mostrate con sobria e pubblica chiarezza, senza infingimenti, propagande e parole roboanti. Le due parti del dramma sulla scena politica italiana sono ben definite e fingere che una delle due non esista o sia apparsa e scomparsa come una cometa nell´attimo della conta dei voti è oltre che sbagliato, improvvido per chi finge. Come ha scritto Ezio Mauro, la memoria dei post-it è ancora fresca e riprendere la lotta contro i tentativi di oscurare la verità, di impedirci di sapere quel che succede nelle stanze dei palazzi non sarà né irrealistico né difficile. La discrepanza tra il dentro e il fuori delle istituzioni è ormai marcata. Sentire fastidio per ciò che è stato detto con il voto, fingere che non sia successo nulla, continuare a razzolare come prima e anche più caparbiamente di prima può essere improvvido. Certo é un segno di timore di perdere il potere, di debolezza quindi, non di forza.

La Repubblica 03.09.11