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Bossi avvisa il governo "Fino al 2013? Troppo", di Fabio Poletti

Svoltato l`ultimo tornante, a salutare Umberto Bossi c`è un bandierone grande così. Un tricolore come non si era mai visto sul Monviso. E cento sindaci di centro, di destra e di sinistra a cantare l`inno d`Italia più forte del Va` pensiero. «Da quando sono al governo loro, i Comuni sono strangolati», giura Luca Gosso, sindaco di Busca provincia di Cuneo, uno che gioca in casa. Umberto Bossi fa il nervoso. Alza l`indice e il mignolo e urla:
«Cornuti…». E la festa dei popoli padani che inizia qui e finirà a Venezia è bella che rovinata.

Come se non bastasse la crisi, la manovra, i tagli e i sacrifici ci si mettono pure i cento sindaci. Altro che Padania verde. Vede nero il leader del Carroccio sempre più affaticato. A chi gli chiede se il governo dura, fa una faccia così: «Per adesso si va avanti, poi vediamo…». Che possa resistere fino al 2013 non ci crede più nemmeno lui: «Mi sembra troppo lontano…

Ma anche se l`Italia va giù noi non precipitiamo perchè abbiamo la Padania. Il Nord non muore». Però a guardare questi cento sindaci che vengono da Saluzzo, da Crissolo, Torre Pellice, da tutte le province del Piemonte, come minimo sembra che agonizzi. I cartelli sbattuti in faccia ai cento leghisti – mai così pochi per questo infiaschettamento annuale dell`ampolla – sono tutto un programma:

«Lontani dal Nord, comodi a Roma», «Avevate detto vicini ai Comuni, meglio che stiate lontani». Fino a quel «Noi stiamo con il sindaco Tosi», primo cittadino a Verona, leghista in odore di eresia, che farebbe intendere un mal di pancia pure dentro al partito.

Roberto Cota, atletico governatore del Piemonte che salta da un sasso all`altro, minimizza: «Ma va là, sono del Pd, vengono qui per farsi vedere perchè ci siamo noi…».

Sarà. Ma pure al comizio di Paesana del pomeriggio – con doppio cordone di polizia che non si sa mai e mai si era visto – si capisce che i mal di pancia della Le- ga sono fortissimi. Il ministro Roberto Calderoli che pure è tra i più allineati, mette le mani avanti che non si sa mai: «Non è il momento di discutere di leadership, ma quando ci sarà la discussione sulla successione a Silvio Berlusconi, anche la Lega avanzerà la sua candidatura…». Applausi fiacchi. Quasi quasi emoziona di più il deltaplano con il fumogeno verde che svolazza nel cielo.

«Se cade ci divertiamo di più…», se la ride facile il ministro della Semplificazione in braghette di jeans e camicia verde di ordinanza. Su un improbabile quad si aggira pure Renzo «il Trota» Bossi.

Sfoggia una t-shirt bianca con il faccione dei padre. Il leader della Lega lo incorona e lo promuove come minimo a delfino: «Sul Po dopo di me ci sarà lui…». E se non bastasse l`aria che tira dentro la famiglia, circondata dal cerchio magico dei fedelissimi, il leader del Carroccio fa di più: «Alla manovra del governo manca qualcosa sui giovani. Ho detto a Renzo di prepararmi qualche legge apposta su di loro…».

Il braccio ancora fasciato al collo, Umberto Bossi pensa al futuro del movimento mai intorcigliato come stavolta. E quando va male ma proprio male come ora, deve tirare fuori qualcosa a cui non crede più nessuno: «Che l`Italia stia andando a picco lo hanno capito tutti. Bisogna preparare qualcosa di alternativo.

La Padania…». Il sogno di andare da soli chissà dove, spunta sempre. La Realpolitik della Lega, detta altre priorità. Umberto Bossi si infila in spinose questioni che alla base del partito piacciono niente: «Ci sono in giro troppe intercettazioni…

Beato lui, se Silvio Berlusconi non riesce ad andare dai magistrati…». Spiegare la manovra tutta tasse e tagli è un`impresa sovrumana pure per lui. «Dopo il federalismo abbiamo portato a casa i contratti territoriali, con gli stipendi più alti nelle zone dove costa di più la vita», annuncia lui anche se non è vero.

Ma guardare al futuro è pure peggio: «Sono acciaccato, spero che l`acqua del Po ci porti bene». Per ora qui alla sorgente, sembra far crescere solo il dissenso dei sindaci del Nord strangolati dalla manovra che adesso si chiedono: «Se il federalismo è questo qui, meglio di no!».

La Stampa 17.09.11