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"L’ultimatum di Marcegaglia. Se non ce la fa, il governo lasci", di Wladimiro Fruletti

O il governo è in grado di cambiare rotta o è meglio che «ne tragga le conseguenze, perchè non possiamo rimanere in questa situazione di incertezza ». La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia dà l’ultimatum al governo con parole mai usate prima da Chianciano Terme, dalla festa nazionale dell’Udc, in una giornata che lei stessa definisce «difficile». Le dimissioni del membro tedesco della Bce, Stark, dettate dalla netta contrarietà a comprare titoli di Stato anche italiani, hanno fatto crollare le Borse. «Il nostro Paese è in pericolo», dice Marcegaglia. E questo governo non è d’aiuto. Anzi. Perché c’è un evidente problema di «credibilità» se anche dopo la nuova manovra approvata al Senato a colpi di fiducia la risposta dei mercati è stata negativa. Se lo spread aumenta non solo nei confronti del debito tedesco, ma anche di quello spagnolo, c’è un evidente problema di credibilità internazionale di chi sta guidando il Paese. La presidente degli industriali ricorda che un mese fa l’Italia stava meglio della Spagna. Oggi stiamo peggio perchè là si sono mossi, perché avevano «una situazione politica difficile», ma Zapatero ha detto «non ho più la credibilità dei mercati, vado alle elezioni». Sta qui la differenza con l’Italia che pure, ricorda Marcegaglia, ha una capacità industriale nettamente superiore alla Spagna. Eppure loro sono più credibili. Il suggerimento a Berlusconi a seguire l’esempio di Zapatero appare evidente. Un invito a farsi da parte appena bilanciato, poco dopo, quando, rispondendo ad una esplicita domanda del vicedirettore del Sole 24Ore Alberto Orioli, Marcegaglia spiega che «o il governo, molto velocemente, dimostra che è in grado di fare una grande operazione, in termini di quantità ma anche di equità, superando anche i veti, oppure penso che dovrebbe trarne le conseguenze. Perché non possiamo restare in questa incertezza».Mail problema è che fare quello che chiede Marcegaglia sembra davvero una missione impossibile per questo governo che, come spiega lei, ha fatto una manovra composta al 65% di «nuove tasse». Che non ha toccato le pensioni di anzianità per i veti leghisti: «Per salvare 150mila 58enni padani ora rischiamo molto», dice. E che non ha fatto nulla su liberalizzazioni e privatizzazioni. E pur non volendo accendere «le micce dell’antipolitica», tuttavia non esita a definire «inaccettabile» l’autoriduzione dei tagli che i parlamentari si sono fatti sulle proprie indennità. La manovra insomma era sì necessaria, ma così come è stata partorita non aiuta di certo la crescita. Marcegaglia vorrebbe veder diminuire le tasse su lavoratori e imprese anche utilizzando la leva fiscale della patrimoniale e dell’aumento dell’Iva pur di abbassare la pressione fiscale su «chi sta tenendo in piedi questo Paese».
CONSENSI E questo giudizio così negativo sull’esecutivo trova ampi consensi sia sul palco che in platea. Lo dicono gli applausi dei militanti scudocrociati e i sorrisi di Casini e Cesa. Lo confermano le parole del consigliere delegato di Intesa SanPaolo Corrado Passera e del leader della Cisl Raffaele Bonanni. Cambiano solo i toni. Il banchiere è più diplomatico, spiega che o Berlusconi è in grado di fare un piano per la crescita o «è meglio cambiare ». Mentre Bonanni usa la metafora «non aver mai visto una famiglia prosperare quando c’è sfiducia completa nei genitori». Il messaggio a papà e mamma Berlusconi e Bossi è netto. Il segretario Cisl invita «le forze più responsabili » a mettersi insieme, sponsorizzando una grossa coalizione tipo quella fra Cdu-Csu e Spd che ha tirato fuori dai guai la Germania, e chiede che sia cambiata la legge elettorale restituendo potere di scelta ai cittadini ma anche «alle forze intermedie » attraverso le preferenze. Una formula che assomiglia molto a quel governo di unità nazionale («un governo politico, non tecnico», precisa) che Savino Pezzotta a inizio del confronto indica come alternativa concreta. Con una indispensabile premessa: «Che Berlusconi si faccia da parte». La stessa condizione posta poco prima, in mattinata, dal segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Insomma dalla festa dell’Udc appare chiaro che per imprese, sindacato e banche il governo Berlusconi è ormai il problema e non la soluzione. Una sintonia che si ritrova anche nelle prese di distanza dal tentativo dell’esecutivo e del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (che anche qui non ha perso occasione per attaccare la Cgil definita «sindacato conservatore che frena il corso della storia») di dividere con l’articolo 8 della manovra le parti sociali e di far saltare l’intesa del 28 giugno. Bonanni ribadisce l’invito fatto alla Cgil di siglare un’intesa per sterilizzare gli effetti di quella norma sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ela stessa Marcegaglia, rispondendo all’invito lanciatole da Susanna Camusso dal direttivo Cgil, spiega che Confindustria non ha intenzione di seguire altre strade rispetto a quelle concordate con i sindacati: «Abbiamo firmato l’accordo perciò saremo assolutamente precisi, staremo alle norme del 28 giugno». Anche questa è una risposta che pesa per il governo

L’Unità 10.09.11