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"Una morta sbagliata", di Alexander Stille

Che vergogna e che tragedia la morte di Troy Davis. Come si fa a mandare a morte una persona sulla cui colpevolezza esistono dei dubbi molto seri? Eppure la Corte Suprema americana ha deciso di negare ogni ulteriore appello dopo la sentenza dello Stato della Georgia, uno Stato dove il razzismo non è un fenomeno sconosciuto. Sette dei nuovi testimoni che hanno deposto al processo di 22 anni fa hanno ammesso di aver reso falsa testimonianza, sei di loro hanno dichiarato che la polizia li ha messi sotto torchio affinché identificassero Davis. Non c´erano prove materiali per mettere in relazione Davis con il delitto e uno dei testimoni che lo ha inchiodato ha poi confessato di aver commesso il reato.
Eppure la Corte Suprema ha negato ogni appello. E pensare che uno dei no è stato proprio di Clarence Thomas, un uomo di colore della Georgia, uno che potrebbe essere lui stesso un Troy Davis – un nero che muore perché si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato – ma che dedica la sua carriera da giurista a dimostrare in un modo contorto, degno di una tragedia di Shakespeare, che la razza non esiste. Alcuni anni fa, il governatore dell´Illinois, tra l´altro un repubblicano (di quelli moderati, una specie in via d´estinzione), ha deciso di sospendere la pena di morte nel suo Stato perché il sistema era talmente inquinato dal razzismo, talmente arbitrario nella sua esecuzione che era impossibile definirla giustizia.
Tutti gli studi sulla pena di morte negli Usa dimostrano che gli imputati neri, a parità di reati commessi, vengono condannati alla pena di morte con maggiore frequenza rispetto ai bianchi. Quando la vittima del reato è bianca e l´imputato è nero le probabilità che l´imputato venga condannato alla pena capitale salgono alle stelle. La mappa della pena di morte assomiglia stranamente a una mappa della vecchia confederazione schiavista. Molte condanne si fondano su testimonianze oculari che sono (contrariamente a quello che si potrebbe pensare) le meno affidabili. Spesso smentite da prove del Dna, inconfutabili. E molti studi scientifici hanno dimostrato la prevedibilità degli errori giudiziari indotti dalle testimonianze oculari. Quando il poliziotto conosce l´identità della persona sospettata quando conduce il line-up dei soliti ignoti oppure mostra foto di possibili colpevoli, consciamente o inconsciamente indirizza il testimone verso la persona “giusta”. A volte il poliziotto sbaglia in buona fede, altre volte un po´ meno. Nel caso di Clarence Brandley, un nero condannato per la morte di una ragazza bianca il poliziotto che lo ha arrestato nel Texas gli ha detto: «Uno di voi morirà per questo e, dato che tu sei il negro, scelgo te». Dopo dieci in carcere, Brandley è stato totalmente scagionato. Il governatore del Texas Rick Perry, candidato repubblicano per la presidenza, ha mandato a morte più persone di qualunque altro, 234 per l´esattezza. Quando gli è stato chiesto, durante un dibattito, se abbia mai avuto dei dubbi o se abbia perso almeno una notte di sonno pensando alla possibilità di aver mandato a morte un innocente, Perry ha risposto di no e il pubblico ha applaudito. Un suo elettore ha scritto al New York Times: «Ci vuole comunque un bel po´ di fegato per condannare un uomo innocente». Come se fosse una virtù. Eppure, durante i dieci anni di Perry alla guida del Texas, quarantuno persone condannate a morte sono state poi scagionate da prove del Dna e in 35 di questi casi – ben l´85 per cento – si è scoperto che i testimoni oculari si erano sbagliati. Eppure la Corte Suprema non ha voluto riconsiderare il caso di Troy Davis e concedere l´appello. Che vergogna.

La Repubblica 24.09.11