attualità, politica italiana

"Se la Lega alza il tiro", di Nadia Urbinati

«Il popolo è sempre sovrano e quindi è l´unica figura che è sempre sopra il Capo dello Stato». A dirlo è l´onorevole Reguzzoni della Lega Nord per difendere la proposta di “secessione democratica” del suo leader, Umberto Bossi. Ma chi sia il popolo e come si faccia a identificarlo il parlamentare leghista non lo dice. Presumibilmente il popolo che dovrebbe per referendum decidere sul destino delle regioni del Nord Italia (quali?) è quello che vota Lega Nord. Un partito è il popolo. Questa è l´ideologia populista, negatrice della Repubblica italiana, che un partito centrale nell´attuale coalizione di governo propugna. L´ideologia del popolo-leghista sovrano è un esplicito rifiuto delle regole del nostro Stato, della nostra sovranità, un caso inconfutabile di violazione della lealtà a quella carta costituzionale che i ministri tutti, anche quelli della Lega, hanno giurato di difendere e rispettare. Quel giuramento è carta straccia.
Ci spiegava Ilvo Diamanti che la rivendicazione della “secessione democratica” fatta da Bossi nel corso del suo ultimo comizio a Venezia rivela la consapevolezza che la Lega, partito “di governo” e “di movimento”, sta avendo una crisi di consenso presso i suoi stessi elettori. L´alleanza granitica con Berlusconi costa moltissimo al partito che ha fatto della reazione contro “Roma ladrona” la sua ragione di esistenza prima e del suo successo elettorale poi. L´essere tra gli artefici della seconda Roma ladrona (quella post-tangentopoli per intenderci) sembra difficile da digerire anche per chi è legato al Carroccio da una fede entusiasta. Un partito che è anche movimento non ha altra scelta strategica per recuperare il gradimento se non alzare il tiro. Ecco la ragione della proposta di “secessione democratica”.
Come ricordano gli storici, questa fu la strategia ricorrente del Partito fascista, anch´esso partito di lotta e di governo. Prima che l´opinione degli italiani fosse un´orchestrata propaganda di regime, quando ancora c´era la libertà di stampa, ogni volta che Mussolini avvertiva un declino nei consensi alzava la posta in gioco spostando in avanti il livello del contendere, costringendo così i suoi avversari a stare al suo gioco. Ci spiegava Diamanti come sia decisamente improbabile che la proposta di secessione abbia la maggioranza, perfino nelle regioni dove la Lega ha molto seguito. Ma non è questo che interessa Bossi. La sua proposta vuole avere prima e sopra tutto un effetto simbolico; vuole spostare l´attenzione dei fedeli leghisti lontano dai problemi seri, come il marciume romano sostenuto dalla Lega e la crisi economica che mette in ginocchio i comuni, la culla del culto leghista. È dunque il partito della Lega Nord il popolo sovrano di cui si parla, ed é la sua leadership a incoronarsi rappresentante legittimo del popolo, sopra il Presidente della nostra Repubblica, e per ragioni strategiche.
Parlare di un referendum democratico per dichiarare una secessione è quanto di più assurdo ci possa essere. Ci sono esempi – pochissimi – di divorzio per vie pacifiche e consenzienti tra popoli, è vero. Ma senza referendum, e per ragioni ovvie. L´esempio è quello relativo alla ex Cecoslovacchia, uno stato creato dopo la caduta dell´Impero Asburgico con la fine della Prima guerra mondiale, in un tempo in cui era opinione generale tra gli statisti che stati di media grandezza potessero meglio garantire un ordine internazionale pacifico. Boemi e Slovacchi furono costretti a unirsi: gli uni protestanti e gli altri cattolici, entrambi raggruppati territorialmente come a formare due regioni molto omogenee. Una diversità etno-linguistica radicale che appena le occupazioni, nazista prima e comunista poi, cessarono non tardò a dare i suoi esiti politici. Il matrimonio tra cechi e slovacchi è durato settantacinque anni. Ma non è finito con un referendum. Alla fine della Guerra fredda si passò dalle autonomie regionali alla formazione di “gruppi parlamentari” nelle due zone del paese fino a giungere alla rottura quando gli slovacchi non si accontentarono dell´autonomia e boicottarono il governo federale fino alla separazione del 1992.
Gli stati – poiché la secessione dà origine a una sovranità a tutti gli effetti – non si fanno con referendum, cioè con una decisione legittimata da procedure e regole preesistenti. Del resto, pare assurdo usare le regole fatte dal sovrano dal quale ci si vuole separare. E se per assurdo si votasse con quelle regole chi dovrebbe partecipare alla decisione di questo divorzio politico per via referendaria? Solo la parte che vuole il divorzio o l´uno e l´altro partner? Questa domanda mette in evidenza l´assurdo, poiché se il popolo padano si dichiara sovrano, allora lo fa prima e a prescindere dal referendum. Lo dichiara e lo decide con atto arbitrario. Le secessioni sono atti di formazione di uno stato e quindi scelte che rompono con le regole sovrane esistenti. Sono atti d´arbitrio, esito di lotte e trattative sulle quali pesano i rapporti di forza tra le parti. Il presunto referendum sarebbe illegittimo e se il popolo della Lega lo dichiarasse legittimo si assumerebbe la responsabilità di una rottura con la Repubblica italiana. A Bossi può far comodo usare la propaganda movimentista, ma la sua proposta è davvero gravissima, una sovversione della nostra carta costituzionale sulla quale egli stesso ha giurato.

La Repubblica 22.09.11