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"Il prezzo alto della decadenza", di Isabella Bufacchi

Il declassamento inferto da Standard & Poor’s sul rating italiano, abbassato a sorpresa di un gradino ieri notte dalla “A+” alla “A” con prospettive rimaste negative, avrà ripercussioni gravi per il rischio-Italia. Innanzitutto per le motivazioni alla base di questa retrocessione, che esprime un giudizio severissimo sul degrado e sul declino della vita politica ed economica del paese, i due cardini che dovrebbero sorreggere l’affidabilità creditizia sovrana, la capacità di uno Stato di ripagare i propri debiti. E che in Italia sono venuti a mancare.

S&P’s ha declassato la Republic of Italy perché la crescita, già fiacca, si è indebolita ulteriormente e le prospettive della ripresa economica sono peggiorate anche a causa di un governo incapace di governare e di una classe politica incapace di rispondere alle sfide della globalizzazione. L’incertezza dello scenario politico è alla base di questo declassamento, perchè spetta al Governo e al Parlamento iniettare nel sistema non tanto spesa pubblica ma fiducia nel futuro per far ripartire l’economia.

Per far questo servono riforme strutturali che le agenzie di rating invocano, invano, da anni, di retrocessione in retrocessione. Il fatto politico ha inciso fortemente su questo giudizio negativo e il prezzo che l’Italia dovrà pagare per l’inadeguatezza del Governo sarà alto. Sì perchè questa retrocessione si farà sentire questa mattina sul differenziale del rendimento tra i titoli di Stato italiano e quelli tedeschi. Il sorvegliato speciale da qualche settimana è infatti l’ampliamento dello spread tra i BTp decennali e i Bund, che già ieri era risalito sopra quota 380 punti nonostante gli acquisti della Bce si fossero assestati su una media superiore ai 10 miliardi settimanali. Il Securities markets programme ha superato la soglia dei 150 miliardi: ma questo non ha impedito al BTp di tornare a rendere il 5,60 per cento.

E mentre il mercato scontava già stancamente nei prezzi e nei rendimenti il declassamento imminente di un gradino (o anche due) da parte di Moody’s, che si sarebbe dovuta allineare al rating più basso di Standard & Poor’s, è stata quest’ultima ad annunciare una retrocessione inaspettata: l’outlook negativo che gravava sulla “A+” dallo scorso maggio aveva fatto sperare il mercato – e fors’anche il Governo – in tempi lunghi, quelli tradizionali compresi tra 12 e 24 mesi. Ma di questi tempi tutti gli schemi stanno saltando. E nonostante l’outlook di lungo respiro, saltando a piedi pari il negative credit watch, S&P’s ha deciso di declassare l’Italia perchè una crescita inesistente e in ulteriore calo abbinata a una crescente incertezza politica, a una manovra restrittiva e costi di raccolta in salita peggiorano le prospettive della dinamica di un debito/Pil già al 120 per cento. L’intervento della Bce sul secondario è un’arma potentissima e oggi gli acquisti della banca centrale saranno fondamentali per evitare che lo spread schizzi nuovamente sopra i 400 punti, mantenendo il rendimento del BTp decennale sotto la soglia psicologica del 6 per cento. Ma l’arma della Bce è spuntata perchè a termine: i mercati sono ossessionati dal dopo-Bce.

L’Italia dovrà rimborsare l’anno prossimo poco meno di 200 miliardi di titoli di Stato a medio-termine in scadenza, la cifra più elevata in Eurolandia contro i 160 circa della Germania e i 115 della Francia. Il modo in cui la portentosa Bce lascerà il campo a un inedito Efsf sarà decisivo: questo passaggio di testimone dovrebbe tranquillizzare e non esaperare some ora gli asta-ansiogeni. La Bce potrebbe allora annunciare il quantitative easing, suggeriscono i BTp traders, seguire l’esempio della Federal Reserve e della Bank of England. Il bilancio della Banca centrale europea è poco più che raddoppiato dall’inizio della crisi a oggi: era di 1.200 miliardi nel luglio 2007, è arrivato a 2000. Quello della Fed e della BoE è triplicato nellla crisi: la Bce potrebbe acquistare titoli di Stato dell’eurozona per altri 1.600 miliardi, arrivando a quota 3.600 ipotizzano i sostenitori del QE. Un solo sentore che l’Eurotower sarebbe disposta a tanto potrebbe rasserenare spread e rendimenti nell’eurozona periferica.

