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"Storia dell'arte una riforma contro l'italia", di Francesco Bonami

Per tutta la vita andando in giro per il mondo quando la gente scopriva che ero italiano, di Firenze, e per di più che lavoravo nel campo dell’arte regolarmente esclamava «Of course!», è ovvio!, che uno nato a Firenze abbia scelto come professione l’arte. Naturale, come per uno nato su un’isola fare il pescatore. Wonderful! Meraviglioso! Essere così fortunato da nascere in un Paese dove a colazione si mangia pane e Rinascimento. Chissà come rimarrebbero delusi i miei interlocutori se avessi avuto il coraggio di confessare che in Italia Educazione Artistica e Storia dell’Arte sono da sempre, nelle scuole inferiori e superiori, materie considerate un gradino sopra l’Educazione Fisica.

Chissà come sarebbero delusi nel venire a sapere che oggi il ministro della Pubblica Istruzione ha fatto una riforma abbastanza confusa da rendere queste materie ancora meno essenziali all’insegnamento scolastico tanto che in alcuni istituti sono addirittura eliminate. Che situazione paradossale quella di vivere dentro un museo e non avere fin da piccolissimi la possibilità di conoscere gli strumenti per utilizzare la realtà che ci circonda al meglio. Pare che l’arte e la cultura siano quasi una seccatura dalle nostre parti. Ma guarda cosa ci è capitato! Nascere in una nazione piena di opere d’arte. Costretti a mantenerle. Obbligati a rispettarle. Per difendersi da questo mal di Dio allora l’unica strada è quella d’ignorarle, di non conoscerle, di disprezzarle e se nessuno ci vede anche di rovinarle.

A parte gli scherzi. La crisi economica ci devasta e ci fa perdere di vista molte altre cose non meno importanti del denaro e dei nostri risparmi. Tra queste cose la cultura e l’insegnamento. Due cose che vanno mano nella mano nella crescita di un individuo civile e responsabile e nella crescita del Paese dove vive. Un tempo l’ignoranza era una vergogna. Non a caso c’era il maestro Manzi che ci ricordava sulla Rai che non era mai troppo tardi per sconfiggere l’analfabetismo e quindi la nostra ignoranza. Poi, non so bene quando, essere ignoranti è diventato quasi un merito. Fare il «grano» è diventato più importante che studiare. Anzi studiare è stato considerato da molti quasi un intralcio al benessere economico. Perché mai tentare di fare il professore di scuola media, figuriamoci il maestro delle elementari, se con lo stipendio che guadagnerei non potrei mai permettermi quello che altre professioni possono offrirmi. Così la scuola è diventata quasi tempo buttato via. Figuriamoci la storia dell’arte. Sembrano essere di questa opinione un po’ tutti, dal ministro dell’Economia a quello della Pubblica Istruzione. Per fortuna il nuovo ministro dei Beni Culturali ha preso il suo incarico come una vera responsabilità, un lavoro difficile ma serio, non semplicemente come una poltrona da occupare. Davanti al vandalismo e l’ignoranza non alza le spalle ma reagisce. Chi deturpa un’opera d’arte, un monumento, non importa quanto famoso o importante sia, non compie uno scherzo di cattivo gusto, compie un crimine per il quale deve finire in galera. Ma questo crimine verso il patrimonio artistico è un crimine del quale sono responsabili tutti coloro che considerano la cultura poco più di una ginnastica. Coloro che ritengono l’arte ed il suo insegnamento una perdita di tempo e magari di denaro. E’ ora di cambiare rotta. Sarebbe triste se i nostri figli e nipoti davanti alla meraviglia di chi, più sfortunato di noi, è nato in un Paese senza un patrimonio artistico fossero costretti a dire «I am sorry», mi dispiace, io di arte non ne so niente. Sarebbe triste vivere fra gente cresciuta con la convinzione che Carpaccio è un antipasto e Bellini un cocktail leggero.

La Stampa 14.09.11

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