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"Il tempo è ora. L’Italia non è ancora un Paese per donne", di Francesca Izzo

Siamo ormai sommersi da un fiume di rivelazioni sulla vita e i rapporti personali del premier e dalle inchieste giudiziarie che le accompagnano. Quando due anni fa cominciò a squarciarsi il velo di protezione, con la pubblica denuncia di Veronica Lario e i casi Noemi e D’Addario, solo alcune donne, dissero che non era una faccenda privata. Solo alcune, tra il silenzio o l’irrisione dei più, dissero che lo scambio sesso-denaro-potere aveva un fortissimo senso politico. La mercificazione del corpo femminile, ostentata da un uomo ai vertici dello Stato, era il segno di un degrado sociale, civile, morale dell’intera nazione. Che un presidente del Consiglio potesse permettersi di concepire ed esibire quel tipo di rapporto con le donne senza che la comunità nazionale, le sue classi dirigenti sentissero il dovere di sanzionarlo eticamente e politicamente voleva innanzitutto dire che lo condividevano e che la dignità il prestigio, il ruolo internazionale dell’Italia, offuscati dalla mancata reazione a quei comportamenti, non era in cima ai loro pensieri.
Ci furono appelli, discorsi, analisi che caddero nel vuoto finché, dopo l’ennesimo scandalo, il 13 febbraio di quest’anno non si riempirono le piazze di folle mai viste in tutta la storia italiana, richiamate da parole come dignità e rispetto e dall’idea che Berlusconi era solo il sintomo di una questione che chiamava in causa l’intera società italiana. Il fortunato slogan di quella giornata Se non ora quando? era ed è rivolto agli uomini, in specie agli uomini che in schiacciante maggioranza compongono la nostra classe dirigente politica, economica, culturale, religiosa,
per sollecitarli a riparare rapidamente i danni e a mettere mano alle storture della nostra società, a cominciare dalla crescente, intollerabile emarginazione delle donne. Il movimento delle donne ha messo in evidenza il nesso tra i comportamenti eclatanti del premier e le drammatiche condizioni di vita delle donne italiane. Ed ha dunque proposto di stipulare un patto finalmente paritario per innovare radicalmente le strutture sociali ed economiche, costruire un welfare anche a misura di donne, contrastare il declino economico e culturale dell’Italia, rinunciando a privilegi assai discutibili, come la diversa età pensionabile.
Ma non c’è stata risposta. Anzi è arrivata una manovra che aggrava in modo feroce l’uso delle donne come supplenti gratuite di un Welfare in dissoluzione. La crisi è andata avanti a ritmo vertiginoso tanto che l’Italia è diventata uno dei paesi Presi di mira dalla speculazione internazionale, e l’intreccio perverso tra vicende personali del presidente del consiglio e la situazione complessiva ha raggiunto un livello insostenibile. Ma ancora non si vede un segno orte e efficace di reazione, è come se i gangli vitali del paese, tutte le forze che si reputano interpreti della nazione, le classi dirigenti politiche, economiche, burocratiche, religiose, culturali fossero bloccate.
Il turbamento è così profondo perché prevale l’impotenza generale: di chi spera di guadagnare da questi fuochi mediatici e giudiziari, di chi teme di rimanere schiacciato dal terrificante quadro di intrighi e ricatti, di chi non riesce a concepire proposte politiche adeguate.
Insomma c’è qualcuno, ci sono forze in questo Paese, qui ed ora, capaci di spezzare questo gioco al massacro? Di prendersi la responsabilità di chiamare tutti, donne e uomini, ad un nuovo patto per ridare forza e prestigio all’Italia, innanzitutto in Europa? Di far convergere gli intenti, di compiere quel grande sforzo collettivo a cui si è più volte appellato il Presidente della Repubblica, insomma di aprire una stagione costituente con le donne protagoniste?
Ora è il tempo.

L’Unità 18.09.11