attualità, politica italiana

"Aspettando le elezioni nel Deserto dei Tartari", di Ilvo Diamanti

Anche ieri si è ripetuto il logoro copione che si recita in Italia, da oltre un anno e forse più. Bersani ha invocato un governo di emergenza. Gli hanno fatto eco Fini e Casini, invocando nuove elezioni. Ma Berlusconi ha ribadito che non ha nessuna intenzione di dimettersi. Né di anticipare il voto, senza la sfiducia del Parlamento. Anche se ormai la sua parabola è alla fine. O, forse, proprio per questo. Se uscisse di scena, a differenza del passato, stavolta difficilmente riuscirebbe a rientrare in gioco. Parallelamente, nel Pdl, pochi – oltre a Pisanu – sembrano disposti ad accantonare il proprio leader-padrone. A parte il fatto che nessuno ne avrebbe la forza, tutti si rendono conto che senza Berlusconi il Pdl resterebbe privo di identità e organizzazione. La stessa Lega vive con disagio crescente l´alleanza con Berlusconi. Soprattutto i militanti e la base, sempre più insofferenti. Ma Bossi e suoi fidi esitano a staccare la spina. Il destino dei due leader è reciprocamente legato. Se Berlusconi cadesse, la posizione di Bossi verrebbe compromessa. Senza il Pdl e senza Berlusconi (per non dire senza Bossi), lontano dal governo: la stessa Lega, rischierebbe la marginalità politica e il declino elettorale. Come avvenne dopo la svolta secessionista del 1996. Una prospettiva insopportabile per un partito che ha da difendere (e da perdere) molti posti di governo – e di sottogoverno. Nella pubblica amministrazione e nella finanza. A livello nazionale e locale.
Così Berlusconi e il centrodestra “resistono” in Parlamento. Dove dispongono ancora di una maggioranza precaria. Sufficiente a garantire la “fiducia” quando è necessario. Mentre tra gli elettori oggi sono una minoranza, largamente “sfiduciata” dai cittadini.
Ciò rende il ricorso a elezioni anticipate assai improbabile. Anche se l´ipotesi echeggia, un giorno sì e l´altro pure. Ma le elezioni non le vuole nessuno. Anzitutto nella maggioranza. Figurarsi. Oggi, per il centrodestra, significherebbe perderle. Anche se Berlusconi dà il meglio di sé in campagna elettorale, quando è dato per spacciato. Ma stavolta è diverso. La sua stagione è finita. I valori e i modelli su cui ha fondato il proprio successo: logori e inattuali. La sua immagine non attrae più. Semmai avviene il contrario. La sua “base sociale” l´ha abbandonato. Gli imprenditori piccoli e grandi: ne chiedono le dimissioni da mesi. Ai loro congressi basta inveire contro il governo e il presidente del Consiglio per sollevare grandi boati di approvazione. La stessa Chiesa appare tiepida. Anche se le gerarchie mantengono un atteggiamento fin troppo prudente di fronte ai modelli e agli stili di vita proposti da chi guida il Paese.
Insomma, si tratta del momento peggiore per andare al voto, dal punto di vista di Berlusconi e del Pdl. Ma anche dal punto di vista della Lega, in evidente difficoltà nel recitare la parte dell´opposizione, dopo aver sostenuto fedelmente Berlusconi, da dieci anni in qua. Bossi lo ha detto esplicitamente a Pontida. È cambiato il “ciclo politico”. A favore della Sinistra. E allora, perché votare? Tanto più che neppure a sinistra – nonostante il vento favorevole – si coglie molta voglia di andare al voto presto. Il Pd non si sente pronto. È diviso sulla questione delle alleanze. L´idea del Nuovo Ulivo, insieme all´Idv e a Sel, a Di Pietro e Vendola, dispiace a una parte del Pd, che preferirebbe la Grande Coalizione con il Terzo Polo. E teme di spingere l´Udc in braccio al centrodestra. A ragione, visto che le sorti della competizione elettorale diverrebbero altamente incerte.
Peraltro, la prospettiva del voto avvicinerebbe le primarie. Su cui nel Pd non c´è armonia di vedute. Quando e come farle? Primarie di partito o di coalizione? Oppure entrambe? Perché le primarie al gruppo del Pd piacciono quando l´esito è scontato. Non se sono davvero “aperte”.
Infine, c´è la questione della “legge elettorale”. Votare presto costringerebbe a utilizzare il famigerato Porcellum. Proprio mentre l´iniziativa referendaria, promossa da Parisi, volta ad abrogarlo e ristabilire il sistema elettorale precedente, ha ottenuto un massiccio sostegno popolare. Viaggia ben oltre le 500mila firme. Non a caso Alfano, a nome di Berlusconi, nei giorni scorsi, si è detto pronto a riformare l´attuale legge. Presumibilmente, per prendere tempo. E per evitare un nuovo referendum. Rischioso come il precedente, per il centrodestra. Mentre al Terzo Polo non piacciono né il Porcellum né il Mattarellum.
Mi rendo conto che questa ricostruzione, pedante e un po´ prolissa, può apparire noiosa e scontata. Persino banale. Tuttavia, mi è parso utile proporla. Non solo a memoria futura – e presente. Ma perché dà il senso di quel che sta capitando nel nostro sistema politico. Mentre tutto intorno ci crolla addosso. Mentre le vicende politiche e i mercati globali richiederebbero – e, anzi richiedono – un governo che governi e un presidente del Consiglio credibile – o almeno non squalificato. Sostenuto da una maggioranza che sia tale non solo in Parlamento – e spesso neppure lì. Ma anche tra i cittadini e gli elettori. In Italia, invece, viviamo un tempo di elezioni e dimissioni imminenti. Sempre possibili e da molte parti auspicate. Ma puntualmente scongiurate e rinviate. È come fossimo perennemente in crisi di governo. In campagna elettorale permanente. Quando non è possibile decidere nulla, perché è importante inseguire e conquistare ogni segmento di opinione pubblica. Ogni frammento del mercato elettorale. Un giorno dopo l´altro. Un momento dopo l´altro. Così tutto si agita, nel nostro piccolo mondo. Ma tutto resta uguale. Mentre fuori infuria la bufera (politica, monetaria, economica, finanziaria…).
Verrebbe da evocare la fortezza Bastiani, dove l´ufficiale Giovanni Drogo, insieme alla sua guarnigione, attende l´arrivo del nemico. Che non arriva mai. Nel Deserto dei Tartari narrato da Dino Buzzati. Ma si tratterebbe di una citazione troppo nobile, per il nostro povero Paese. Per il penoso spettacolo offerto dalla nostra scena politica. Che mi rammenta, piuttosto, un tapis roulant. Dove cammini e corri, con continui cambi di velocità e di pendenza. Ma resti sempre fermo. Nello stesso posto. Nella tua stanza. Senza una meta. Senza un orizzonte. Mentre il mondo fuori incombe.

