attualità, politica italiana

"Il cavaliere fugge nella menzogna", di Massimo Giannini

Silvio Berlusconi passerà alla storia come il “premier a tempo perso”, secondo la definizione che lui da di se stesso conversando amabilmente con Maristelle Polanco, una delle innumerevoli “bambine” che hanno allietato le “serate eleganti” di Arcore, di Palazzo Grazioli o di Villa Certosa. Il presidente del Consiglio azzarda ora un rancoroso contrattacco. Protesta sul “Foglio” per l´inaccettabile “aggressione politica, mediatica, giudiziaria, fisica, patrimoniale e di immagine” a cui è stato sottoposto. Denuncia la “campagna di delegittimazione che punta a scardinare il funzionamento regolare delle istituzioni”. Lamenta il “regime di piena e incontrollata sorveglianza” al quale lo hanno sottoposto magistrati e giornali comunisti, con l´obiettivo di costruirgli addosso “l´immagine di ciò che non sono, con deformazioni grottesche delle mie amicizie e del mio modo di vivere il mio privato”. Accusa sdegnato il “circuito mediatico e giudiziario completamente impazzito”, che sta cercando di “trasformare la mia vita privata in un reato”.
Bisogna sempre ascoltarlo, il Cavaliere, quando urla la sua onestà politica e il suo rigore morale di fronte agli scandali innumerevoli che lo travolgono. Quando grida al mondo le sue “verità”, cercando di mascherare lo “scandalo permanente” della sua vita privata, incompatibile con un incarico pubblico perché esposta al ricatto sistematico e disposta all´abuso di potere. Berlusconi tace o parla d´altro, come sempre. Fugge altrove. Nell´altrove dell´autocelebrazione manipolatoria e del complotto mediatico-finanziario. Lo fa perché non può rispondere alle domande che lo inseguono da tre anni, e che chiamano in causa la sua ossessione sessuale, perseguita e soddisfatta ad ogni costo e con tutti i mezzi. Compreso l´uso di una “ragnatela” di faccendieri senza vergogna (ai quali si consegna inerme, tentando di nascondere i suoi vizi con i suoi soldi) e di manager senza scrupoli (ai quali fa saldare il conto delle sue bravate aprendo al giro dei suoi lenoni affamati la cassaforte degli appalti pubblici). Al centro della ragnatela non c´è Tarantini né Lavitola. Non c´è Intini né Guarguaglini. Il “ragno” è lui. E´ lui che chiede «ragazze sempre più giovani» e «non troppo alte». È lui che passa ore al telefono per organizzare i bunga bunga. E´ lui che retribuisce lautamente i suoi pusher di escort, vestendo i panni della vittima ricattata, quando è in realtà il vero carnefice di se stesso.
Non è un “teorema” mediatico-giudiziario. E´ invece il quadro chiaro, che emerge rimettendo in ordine fatti e documenti. Da una parte l´autodifesa del Cavaliere, affidata non solo alla lettera al “Foglio” ma prima ancora al “Memoriale” inviato ai pm di Napoli che cercano invano di sentirlo come testimone. Dall´altra parte le intercettazioni telefoniche, gli interrogatori, le ordinanze dei Gip: insomma i materiali agli atti delle inchieste di Bari, di Napoli, di Milano. Il confronto è impietoso. Il presidente del Consiglio non solo non spiega nulla. Ma depista, confonde, quasi sempre mente.

