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"Sesso con il prof. il manuale delle giovani matricole", di Paola Zanuttini

C’è una notizia di stagione: in senso lato, perché riferisce dei mala tempora e, in senso stretto, perché esce mentre si svolgono i test di ingresso nelle patrie università. Da un sondaggio su 16.218 aspiranti matricole, ambosessi, promosso dal portale UniversiNet.it risulta che la metà degli interpellati/e è disponibile a offrire prestazioni sessuali in cambio di una raccomandazione per passare il test.
Con tutta la diffidenza che può suscitare un sondaggio on line e anonimo, i risultati non vanno presi sottogamba. Perché rivelano un trend allarmante, se si considerano le precedenti edizioni del rilevamento: nel 2009 l’opzione sessuale era scelta solo dal 12 per cento del campione, l’anno dopo dal 25, oggi dal 48 per cento.
Il primo dato scoraggiante è che lo studio non è proprio considerato una garanzia di successo. Confidavano nel merito 15 studenti su cento nel 2009, 12 l’anno scorso e 13 quest’anno: non c’è da gioire per la flebile rimonta, anche perché la fiducia nella raccomandazione avanza implacabile, al ritmo del 75, 85, 86 per cento nei tre anni presi in esame.
L’offerta sessuale rientra, è ovvio, nella voce raccomandazione ed è interessante vedere come nella valutazione dei ragazzi abbia surclassato le tradizionali strategie per ottenere favori e privilegi. Alla domanda “Qual è la raccomandazione più forte?” l’escalation nel triennio del do ut des carnale non lascia margine di dubbio: dal 12 per cento al 25 al 35. È l’unico valore – a chiamarlo così – in crescita, insieme al ricorso a un alto prelato, non contemplato nel 2009, ma passato dal 6 al 13 per cento dall’anno scorso a oggi. Tutti gli altri aiutini scendono nella considerazione degli intervistati: l’intervento propiziatorio di un parente professore slitta dal 23 per cento al 18 e poi al 15; quello di un parente professionista è andato anche più giù; la frequentazione dei costosi (e ammanicati) centri di preparazione ai test dal 21 al 11 al 5; la spintarella di un politico nazionale dal 25 al 18 al 12.
Alla domanda “Cosa saresti disposto a fare per ottenere una raccomandazione?” solo il 6 per cento risponde che allungherebbe una mazzetta, meglio allora pagare un corso di preparazione (24 per cento), magari per studiare anche un po’ vien da sperare, oltre che per ricevere un trattamento preferenziale. Poi c’è un 19 per cento che si iscriverebbe a un partito, non si sa mai. Del sesso abbiamo già detto, ma senza specificare che le ragazze pronte al baratto passano dal 45 al 57 per cento, mentre i ragazzi dal 14 al 39.
Non è dato sapere a chi fornirebbero i loro servigi sessuali questi ragazzi confusi e disinvolti: ai prof o alle prof? Ma Renato Reggiani, direttore di UniversiNet, dice che quando il corpo viene percepito solo come una commodity, uno strumento per far carriera, non c’è spazio per i distinguo. “E, dopo un anno e mezzo in cui non s’è parlato d’altro che delle avventure erotiche di Berlusconi & C., non ci siamo stupiti più di tanto nel vedere questo incremento della disponibilità allo scambio sessuale. Il messaggio che è passato è: puntare sul corpo apre tutte le strade. Spettacolo, politica, professioni, potere”.
E il buon vecchio rigore morale? La dignità della persona? “Nelle risposte a questo sondaggio c’è un evidente tasso di provocazione, di goliardia e perfino di alterazione della personalità, perché internet e l’anonimato consentono di tutto e di più. Però c’è anche un grido di dolore, perché iscriversi all’università è un modo di scegliersi la vita, un momento cruciale, ma oggi è segnato più dall’angoscia che dalla gioia. I corsi preparatori costano dai 500 ai 6000 euro e sai che, se non entri in una facoltà blindata come Medicina – dove, guarda caso, i professori hanno tutti lo stesso cognome – non farai mai il medico. Ma sai anche che la selezione troppo spesso non si basa sul merito. Stiamo distruggendo i sogni ai ragazzi”.
Non c’è il rischio che oltre a denunciare il malcostume accademico il sondaggio legittimi quello studentesco? Reggiani risponde che in redazione questo problema se lo sono posto, ma che l’alternativa era mettere la testa sotto la sabbia.
“Se studio il divorzio non per questo lo incentivo. E la nostra università ha sempre legittimato il ricorso alle scorciatoie, non solo sessuali” dice Chiara Saraceno, una vita trascorsa nelle università italiane e tedesche a insegnare Sociologia della famiglia. “La mia domestica rumena si è iscritta all’università e non si capacita che agli esami copino tutti meno lei, che infatti passa per scema”.
Prese le distanze dalla metodologia del sondaggio, neanche Saraceno si stupisce per i risultati: “Non è solo la ricaduta del bunga bunga, ma l’effetto della consolidata propensione italiana per le scorciatoie: a che serve studiare se si può essere valutati per ciò che si dà invece che per quello che si sa? Però emerge un elemento nuovo, che non migliora né peggiora le cose, l’autonomia: ci si raccomanda da sé. Magari funziona per chi non ha famiglie o conoscenze influenti”.
La sociologa ha spesso discusso con i colleghi maschi sul malvezzo dei rapporti sessuali con le studentesse: “Molti ribattevano che erano le ragazze a offrirsi. Io controribattevo che non era una buona ragione per approfittarne, questi non sono rapporti liberi e alla pari. Ma ci sono anche professori che si seccano se arriva un’esaminanda con la foto osé infilata nel libretto. Anche a me è capitato di dover dire a una ragazza che il fatto che portasse o non portasse le mutande durante gli esami non mi interessava. Ma ripeto: più del sesso con i professori colpisce la propensione generale ad aggirare gli ostacoli”.
Ostacoli che ci sono, a partire dal mantenimento agli studi. All’uscita italiana di Student services, film francese su una ragazza che si prostituisce per pagarsi l’università, Reggiani ha chiesto agli iscritti al suo portale: “Conosci studenti che usano il proprio corpo per guadagnare?”. Hanno risposto in 7459 e quasi un terzo ha detto che sì, li conosce. Giovani che occasionalmente si prestano, in ordine decrescente, come hostess, cubiste, spogliarelliste on line, massaggiatrici o escort. Va da sè che i ruoli vanno declinati anche al maschile. La maggioranza lo fa per comprarsi gli sfizi, un quarto per pagarsi l’affitto. Altri per diletto. Ma la concorrenza avanza. Lo dice una studentessa della Sapienza intervistata da UniversiNet che, dopo qualche lavoretto mal pagato è diventata cam girl. Per dieci minuti di spogliarello davanti alla web cam incassa cento euro, divisi al 60/40 coi gestori del sito, però sa che non durerà. Le ragazze cinesi entrano in rete anche dal lontano Oriente e stracciano i prezzi. Cinque minuti di nudo integrale a dieci euro.

Il Venerdì di Repubblica 09.09.11