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"Tirocinio più difficile", di Luigi Olivieri

Non c’è solo l’articolo 8 nella manovra finanziaria a occuparsi delle regole nel mercato del lavoro. L’articolo 11 mette forti vincoli all’utilizzo del tirocinio di formazione, che invece è uno strumento utile per attivare un contatto diretto tra lavoratore e azienda. È vero che troppo spesso viene considerato come un sistema di reclutamento a buon mercato. Ma la nuova norma restringe eccessivamente il novero delle persone ammissibili a diventare tirocinanti, con alcune clamorose esclusioni. Per scongiurare gli abusi sarebbe bastato rendere obbligatorio un compenso minimo.

Se l’articolo 8 del decreto legge 138/2011 (la manovra finanziaria) spinge verso la flessibilizzazione del rapporto di lavoro, favorendo i licenziamenti, con la derogabilità estesa della legge e dei contratti nazionali, l’articolo 11 del medesimo provvedimento spunta le non già affilatissime armi che tentano di favorire l’incontro domanda-offerta di lavoro.
La norma, infatti, pone forti vincoli all’utilizzo del tirocinio formativo e di orientamento, uno strumento assai utile per attivare un contatto diretto tra lavoratore e azienda e facilitare la successiva stipulazione di un contratto di lavoro.

COME SI TUTELA IL TIROCINANTE

Il tirocinio è, indubbiamente, uno strumento controverso, perché può risultare fonte di abusi. Per legge non costituisce un rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza, l’azienda che ospita il tirocinante non deve utilizzarne le energie lavorative adibendolo a mansioni produttive, inserendolo nel pieno ciclo lavorativo, si deve limitare, mediante un tutore, a mostrargli l’organizzazione, indicargli le regole generali del lavoro, metterlo alla prova su singoli segmenti delle attività, formarlo e valutarne le attitudini.
Troppo spesso, invece, il tirocinio viene considerato come un sistema di reclutamento a buon mercato, per attivare un vero e proprio periodo di “pre-prova” del lavoratore, a costi bassissimi, visto che, fermi restando gli oneri per l’assicurazione per gli infortuni, l’azienda ospitante non è obbligata nemmeno ad assicurare il “buono pasto”.
L’articolo 11 della manovra è rubricato “Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini”. Si introduce il nuovo concetto dei “livelli di tutela essenziali”, evidentemente partendo dal presupposto che il rapporto di tirocinio sia meritevole di tutele utili per scongiurare i rischi di abuso.
Concretamente, tuttavia, la norma si limita a stabilire che i tirocini in futuro potranno essere promossi solo da soggetti dotati di specifici requisiti determinati in via preventiva dalla normativa regionale, che fisserà le garanzie di cui si dovrà dotare il promotore ai fini del corretto svolgimento delle sue funzioni. E aggiunge che potranno assumere il ruolo di tirocinanti, per un periodo massimo di sei mesi, proroghe comprese, esclusivamente neo diplomati e neo laureati, non oltre i dodici mesi dal conseguimento del titolo di studio.

CHI RESTA ESCLUSO

Se una maggiore prudenza e una maggiore tutela dei tirocinanti appare corretta, il rimedio proposto dal Dl 138/2011 sembra da un lato inefficace e dall’altro eccessivo.
La tutela minima per i tirocini andrebbe perseguita non con l’accreditamento di chi lo propone, ma ponendo vincoli molto chiari all’azienda che ne usufruisce. Per evitare la tentazione delle aziende di avvalersi dei tirocinanti per avere prestazioni lavorative gratuite si poteva pensare di rendere obbligatoria una borsa minima di almeno 400 euro e il buono pasto, e un numero massimo di ore significativamente inferiore a quello della giornata lavorativa.
Operando, invece, esclusivamente sui soggetti che possono essere avviati, restringendone eccessivamente il novero, la norma esclude totalmente dai tirocini “virtuosi” un’ampia fascia di persone in cerca di lavoro, tra le quali proprio soggetti di particolare debolezza.
Macroscopica è la dimenticanza di chi proviene da percorsi di formazione professionale e abbia acquisito una qualifica nell’ambito del diritto/dovere allo studio.
Non meno clamorosa è l’esclusione dai tirocini dei cosiddetti lavoratori svantaggiati, cioè chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o sia sprovvisto di un diploma di scuola media superiore o professionale, gli over 50, adulti di famiglie monogenitoriali, lavoratori occupati in professioni o settori con elevati tassi di disparità uomo-donna, migranti, disoccupati da almeno ventiquattro mesi. Per queste tipologie di persone che hanno serie difficoltà di ingresso o reingresso nel mercato del lavoro, dovute a particolari debolezze curriculari o di status, il tirocinio formativo e di orientamento rappresenta un’arma preziosa a disposizione dei servizi per il lavoro, che così riescono a creare un contatto con le imprese e opportunità di lavoro molto concrete.
Risulta, oltre tutto, che l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati abbia scritto ad un nutrito numero di parlamentari invitandoli espressamente a modificare l’articolo 11, che esclude dai tirocini anche la quasi totalità di coloro che richiedono asilo e i titolari di protezione internazionale o umanitaria, altri soggetti deboli per i quali i tirocini formativi rappresentano uno strumento indispensabile per l’inserimento lavorativo e sociale.
Con l’articolo 11 così com’è si finisce per perdere, allora, un istituto, quello del tirocinio che, se ben utilizzato, è una modalità per aiutare concretamente chi cerca il lavoro mediante i “canali ufficiali”, in particolare i servizi pubblici per il lavoro, proprio mentre i morsi della crisi economica e la flessibilizzazione dei licenziamenti rischiano di estendere notevolmente i soggetti che saranno costretti a ripiazzarsi nel mercato del lavoro.
Che il legislatore abbia agito di fretta, lo testimonia la circostanza che sempre l’articolo 11 esclude dalle restrizioni i tirocini formativi e di orientamento promossi in favore di disabili, invalidi fisici, psichici e sensoriali, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti condannati ammessi a misure alternative di detenzione. Evidentemente, si è tenuto conto delle specifiche debolezze di queste categorie, meritevoli di strumenti per la ricerca di lavoro i più ampi possibili. Ma, le fasce deboli di lavoratori sono, purtroppo, ben più estese, tali da richiedere un serio ripensamento della disposizione.

da lavoce.info

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