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"Medicina, un test da rifare", di Pietro Garibaldi

La facoltà di medicina sembra essere quella che garantisce migliori opportunità di occupazione ai giovani italiani. Merito della scelta di introdurre il numero chiuso. Ma non per questo il meccanismo del test di ingresso garantisce che siano i candidati più brillanti ad accedere alla facoltà. Perché le graduatorie sono valide per i singoli atenei. Basterebbe una graduatoria nazionale, con la possibilità per gli studenti più meritevoli di scegliere la sede che preferiscono. La bassa crescita del paese dipende infatti anche da una cattiva allocazione dei talenti.

La disoccupazione giovanile a luglio del 2011 è ancora al 27 per cento. Nemmeno i giovani laureati se la passano tanto bene. Secondo l’ultimo rapporto Almalaurea, la disoccupazione tra i laureati triennali è aumentata lo scorso anno dal 15 al 16 per cento. In tempi di crisi e con tassi di disoccupazione così elevati, per un neo diplomato la ricerca di una facoltà che garantisca davvero un lavoro è una scelta cruciale.

IL PRIMATO DI MEDICINA

Tra le facoltà italiane, sembra che medicina sia quella che garantisca la migliore occupabilità tra i giovani, nonostante le risorse del Servizio sanitario nazionale siano scarse e oggetto di tutte le ristrettezze imposte dalla finanza pubblica. Per capire quanto vale oggi una laurea in medicina, basti pensare che a tre anni dalla laurea, il 97 per cento dei giovani laureati in medicina è occupato. Per la laurea in economia, la seconda più appetibile, il tasso di occupazione a 3 anni scende all’85 per cento. Se il laureato è in lettere, il tasso di occupazione a tre anni crolla sotto il 50 per cento.

IL NUMERO CHIUSO

Il motivo principale di così buone prospettive occupazionali della laurea in medicina è legato all’esistenza del numero chiuso: dal 1999, per iscriversi alla facoltà di medicina è necessario superare un test di ingresso. Chi entra nella facoltà e si laurea è quasi certo di trovare poi un posto di lavoro nel settore sanitario nazionale, per il semplice fatto che il numero programmato è calcolato anche sulla base del numero di medici che nei prossimi anni andrà in pensione. L’introduzione del numero chiuso è stata una scelta giusta: negli anni Ottanta e Novanta eravamo pieni di medici disoccupati, oggi i posti a medicina vanno praticamente a ruba.
Nel 2010 i posti disponibili nell’università statale italiana statale erano settemilacinquecento, mentre i candidati aspiranti medici che hanno “provato” il test erano più di cinquantamila (51mila, per l’esattezza). Il tasso di selezione nazionale è pari al 14 per cento e soltanto uno studente su sette riesce a iscriversi a medicina.

I MIGLIORI STUDENTI VANNO NELLE FACOLTÀ MIGLIORI?

L’esercito dei 50mila aspiranti medici deve rispondere a 80 domande di cultura generale, logica, matematica e fisica, biologia e chimica. Al di là delle polemiche sulla capacità di selezionare un medico in base al test di ingresso, con una tale offerta di candidati dovremmo essere certi che i posti disponibili andranno certamente ai futuri medici che meglio lo hanno superato. Finalmente, si è trovato un modo per far competere gli atenei per i giovani più brillanti e i giovani più brillanti per le facoltà di medicina più prestigiose. Insomma, finalmente in Italia abbiamo un vero e proprio meccanismo di selezione in base al merito?

UN MECCANISMO DI SELEZIONE BIZZARRO E ASSURDO

Purtroppo non è così, poiché i giovani 50mila aspiranti medici sono obbligati a scegliere inderogabilmente prima del test in quale università sostenere l’esame di ammissione e dunque in quale università provare a iscriversi. Se un candidato non riesce a entrare nell’ateneo in cui ha sostenuto l’esame di ammissione, perderà il diritto a entrare in un altro, anche se magari il suo punteggio risultava tra i migliori settemila e quindi potenzialmente rientrava nel numero di posti disponibili.
Guardando con attenzione le statistiche del test si capisce che è davvero una situazione bizzarra. L’ateneo dove è più difficile entrare pare essere quello di Milano, dove il punteggio minimo tra gli ammessi è pari a 48 risposte esatte su 80. Ma i primi esclusi a Milano, probabilmente perché hanno risposto a 47 domande (i candidati a Milano nel 2010 erano più di 2000 per 330 posti) su 80 non potranno iscriversi nel Molise, a Sassari, a Foggia o a Messina, dove il punteggio minimo degli ammessi è inferiore 42 risposte su 80. Avendo scelto di fare il test a Milano, non avranno diritto di iscriversi in nessuna altra università statale.
Nella situazione attuale i giovani sono costretti a calcoli assurdi: mi conviene provare a Milano (dove è difficile entrare) o provare a Foggia (dove la soglia minima è più bassa)?

COME RIMEDIARE E RIFORMARE LA STORTURA

Per rimediare a questa assurda stortura, senza alcun costo, sarebbe sufficiente permettere agli studenti di scegliere la facoltà in cui immatricolarsi dopo aver sostenuto il test. Il test viene già oggi fatto nello stesso giorno in tutti gli atenei e i risultati sono a disposizione del Miur. Basterebbe pubblicare una graduatoria nazionale dei primi settemilacinquecento studenti. Dopodiché basterebbe obbligare i migliori 7500 studenti a scegliere la sede in cui immatricolarsi entro qualche giorno dalla pubblicazione. I posti andrebbero via riempendosi nei diversi atenei e saremmo certi di un’allocazione alla facoltà di medicina puramente competitiva. La scelta della sede sarebbe comunque una libera scelta dell’individuo. Se il miglior studente non vuole trasferirsi a Milano (una delle facoltà più prestigiose) per motivi personali, avrà comunque la possibilità di scegliere qualunque altro ateneo.
Non si capisce perché le facoltà stesse non spingano per una riforma in questo senso. Forse solo per il fatto che non gradiscono vedere il loro ateneo scelto da studenti meno bravi?
Ovviamente la riforma proposta è un piccolo esempio nella scelta della professione. Ma lo consideriamo davvero un esempio significativo di come nel nostro paese si finisca spesso per scegliere meccanismi di selezione bizantini e bizzarri. E la bassa crescita è anche legata a una cattiva allocazione dei talenti. In questo caso, è davvero una scelta di amministratori, rettori e politici.

da www.lavoce.info