“TARANTINI, IMPRENDITORE DI SUCCESSO”
Ai pubblici ministeri napoletani che si rifiuta di incontrare Berlusconi scrive poche righe, nel suo “Memoriale”: «Ho conosciuto il signor Tarantini e sua moglie alcuni anni orsono. Mi è stato presentato come un imprenditore di successo e da più parti ho avuto su di lui positive indicazioni».
Tutto qui. Il riferimento è vago. Nulla dice sulle modalità e sulle ragioni che hanno fatto incrociare le strade di un capo di governo e di uno spiantato trafficante di escort e cocaina. Nel passato di Tarantini non risultano agli atti “imprese di successo”. La sua unica “impresa” è l´organizzazione di un vorticoso giro di prostitute, che lo stesso Tarantini “gestisce” a Bari e offre ai potentati locali, e che assolda dall´estate del 2008 per entrare nelle grazie del premier. Ci riesce, fin da quell´agosto. Di lì a un mese inizia a organizzare le “serate” berlusconiane. Nulla dice di tutto questo, il presidente del Consiglio. Nulla dice delle ragazze che, da quel momento e nell´anno successivo, “ordina” allo stesso Tarantini. Le 3.500 pagine depositate dalla procura di Bari sono un campionario infinito e ormai persino abusato. Basta leggere le conversazioni tra il Cavaliere e il suo “fornitore”. «Vedi Giampaolo, ora al massimo dovremmo averne due a testa. Perché ora voglio che anche tu abbia le tue, se no mi sento sempre in debito. Tu porta per te e io porto le mie. Poi ce le prestiamo. Insomma, la patonza deve girare…». «Erano in undici… io me ne son fatte solo otto perché non potevo fare di più…».
Si indigna ora il Cavaliere, nella sua lettera al “Foglio”: «È del tutto inaccettabile e addirittura criminale che persone che sono state presenti a mie cene con numerosi invitati siano marchiate a vita come escort”. Basta leggere le carte, per scoprire che, ospitate nelle “serate eleganti”, le ragazze sono retribuite per le loro prestazioni. “Devo trovare subito una troia», si dispera l´imprenditore cocainomane barese. Paga Tarantini. Ma dai brogliacci della procura emerge che, in diversi casi, paga anche il premier. È il caso del 6 settembre 2008, quando a Tarantini la Di Meglio spiega: «Io non ho detto niente, Stamattina, andando via, ha detto, ‘ah metti questo in borsa´, e io ho detto ‘no guarda, non ti preoccupare, non ti sentire obbligato a…´. ‘No mi fa piacere! ´. Però io non ho chiesto, assolutamente…». E´ il caso, ancora, della telefonata che lo stesso premier fa a Tarantini il successivo 17 ottobre, quando gli dice: «Guarda che hanno tutto per pagarsi da sole, sono foraggiatissime…».

“Lavitola, direttore di giornale”
Ancora più sintetico, per non dire reticente, si dimostra il Cavaliere quando spiega la sua “Conoscenza con Valter Lavitola”: «Conosco Lavitola da parecchi anni, in particolare per la sua attività di giornalista e di direttore di giornale». Tutto qui. Troppo poco, per giustificare quello che i magistrati di Napoli, nell´ordinanza di arresto di Tarantini, descrivono come “un anomalo rapporto di interlocuzione privilegiata”, caratterizzato da un “tono di speciale vicinanza”. Troppo poco, per spiegare la natura delle relazioni tra il capo del governo e quello che ai pm appare come “un attivo e riservato informatore su vicende giudiziarie di specifico e rilevante interesse dello stesso Berlusconi”. In pochi, in Italia, conoscono Lavitola, almeno fino al settembre di un anno fa, quando la macchina del fango berlusconiana parte all´attacco di Gianfranco Fini per la sua casa a Montecarlo e il dinamico direttore-editore dell´”Avanti” sforna documenti taroccati nelle sue ignote trasferte tra Santa Lucia e Panama. Berlusconi apprezza, evidentemente.
E´ con Lavitola la telefonata dell´ottobre 2009, quando suggerisce al premier la nomina di un generale “amico” alle Fiamme Gialle: «Presidente, si ricorda la faccenda di cui le venni a parlare, la faccenda del generale? Non per fare il numero uno, per fare una mediazione e lui il numero due…». E Berlusconi, solerte: «Allora lo devo chiamare… Gli fissiamo un appuntamento. Allora lui si chiama? Spaziante?». Ed è ancora con Lavitola un´altra telefonata del 13 luglio scorso, con il premier che chiama con una scheda Wind, intestata a Ceron Caceres, di origine peruviana. Nella conversazione Lavitola parla dell´inchiesta P4, sputa fuoco contro Letta e Bisignani e gli parla di una nota che serve a Paolo Pozzessere, manager di Finmeccanica ora travolto dallo scandalo e dimissionato l´altro ieri, che invece il Cavaliere vuole sentire («Fammi chiamare da Pozzessere», dice). E´ la nota telefonata nella quale il premier dice “…tra qualche mese vado via da questo paese di merda…”. Ed è di nuovo con Lavitola la telefonata del 24 agosto scorso, quando il premier consiglia al suo sodale latitante, che lo chiama dall´estero: “Resta lì, e vediamo un po´…”.
Perché il presidente del Consiglio intrattiene un rapporto del genere, con un personaggio così losco ed ambiguo? Perché parla con lui usando utenze peruviane? Perché accetta i suoi consigli sulle leggi da approvare, persino sulle nomine da fare nei corpi dello Stato? Perché – come vedremo più avanti – lo riempie di denaro contante, da dividere con il socio Tarantini? Il “Memoriale” non lo dice.

