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"La marcia dei democratici", di Federica Mogherini

Domenica saranno tantissimi i democratici che percorreranno, al fianco della Tavola della Pace e di centinaia di associazioni ed enti locali, i 24 chilometri che separano Perugia da Assisi per testimoniare il proprio impegno di pace e di fratellanza tra i popoli, cinquanta anni dopo la prima marcia per la pace voluta da Aldo Capitini.
Dal 1961 a oggi molto, se non tutto, è cambiato. Non c’è più la guerra fredda, anche se le sue ombre sopravvivono nella mente di molti che hanno oggi responsabilità di governo. Sono cresciute in tutto il mondo le attese di vita, di salute e di ricchezza, di istruzione e di rispetto dei diritti umani, anche se la divaricazione tra chi ha e chi non ha si è fatta più drammatica, tra le diverse aree del mondo, tra stati e dentro gli stati. Paesi che allora venivano definiti “in via di sviluppo” oggi sono il motore trainante di una possibile uscita da quella crisi economico-finanziaria che è nata proprio nel cuore del ricco e sviluppato occidente. Alle grandi guerre del passato (“fredde” o tradizionali che fossero) si sono via via sostituiti piccoli grandi conflitti dimenticati, relegati in un angolo della coscienza collettiva ed ignorati dai grandi mezzi di comunicazione. Le minacce alla sicurezza e alla convivenza pacifica si sono diversificate, complicate, intrecciate: dal terrorismo internazionale al dilagare della fame e delle malattie infettive, dalla povertà alla violazione su larga scala di diritti fondamentali, dalla corsa all’accaparramento delle risorse naturali al mancato disarmo e alla proliferazione nucleare.

Di fronte alla complessità e alla molteplicità di minacce, appare oggi molto più chiaro quanto già cinquanta anni fa era alla base del messaggio della marcia: la pace non è semplice assenza di guerra, ma piena ed effettiva affermazione dei diritti. Non è un semplice, per quanto forte, no alla violenza, ma una ricerca costante e attiva di soluzioni, dialogo, compromessi. Non ha nulla di ideale o idealista,nulla di ideologico, nulla di ingenuo o di velleitario: piuttosto, ha molto a che vedere con la necessità, la lungimiranza, la fatica della diplomazia quotidiana, della politica e dell’amministrazione, del prendersi cura della propria comunità – sia questa il quartiere in cui viviamo o il pianeta che abitiamo. E’ evidente infatti che nel mondo globale di oggi non c’è conflitto, violazione dei diritti, minaccia alla sicurezza umana che non sia rilevante per tutti, in ogni angolo del pianeta.

Chi domenica percorrerà quei 24 chilometri lo farà innanzitutto per testimoniare la propria cittadinanza del mondo, l’urgenza del prendersi cura di ciò che è meno immediatamente visibile ma così drammaticamente vitale: il presente ed il futuro del nostro pianeta, la prevenzione dei conflitti, lo sviluppo sostenibile, l’affermazione dei diritti negati o ignorati, la ridistribuzione delle risorse e delle ricchezze, la definizione di un modello di crescita e di stili di vita compatibili con il bene comune e con il futuro dei nostri figli. Sarà, quello in marcia domenica, un popolo consapevole, attento, attraversato da un’ansia di partecipazione e da una voglia di buona politica che rappresenta il primo e principale capitale su cui investire per ridare futuro a questo nostro paese, mai così indegnamente rappresentato da chi lo governa o finge di farlo. Soprattutto in questi mesi di evidente inadeguatezza di un governo screditato ed incapace di alcuna seria politica internazionale, è lì, tra quelle migliaia di ragazzi, tra i tenaci volontari della solidarietà, tra gli amministratori di città e provincie che ogni giorno fanno i conti con bilanci sempre più stretti e l’esigenza di servizi sempre più estesi, lì ci sono il cuore e le gambe del possibile riscatto dell’Italia. Sta al PD innanzitutto ascoltare questo popolo, capirlo, ed archiviare per sempre quella falsa e strumentale lettura del “pacifismo ideologico” che ha impedito a lungo di vedere la realtà di un largo movimento di opinione che di ideologico ha ben poco. Ma ascoltare e capire non basta: abbiamo il preciso dovere di accompagnare quel popolo – il nostro popolo -, rappresentarlo, percorrere chilometri assieme, dare risposte e speranze concrete di cambiamento, canali di partecipazione, e fiducia in un futuro finalmente più dignitoso.

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