Il Sole 24 Ore 20.09.11

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S&P declassa l’Italia: governo troppo debole. Il premier: tutta colpa dei giornali

L’agenzia di rating Usa, Standard and Poor’s ha declassato il debito sovrano a breve e a lungo termine dell’Italia portandolo a «A» da «A+» e a «A-1» dal precedente «A-1+». L’Outlook è negativo. Il declassamento, spiega S&P in un comunicato «riflette la nostra visione di prospettive di crescita indebolita» per il Paese. Inoltre, spiega l’agenzia di rating «la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continueranno probabilmente a limitare l’abilità dell’esecutivo a rispondere con decisione a un contesto macro-economico interno ed esterno difficile».

Per Standard and Poor’s, le autorità italiane «restano riluttanti» ad affrontare alcune questioni chiave, «come gli ostacoli strutturali alla crescita, il basso tasso di partecipazione al lavoro, e mercati dei servizi e del lavoro troppo rigidamente regolati».

Euro in difficoltà sui mercati asiatici dopo il declassamento del debito sovrano dell’Italia da parte dell’agenzia di rating Standard&Poor’s, che lo ha abbassato da A+ ad A: nelle contrattazioni del mattino a Tokyo la moneta unica europea passava di mano a 1,3638 rispetto al dollaro, contro 1,3679 della chiusura a Wall Street. Euro in calo anche nei confronti dello yen: da 104,89 a 104,42.

IL PREMIER: GIUDIZIO POLITICO
«Il governo ha sempre ottenuto la fiducia dal Parlamento, dimostrando così la solidità della propria maggioranza. Le valutazioni di Standard & Poor’s sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche. Vale la pena di ricordare che l’Italia ha varato interventi che puntano al pareggio di bilancio nel 2013 e il governo sta predisponendo misure a favore della crescita, i cui frutti si vedranno nel breve-medio periodo». Questa la nota emessa dalla Presidenza del consiglio dei ministri, sul downgrade di Standard&Poor’s deciso ieri.

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Italia, ecco cosa cambia dopo la «retrocessione»

Interessi più alti, maggiori costi e – soprattutto – una maggiore incidenza sul debito: il declassamento di Standard’s and Poor avrà per il sistema bancario nazionale le stesse conseguenze che in estrema sintesi dovrebbe sopportare un imprenditore privato con un’azienda finanziariamente in crisi che si rivolgesse ad un istituto per ottenere in prestito del denaro.

«La prima conseguenza – spiegano gli esperti – è che le banche «degradate» andranno a pagare di più sul debito. Infatti, quando un istituto emette una obbligazione sul mercato (chiede in sostanza del denaro agli investitori) offre un certo rendimento.

La banca «sotto esame» che vorrà fare una nuova emissione, la dovrà emettere a livelli di prezzo più bassi e con un rendimento più alto». Sono penalizzati, allo stesso modo, anche quegli investitori che hanno sottoscritto obbligazioni dell’istituto quando questo aveva un rating più alto: «se il cliente intende vendere il titolo tagliato, anzichè tenerlo in portafoglio, per piazzarlo e renderlo appetibile dovrà – a sua volta – offrire rendimenti più alti», e cioè in pratica fare uno «sconto».

La decisione odierna della società di rating americana comporterà pertanto nell’immediato costi più alti per le banche ed una minore fiducia da parte degli investitori.

www.unita.it