I SOLDI AI TARANTINI, “FAMIGLIA DISPERATA”
La domanda più importante che i pm di Napoli vorrebbero rivolgere al premier, riguarda l´enorme quantità di denaro versato in questi anni a Tarantini. Nell´ordinanza d´arresto del faccendiere il versamento di queste “consistenti cifre e benefici” si quantifica in “appannaggi mensili in forma occuplta di quasi 20 mila euro, più una somma “una tantum di 500 mila euro”. Perché questa gigantesca prebenda, a beneficio di uno spregiudicato “spacciatore” di donne e di droga? Nel suo “Memoriale”, il premier ripete la favola del “Grande Benefattore”: “Dopo il suo arresto Tarantini e la moglie mi scrissero delle accorate lettere… mi fecero sapere di essere in gravissime difficoltà economiche… chiedendomi aiuto per finanziare la loro azienda e per evitare il fallimento… Feci quindi avere al Tarantini e alla moglie del denaro consegnandolo direttamente al Lavitola o facendolo consegnare dalla mia segreteria…”.
L´uomo generoso. Questa, dunque, è la leggenda che il premier cuce su se stesso. Carte alla mano, i magistrati di Napoli raccontano nell´ordinanza una verità totalmente diversa. “La ragione giustificativa di tali dazioni risiede nella vicenda processuale radicata a Bari, dove il Tarantini è indagato (per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione) e Berlusconi è coinvolto anche se solo mediaticamente…”. Il premier, in altre parole, paga il silenzio del suo lenone sulla compagnia di escort che gli ha fornito negli anni. Vuole che patteggi la pena, e che eviti così un dibattimento nel quale uscirebbero tutte le intercettazioni telefoniche sulle “serate” di Casa Berlusconi, il cui contenuto è ritenuto “catastrofico per l´immagine del premier”.
Ecco perché il presidente del Consiglio paga. Ancora una volta, deve insabbiare e nascondere la sua “sexual addiction”. I suoi “aguzzini”, Tarantini e Lavitola, non hanno con lui l´atteggiamento che lui stesso descrive nel “Memoriale”, raccontandosi come il Buon Samaritano. “Lo dobbiamo tenere sulla corda”, “metterlo in ginocchio” si dicono Tarantini e Lavitola al telefono prima dell´estate. Tarantini parla con la moglie Nicla, il 14 luglio: «Quando lui si sputtanerà io gli andrò addosso… lo dovrò mettere con le spalle al muro». Lei gli risponde: «Noi non abbiamo più niente da perdere, lui invece ha da perdere questo e quell´altro… Hai capito, gli compra le case, le sistema, gli trova lavoro a quattro mignotte… Lui si è fatto arrivare a casa minorenni, vogliamo parlarne? E adesso il problema era Giampaolo…». Questo è lo stato d´animo dei Tarantini, “famiglia bisognosa” miracolata dal Cavaliere. E´ un presepe che non regge, quello costruito dal premier nel suo “Memoriale”. Lo spazza via il pragmatico Lavitola che, a fine luglio dice a Giampi: «Più merda c´è, meglio è».

