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"Terry e le radici dell'etica del successo", di Franca D'Agostini*

Ricordate il «tipo strano», quello che «ha venduto per tremila lire sua madre a un nano»? Personaggio formidabile, compare verso la fine de «La città vecchia», la famosa canzone di Fabrizio De André. Ora il tipo in questione non sembra essere più molto strano, a giudicare dalla filosofia di vita esposta da Terry De Nicolò, amica di Gianpi Tarantini, in un’intervista televisiva poi diventata un video che circola in rete. Dice Terry, senza mezzi termini: «Per avere successo devi essere pronta a venderti tua madre». Il nichilismo etico di Terry si esprime in un sistema di vita molto chiaro e conciso: chi vuole avere successo deve vendersi l’anima ed eventualmente la mamma; così è, e così, dice, «è giusto che sia», e chi la pensa diversamente è un moralista invidioso e «lofio».

Simili dichiarazioni hanno suscitato, come è giusto, commenti perplessi e inorriditi. Ma vorrei provare a chiedermi: se Terry ha torto, dove e come esattamente ha torto? Perché in definitiva «non è bene» vendere la propria madre, ed eventualmente bambine esili in tubino nero, a un nano?

Gli argomenti contrari normalmente sono due: l’etica e la legge. Quanto alla legge, la risposta è chiara, e Tarantini la conosce bene: vendere, comprare, trafficare non paga molto perché prima o poi si finisce in galera. Già, però molti dei comportamenti consigliati da Terry non sono propriamente perseguibili: chi riesce davvero a distinguere prostituzione (o ricatto) da un amichevole e benevolo scambio di favori? I giudici conoscono bene questo terreno scivoloso: è il fenomeno della vaghezza giuridica, di cui ovviamente si avvantaggia il trasgressore.

Tutto sta dunque nell’essere furbi, sgusciare tra le maglie del sistema, e a delitto non segue castigo. Dio sa quanto questa prassi sia consolidata. Conosciamo un gran numero di persone che condividono in dettaglio le tesi etico-pratiche di Terry, senza averne la straordinaria ancorché stolida onestà. Persone che di questo tipo di regola conoscono bene il meccanismo, e non si lasciano intercettare. Semplicemente: contrattano, vendono e comprano, ma non per telefono.

Dunque dobbiamo passare all’etica. Ma come funziona l’etica? Perché mai è meglio essere leali, generosi, onesti, piuttosto che scaltri, opportunisti, manipolatori e menzogneri? La letteratura sull’argomento è vastissima. Ma chiaramente Terry non ci sente da quel lato: l’etica è già scartata a priori. In effetti, il suo ragionamento non è per nulla toccato da considerazioni morali: se si concepisce l’etica nel senso dell’ethos, come un regime di valori collettivi, corrispondenti a sentimenti collettivi, Terry vince, non c’è dubbio. Chi decide che tu, che hai il senso della collettività, che sei buono, e generoso, sei meglio di me, che ho il senso dell’opportunità, e sono furbo ed egoista? È chiaro: lo decide la collettività degli uomini, il famoso senso civile; ma questa collettività, come insegna Nietzsche, potrebbe sbagliare, ed essere costruita precisamente su valori sbagliati, che bloccano e reprimono le libere forze della vita. Di qui si passa con facilità da Nietzsche al darwinismo, e il quadro è completo.

Ora quel che è interessante però è che tanto Nietzsche quanto Darwin sono autori dell’Ottocento. Terry senza saperlo ha come maestri (a parte Sgarbi, l’unica auctoritas citata) signori che vivevano in un’epoca molto diversa dalla nostra, e non avevano a disposizione un buon numero di risorse intellettuali e tecniche di cui invece oggi disponiamo. Per esempio, non conoscevano la teoria delle decisioni e dei giochi, non avevano la più pallida idea di come la matematica potesse far funzionare la logica e poi i computer, non conoscevano neppure lontanamente la possibilità di avere una visione globale, e tuttavia dettagliata, dei fenomeni.

A parte le effettive tesi di Nietzsche e Darwin (che evidentemente non sono affatto da appiattirsi su una specie di Wille zur Macht generico come è quello professato dalla nostra amica), è assolutamente evidente che il problema rappresentato da Terry non è la mancanza di etica: è solo una questione di conoscenza a metà. Terry ha incominciato a riflettere, a darsi ragione dei fenomeni, quindi si è fermata: esattamente al punto in cui si fermavano i nichilisti dell’Ottocento, e a cui sono ancora fermi molti autorevoli intellettuali contemporanei.

In effetti, se Terry esaminasse da vicino la natura dell’egoismo sociale da lei professato, scoprirebbe cose interessanti: per esempio, scoprirebbe che i comportamenti cooperativi sono sempre preferibili, non sul piano etico, ma precisamente sul piano economico. Così, l’altruismo è economicamente vantaggioso, mentre l’egoismo crea alla lunga individui e società poveri, o mediocri. È il famoso risultato di Nash, raccontato in A Beautiful Mind , ma ampiamente sviluppato da schiere di filosofi ed economisti, di cui non si parla mai, preferendo invece ostinarsi su qualche pseudo-Nietzsche o pseudo-Darwin.

Se continuasse le sue riflessioni, forse scoprirebbe anche, con sorpresa ancora maggiore, che i suoi argomenti sono già stati sconfitti nel V secolo avanti Cristo. Il punto principale in effetti – così direbbe Socrate redivivo – non è il vendere la madre, sono le tremila lire. Devi sempre chiederti: quanto? Per quanto sei disposto a venderti e a vendere? E quanto o che cosa sei disposto a cedere, in cambio? Ti accorgerai che non c’è limite: quando avrai venduto la madre dovrai vendere qualcosa d’altro, e poi ancora e ancora. Quella vaghezza che è il problema dei giudici nel catturare il trasgressore è anche il problema del trasgressore, nel fermarsi. D’altra parte, abbiamo di fronte agli occhi un ottimo e ineccepibile esempio: Fabrizio De André non ci dice nulla del destino del tipo strano, ma quanto alla parabola del nano, la conosciamo, e non ci sembra per nulla invidiabile.

*docente di Filosofia della Scienza al Politecnico di Torino e autrice di «Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico»

La Stampa 22.09.11