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"La nostra patrimoniale", di Stefano Fassina

Caro direttore, le difficoltà dell’Italia hanno reso trendy una disciplina quasi esoterica come la finanza pubblica. Oggi, come per la formazione della Nazionale alla vigilia della finale dei mondiali di calcio, tutti si improvvisano esperti. Fioriscono, anche nei commenti di cosiddetti autorevoli economisti, ipotesi strampalate frutto di scarsa conoscenza del bilancio dello Stato e delle tecnicalità della materia fiscale. In tale quadro, il suo editoriale di ieri (“Patrimoniale democratica, allora esiste”) è un’occasione preziosa per tentare di chiarire una proposta del Pd sulla quale, complice la difficoltà tecnica della materia, si continua a fare grande confusione: “la” patrimoniale Primo: “la” patrimoniale non esiste.
Non esiste una versione unica dell’imposta sui patrimoni, come non esiste una versione unica dell’imposta sul reddito. “La” patrimoniale si distingue, innanzitutto, in due fattispecie: un’imposta straordinaria, una tantum, ad aliquota molto elevata su una qualche definizione del patrimonio (complessivo, immobiliare, mobiliare complessivo, mobiliare senza titoli di stato, ecc); un’imposta ordinaria, strutturale (ossia permanente), ad aliquota molto contenuta anche qui su una qualche definizione della base imponibile.
La prima versione è l’ipotesi proposta al Lingotto e, prima, da Amato, Capaldo ed altri. Da ultimo, con insuperabile improvvisazione per le dimensioni annunciate (400 miliardi di euro), da Profumo. La seconda è la proposta presentata dal Pd: un’imposta progressiva sui grandi valori immobiliari, pari allo 0,5% per i valori compresi da 1,2 ad 1,7 milioni di euro e allo 0,8% per importi oltre 1,7 milioni di euro .
Secondo: il Pd rimane convinto che la via della patrimoniale straordinaria (Lingotto e simili) sia una via suggestiva ad uno sguardo superficiale, ma impraticabile sul piano tecnico e comunque marginale ai fini della sostenibilità del debito pubblico. Spingere a vendere forzosamente, in un breve arco di tempo, uno stock di patrimonio tale da consentire di versare al bilancio dello stato 200 miliardi di euro (per rimanere alle ipotesi “minimali”) vorrebbe dire deprimere pesantemente i valori di mercato dell’asset in oggetto, non soltanto per i diretti interessati, ma in generale. Senza contare che, data l’assenza di un’anagrafe dei patrimoni mobiliari, le risorse mobili (azioni, obbligazioni, quote di fondi, ecc) ancora tenute in Italia volerebbero in tempo reale verso lidi sicuri ed ancora inaccessibili (i famosi “paradisi fiscali”). Si chiamerebbe a contribuire, quindi, soltanto i grandi patrimoni immobiliari imponendo una svendita depressiva e difficilmente fattibile.
Inoltre, a proposito dei miracolosi effetti sulla finanza pubblica, va segnalato che un eventuale abbattimento del debito di 200 miliardi, consentito sulla carta da una imposta patrimoniale straordinaria del 10% sulla ricchezza del top 10% di residenti in Italia, consentirebbe a regime un risparmio di circa 10 miliardi di euro all’anno in termini di spesa per interessi. È l’equivalente di 70 punti di base di spread.
Un governo credibile, con una strategia per lo sviluppo e per le riforme strutturali, potrebbe ricondurre rapidamente lo spread dai 350 punti base di oggi al livello della primavera scorsa, ossia 80- 90 punti base, con un risparmio di spesa per interessi che a regime raggiungerebbe intorno ai 40 miliardi all’anno.
Quindi, terzo: non c’è stata nessuna svolta del Pd «nelle ore convulse tra lunedì e martedì per rimettere mano alla contro-manovra». La nostra proposta di patrimoniale ordinaria era già nel documento presentato da Bersani il 13 agosto. Al punto 3 si prevede: «L’introduzione di una imposta ordinaria sui valori immobiliari di mercato, fortemente progressiva, con larghe esenzioni ». Gli equivoci sulla base imponibile, caro direttore, non ci sono. Sin dal 13 agosto e come ripetuto nell’emendamento presentato in commissione bilancio al senato (prima firmataria Finocchiaro), si tratta di valori immobiliari.
In conclusione, nessuna improvvisazione e nessun ripensamento. Una posizione programmatica, discutibile ovviamente, ma coerente con la strategia dello sviluppo sostenibile per abbattere il debito pubblico. Qui, c’è un punto dirimente di cultura politica, prima che di policy: nonostante il fascino esercitato sui neofiti, le scorciatoie per abbattere il debito pubblico non esistono. Come abbiamo indicato nel nostro Programma nazionale di riforma, è lo sviluppo sostenibile l’obiettivo da perseguire per ridurre il debito. È l’economia reale la variabile da aggredire.
Basterebbe leggere i dati sui saldi delle bilance commerciali dei paesi euro per capire che sono le divergenti dinamiche della produttività ad alimentare, giustamente, i dubbi sulla sostenibilità economica, sociale e democratica della moneta unica. È il denominatore dei rapporti, il Pil, il vero problema. Insistere ossessivamente sul numeratore, il deficit, ed affidarsi ideologicamente alle misure supply side per la crescita, come vogliono i conservatori e le tecnostrutture europee ancora imbevute di neo-liberismo, porta l’area euro, non soltanto l’Italia, a sbattere. Come si fa a stupirsi delle previsioni di ulteriore allungamento della stagnazione quando si colpisce, ovunque, sia la domanda pubblica che la domanda privata di famiglie ed imprese? È sufficiente il buon senso, non serve Keynes, per riconoscere che siamo in una trappola di liquidità.
È il Financial Times a ripeterci da almeno un paio d’anni che siamo prigionieri di carenza di domanda aggregata. Soltanto gli irriducibili Alesina&C possono ancora predicare l’expansionary fiscal contraction ed i licenziamenti facili come strada per la ricostruzione.
Per uscire dal tunnel della stagnazione economica, delle drammatiche condizioni del lavoro di padri e figli, dell’anti-politica montante e del debito pubblico, le forze progressiste europee, Pd e Pse, propongono, con ritrovata autonomia culturale, la valorizzazione del lavoro, la redistribuzione del reddito e della ricchezza, il sostegno europeo alla gestione del debito e agli investimenti, la politica industriale.
L’opposto di quanto ciecamente e stupidamente si continua a raccomandare, a volte anche dalle nostre parti.
Stefano Fassina

Ringrazio Stefano Fassina, responsabile del Pd per le politiche economiche, per questa dettagliata messa a punto della differenza fra una «patrimoniale straordinaria» (che il Pd esclude) e una «patrimoniale ordinaria», come ora propriamente Fassina definisce l’imposta proposta dal partito fin da metà agosto. Quanto all’equivoco sulla base imponibile, non l’abbiamo certo ingenerato noi. Nel suo ruolo formale di relatore di minoranza sulla manovra, in una sede formale come l’aula del senato, Enrico Morando appena quattro giorni fa così descriveva la proposta del Pd: «Un’imposta patrimoniale ad aliquota molto moderata sulla quota di patrimonio privato (tutto, mobiliare e immobiliare), pari al 47 per cento del totale, posseduta dal 10 per cento delle famiglie più dotate di ricchezza patrimoniale». Qualche volta fanno confusione i giornali, più spesso fanno confusione i politici. (s. me.)

da Europa Quotidiano 09.09.11