attualità, politica italiana

"Quanto ci costa il cavaliere", di Tito Boeri

Giulio Tremonti, che ha dimostrato in questi anni grande fantasia nel trovare nomi accattivanti per i nuovi balzelli che ha introdotto nel nostro sistema fiscale, forse la chiamerebbe Papi´s tax. È quella tassa aggiuntiva che paghiamo per ogni giorno in più in cui Silvio Berlusconi rimane a Palazzo Chigi.Rendendo, con la sua permanenza, il nostro Paese meno credibile agli occhi degli investitori internazionali, non in grado di onorare gli impegni di rientro del debito e volto solo a prendere tempo, a procrastinare quelle scelte difficili che comunque, prima o poi, dovremo compiere. A quanto ammonta questa tassa? Difficile stabilirlo, ma è sicuro che c´è, è reale e tutt´altro che insignificante.
Secondo Nouriel Roubini, il solo annuncio delle dimissioni di Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi porterebbe a ridurre lo spread fra i btp e i bund tedeschi decennali fra i 50 e i 100 punti base, in modo permanente. Prendiamo il livello più basso di questa forchetta di valori. A regime implica risparmi della spesa per interessi sul debito di più di mezzo punto di pil. Verrebbero ottenuti gradualmente man mano che i titoli vanno a scadenza e vengono rinnovati con nuove emissioni. Circa due miliardi in meno nel primo anno, poi 3,5 nel secondo anno fino a raggiungere 8 miliardi nell´arco di 7-8 anni. Non so come Nouriel Roubini sia arrivato a questa stima, ma so che ha frequenti contatti con gestori di hedge funds, fondi pensione e fondi comuni di investimento e con loro discute scelte macroeconomiche di portafoglio, su quali Paesi investire e quanto investire. Alcuni studi hanno provato a quantificare gli effetti degli annunci degli scandali sessuali del premier sui rendimenti dei nostri titoli di stato trovando che questi hanno contribuito ad allargare lo spread in modo statisticamente significativo. Oggi che la Bce interviene massicciamente in acquisto dei nostri titoli di stato è molto più difficile identificare gli effetti dell´ultima serie di rivelazioni sulla sincerità e il senso dello stato del nostro Presidente del Consiglio. Ma ci sono studi tra l´economia e la psicologia, basati su tecniche di priming, che documentano come gli individui messi a conoscenza di particolari poco edificanti sulla vita privata dei leader politici rinuncino a comprare i titoli di stato di quei Paesi. Ed è intuitivo a tutti che non compreremmo mai un´auto usata da chi in pubblico dice una cosa e in privato ne fa un´altra. Fin che rimane a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi è, volenti o nolenti, il primo venditore dei nostri titoli di stato e non vi è dubbio che il mercato ci fa pagare un prezzo per la sua scarsa credibilità personale.
Ma il costo più elevato della presenza di Berlusconi a Palazzo Chigi è legato alla paralisi decisionale. Un governo con un leader sempre più screditato agli occhi dell´opinione pubblica non è in grado di avviare alcuna riforma strutturale, tiene il Paese attaccato alla bombola ad ossigeno offerta dalla Bce. Questa situazione è peggiore dell´instabilità politica. Perché un governo fragilissimo che tira a campare dà la certezza agli investitori che nulla, proprio nulla, verrà fatto fino alla fine della legislatura per portare il Paese su di un sentiero di crescita. Mentre un´instabilità politica che sia preludio di nuovi equilibri più solidi e duraturi offre almeno la speranza di un qualche cambiamento in tempi più ravvicinati. Non è casuale che la Spagna sia oggi ritenuta più credibile dell´Italia, penalizzata da uno spread inferiore al nostro, nonostante vada ad elezioni politiche a novembre. Un leader con senso dello Stato come Zapatero ha capito che in tempi così difficili è meglio lasciar governare prima possibile chi gode del consenso della maggioranza nel Paese anche se magari non ancora in Parlamento. È una questione anche di durata dei governi. La crisi del nostro Paese può essere affrontata solo con riforme che avranno effetti nel corso del tempo, in genere non prima di due-tre anni. Il nostro governo ragiona già come se si andasse alle elezioni nel 2012, i suoi angusti orizzonti sono al massimo di sei mesi. Ce lo dicono più che le esternazioni di Bossi il fatto che la manovra è stata fin dall´inizio concepita come ultraleggera nel 2012 e solo dopo le insistenze della Bce sono state introdotte misure di riduzione del disavanzo anche nel prossimo anno. Non senza prima assicurarsi un cospicuo rifinanziamento del Fondo Interventi Strutturali per la Politica Economica (Ispe), il bancomat a disposizione del Ministro dell´Economia, proprio per quest´anno elettorale che sta per aprirsi. Paradossalmente siamo già in campagna elettorale pur avendo un governo che potrebbe alla fine restare in carica per un altro anno e mezzo. Senza un piano per uscire dalla crisi, con la certezza che la manovra appena varata è fortemente recessiva (ce lo confermerà nei prossimi giorni il Fondo Monetario Internazionale) e che, dunque, sarà necessario un nuovo intervento. Il nostro esecutivo è in attesa solo di tempi migliori e di un salvataggio dell´Europa che, in queste condizioni, non verranno mai.

La Repubblica 20.09.11