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"Poveri prof e poveri studenti. L'OCSE boccia la scuola italiana", di Mariagrazia Gerina

Ci sono altri numeri, oltre a quelli della borsa, che dovrebbero preoccupare l’Italia e spingere il governo a invertire la rotta o il paese a cambiare governo. A scandirli è l’ultimo rapporto sull’educazione (Education at glance 2011) appena pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo Economico. Partiamo dal numero dei diplomati, che è uno dei primi indicatori dello sviluppo di un paese. In Italia, anche nella popolazione giovane, tra i 25 e i 34 anni, è ancora molto basso: 70,3% contro una media Ocse dell’81,5%. E se è vero che, nel passato, c’è stato un balzo in avanti, per cui nella generazione dei 25-34enni i diplomati sono il 30% che nella generazione tra i 55- 64enni, tra i giovanissimi negli ultimi anni si registra addirittura un arretramento. Il numero dei diplomati tra coloro che cominciano la scuola superiore passa dall’84% del 2008 all’80,8% del 2009 contro una media Ocse dell’82,2%. Ancora peggio va per il numero dei laureati. Appena il 32,6%, nella popolazione giovane, contro una media Ocse del 38,6%. Investire di più per migliorare il livello di istruzione dovrebbe essere una scelta obbligata. Tanto più «davanti alla crisi». Dal momento che – come ricorda il rapporto – chi è meno istruito ha più probabilità di restare senza lavoro. E ora più che mai «occorre scongiurare con ogni mezzo il rischio di perdere una generazione ». Sembra di ascoltare il grido di allarme appena lanciato dagli studenti italiani. Più lungimiranti, evidentemente, di chi li governa, Perché i dati sulla spesa per l’istruzione sono la vera cartina di tornasole per l’Italia, che spende per scuola e università appena il 4,8% del Pil contro una media Ocse del 6,1%. Gli Stati Uniti, la Norvegia, la Corea sono tutti sopra al 7%. L’Italia su 34 paesi si colloca ventinovesima. Peggio di noi, la Repubblica Ceca, quella Slovacca, la Cina e l’Indonesia. Per l’università in particolare l’Italia spende appena l’1% del Pil. Bassissimi sono gli investimenti privati, che pesano decisamente meno delle tasse universitarie. Mentre la spesa media pro capite per uno studente universitario in Italia è di 9.553 dollari contro una media Ocse di 13.717. Non solo.Mai dati pubblicati si riferiscono al 2009.Ele scelte del governo da allora hanno solo peggiorare le cose. Fino all’ultima manovra che – come ricorda Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd – riduce ulteriormente investimenti e orizzonti fino a disegnare per il 2025 una spesa in istruzione non superiore al 3,4% del Pil. Veniamo infine agli insegnanti. Secondo i dati Ocse hanno più di una ragione per protestare. Mentre i loro colleghi dal 2000 al 2009 hanno visto crescere il loro stipendio del 7%2009 gli insegnanti italiani se lo sono visto diminure dell’1%. Senza contare le novità dell’ultimo accordo firmato al ministero per i neo-assunti e gli effetti delle ultime manovre finanziarie. Prendiamo gli insegnanti di scuola superiore. Partono da 31mila euro, lordi, contro i 33mila dei loro colleghi Ocse. E ci mettono 35 anni a raggiungere il massimo livello retributivo, che non arriva a 49mila euro lordi (48.870) contro i 53.651 euro, che è la media degli altri Paesi. Il ministro ha pronta la risposta: è che in Italia gli insegnanti sono tanti, troppi. Ergo: devono accontentarsi di stipendi più bassi. Non solo,ma proprio il numero di insegnanti, che sono uno ogni 10,7 alunni nella scuola primarie (contro una media Ocse di 16) e 1 ogni 11 alunni nelle secondarie (mentre la media Ocse è di 13,5), conferma – secondo il ministro – che le classi pollaio non esistono. Anche se di numero di studenti per classe nel rapporto non si parla. E anche se – come ricorda Francesca Puglisi – «abbiamo un più alto rapporto alunni/insegnanti perché abbiamo un gran numero di insegnanti di religione che altri Paesi non hanno e in altri paesi il costo del sostegno è sostenuto dai ministeri del welfare o della sanità». I dati non suscitano altre riflessioni al ministro Gelmini, che parla addirittura di «alcuni risultati positivi». E assicura che quei dati «confermano la necessità di proseguire nella direzione delle politiche già adottate dal governo». «È l’unica che non si rende conto della realtà», replica la senatrice Vittoria Franco (Pd), che le ricorda, in aggiunta, «i tagli all’istruzione di 8,5 miliardi operati dal suo governo». La titolare dell’Istruzione «gioca la stessa carta dell’ottimismo che ha portato questo governo a ignorare la crisi per tre anni », attacca il segretario della Flc-Cgil Domenico Pantaleo. «Cambiaie rotta, aumentare gli investimenti in istruzione, rinnovare i contratti che questo governo ha bloccato fino al 2014, sono queste le parole che avremmo voluto sentire dal ministro», aggiunge Pantaleo. E non meno critici sono i commenti di Uil, Cisl e Ugl.