LE “FOTOGRAFIE” DI MARINELLA
Dunque, il premier paga. Questa verità non può più negarla neanche lui. Come paga? «Si trattava di somme che variavano tra i 5 mila e i 10 mila euro, 5 mila per il Tarantini e 5 mila per la moglie… Ho una cassaforte dove tengo sempre disponibile una somma di contanti….».
Almeno su questo, il Cavaliere non mente. Viola la legge, perché nel tempo versa in nero e in contanti una somma totale che lo stesso Tarantini, nell´interrogatorio del 2 settembre in carcere, quantifica in circa 700 mila euro. Ma non può mentire. Resta da scoprire un´altra verità: perché, se versa il suo obolo per beneficienza, non lo fa alla luce del sole? Perché, viceversa, sente il bisogno di occultare questa “incombenza” affidandola alle cure riservate della sua segretaria Marinella Brambilla, e di farla truccare con quello che i magistrati chiamano “un linguaggio criptico, convenzionale”? E´ la farsa delle “foto da stampare”, scoperta nella telefonata del 23 giugno tra la Brambilla e Lavitola: «Allora, riusciamo a stampare 10 foto, mandami… chi mi mandi, il solito Juannino, li, il tuo?». Questo è il gergo. Segreto e cifrato, come quello dei gangster. Perché? Se i soldi servono ad alleviare le pene di una famigliola in difficoltà, perché mimetizzarli da “foto” e farli transitare illegalmente usando balordi intermediari sudamericani? Perchè occultare le tracce di ciò che si sta facendo, invece che esserne pubblicamente orgoglioso? Il Cavaliere paga non per aiutare, ma per zittire. Per questo non è tranquillo. C´è una prova a carico: è la deposizione della stessa Brambilla, interrogata dai pm il 13 settembre: nel confermare i versamenti, la segretaria racconta che quando il premier gli diede ordine di pagare Lavitola con 10 mila euro «era sicuramente infastidito e piccato: disse qualcosa tipo: ‘quello è un rompiscatole´…». Perché quel fastidio, se il “regalo” del Cavaliere era un´opera buona che serviva a sfamare una bocca, e non a chiuderla?

LE AZIENDE PUBBLICHE COME MERCE DI SCAMBIO
C´è un ultima verità, che emerge dalle 100 mila intercettazioni di Bari, e che il presidente del Consiglio non chiarisce. Per la prima volta da quando le inchieste sono cominciate, si profila con nettezza un “metodo Berlusconi” che piega anche le aziende pubbliche e gli apparati dello Stato alle logiche della circonvenzione sessuale e della spartizione affaristica. Nasce quello che i magistrati chiamano un «comitato d´affari sul gruppo Finmeccanica, con la prospettiva di entrare nel capitale di una società di progetto, ancora in fase di costituzione a cui sarebbero stati destinati i circa 280 milioni di euro che il governo aveva stanziato … per materiali, servizi ed opere per conto della Protezione Civile». E´ Berlusconi che si fa chiamare da Paolo Pozzessere. E´ Berlusconi, il 12 novembre 2008, che chiama Tarantini dalla sua macchina e passa la cornetta a Guido Bertolaso, seduto a fianco a lui, perché si mettano d´accordo per un appuntamento d´affari. E´ Berlusconi, il 10 dicembre 2008, che incontra il presidente di Finmeccanica Guarguaglini, per chiedergli di far entrare Tarantini nella società controllata dalla Selex (di cui è amministratore delegato Marina Grossi, moglie di Guarguaglini) che dovrà gestire l´appalto da 280 milioni della Protezione Civile. «Ho visto Guarguaglini, poi ti riferisco».
Questo è l´abisso, nel quale precipitano il capo del governo e le sue istituzioni, lo Stato e le sue aziende, i soldi privati e quelli pubblici. Questo è il vero “scandalo permanente”. Un presidente del Consiglio che usa la menzogna e abusa del suo ruolo. Che semina illegalità e immoralità. Che è ormai interamente posseduto dai suoi vizi, e per questo non può più governare.

La Repubblica 18.09.11