L’Unit 14.09.11

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“Scuola, troppo bassi stipendi e investimenti”, di Claudio Tucci

La laurea non risolve tutti i problemi, ma almeno aiuta ad affrontare meglio la crisi. Tra il 2008 e il 2009 nei Paesi Ocse il tasso di disoccupazione dei laureati tra i 25 e i 64 anni è cresciuto dell’1,1%, passando dal 3,3% al 4,4 per cento. Hanno fatto peggio i titoli di studio inferiori. Il tasso di disoccupazione dei diplomati è salito di due punti, dal 4,9% del 2008 al 6,8% del 2009. Mentre la perdita occupazionale di lavoratori senza qualifiche o diplomi ha sforato la doppia cifra, salendo (nel biennio in esame) dall’8,7% all’11,5 per cento.
La fotografia è stata scattata dall’Ocse che ieri a Parigi ha presentato l’annuale rapporto «Education at a glance», un focus di quasi 500 pagine dedicato all’analisi dei sistemi scolastici dei 34 Paesi aderenti all’Organizzazione parigina che si occupa di cooperazione e sviluppo. In Italia, nel 2009, il tasso di disoccupazione dei “dottori” è stato del 5,1% (superiore alla media Ocse), mentre è salito all’8,4% tra chi non è arrivato neanche al diploma superiore. Tra i colletti bianchi (comparando sempre dati 2009) si osserva un tasso di disoccupazione molto simile alla Francia (5%) e al Regno Unito (4,9 per cento). Andiamo invece meglio della Spagna (9%), ma perdiamo terreno rispetto alla Germania, dove il tasso di disoccupazione dei laureati nel 2009 era pari al 3,4 per cento. L’Italia si colloca invece agli ultimi posti come percentuale di laureati che lavorano. I dati sono sempre del 2009 e parlano di un tasso di occupazione del 79,2% (contro una media Ocse dell’83,6 per cento). Peggio di noi solo quattro Paesi: Turchia (73,6), Corea (76,1%), Cile (78%) e Ungheria (78,8 per cento). Le performance dei “dottori” sono migliori rispetto ai non laureati (nel 2009 lavorava il 73,1% di diplomati e appena il 51,2% di chi è senza titoli), ma per la prima volta dal 2000 la percentuale di “colletti bianchi” con un lavoro è scesa sotto l’80 per cento. Restano invece le differenze di genere. In Brasile e in Italia le donne laureate guadagnano il 65%, o ancora meno, di quanto guadagnano i dottori uomini.
Lo studio dell’Ocse conferma poi alcune criticità “storiche” del nostro sistema d’istruzione. A partire dall’ancora basso investimento in scuola e università. I dati sono del 2008 e mostrano come l’Italia spenda appena il 4,8% del Pil, contro una media Ocse del 6,1 per cento. Peggio di noi fanno solo Slovacchia (4%) e Repubblica Ceca (4,5 per cento). Un dato non lusinghiero, fanno notare da viale Trastevere, che si spiega con una percentuale bassissima, per non dire inesistente, di investimenti privati in istruzione. Altro “tallone d’Achille” in Italia sono gli stipendi “cenerentola” dei docenti, che dal 2000 al 2009 sono addirittura diminuiti dell’1%, mentre nel resto dei Paesi Ocse sono cresciuti in media del 7 per cento. E in più rispetto a un connazionale con lo stesso grado d’istruzione i docenti guadagnano il 40% in meno. Il numero di diplomati poi è inferiore di 10 punti rispetto alla media Ocse. Ma gli scolari tra i 7 e i 14 anni passano a scuola 8.316 ore: un record, contro una media Ocse di 6.732 ore. «I dati confermano la necessità di proseguire nella direzione adottata dal Governo», commenta il ministero dell’Istruzione. «La situazione della scuola pubblica è drammatica e l’Esecutivo non se ne accorge», replica invece Domenico Pantaleo della Flc-Cgil. E Massimo Di Menna della Uil Scuola rilancia: «Bisogna valorizzare gli insegnanti. Vanno considerati una risorsa del Paese, come di fatto sono»

Il Sole 24 Ore 14.09.11