La Repubblica 26.09.11

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“Il pd Franceschini: meglio di così anche un governo Pdl, ma senza Silvio”, di GOffredo De Marchis

“Ormai va bene tutto basta che se ne vada”. Ogni giorno di Berlusconi al governo costa miliardi di euro, e li paga l´Italia: continuare è un suicidio. In privato molti della maggioranza sono consapevoli che c´è bisogno di un governo sul modello Ciampi. «Tutti capiscono che è un suicidio continuare così». L´alternativa che conviene al Pd sono le elezioni anticipate. Ma la prima scelta di Dario Franceschini e di tutto il vertice democratico resta il governo di salvezza nazionale: «Sostenuto da una larghissima base parlamentare. Che arrivi fino al 2013 e lasci il posto a una normale competizione elettorale subito dopo». Al Pdl e alla Lega il capogruppo del Partito democratico offre però anche un´altra via d´uscita: «Sarebbe meglio della situazione attuale anche un governo della stessa maggioranza ma senza Berlusconi. Noi rimarremmo all´opposizione ma un clima migliore diventerebbe possibile».
Non è aria. Come interpreta l´ulteriore irrigidimento del premier?
«La saggezza popolare ci insegna che non c´è limite al peggio. Quelle di Berlusconi sono le parole di un uomo disperato, impaurito. Il rischio è quello di creare una differenza incolmabile tra quello che vive il Paese reale e ciò che avviene nei Palazzi della politica. Tutte le forze sociali ed economiche, tutti gli osservatori internazionali, tutti i governi degli altri paesi capiscono che è suicida andare avanti così. Ma lui si arrocca in una difesa disperata e chi gli ha buttato la ciambella di salvataggio tipo Scilipoti pensa che il proprio percorso politico parlamentare finirà con la sconfitta della maggioranza alle elezioni. Perciò resiste. Il punto è che il costo di questa resistenza lo paga l´Italia: ogni giorno di Berlusconi al governo costa miliardi di euro».
Bersani insiste sul governo di emergenza. È davvero fattibile?
«La premessa è che con un maggioranza così sbrindellata il nostro interesse puramente di parte sarebbe aprire subito le urne, domani. Ma per una volta vorrei che ci fosse dato atto di un senso di responsabilità: non inseguiamo ciò che ci conviene ma quello che serve al paese. In privato molti esponenti della maggioranza sono consapevoli del momento: c´è bisogno di un governo guidato da una personalità credibile, sul modello di Ciampi, con una larghissima base parlamentare, che finisca la legislatura. La sola uscita di Berlusconi varrebbe tre manovre finanziarie».
La difficoltà di far avanzare questa proposta non dipende anche dalla sua fumosità? Qual è il programma di un governo transitorio?
«Intanto una nuova legge elettorale per non tornare a votare con quella attuale».
La vuole fare anche Alfano.
«Temo che il suo tentativo sia finalizzato a prolungare l´agonia. Il Pdl comunque sappia che il Pd non metterà mano a una nuova legge senza il consenso di tutte le forze di opposizione, da Casini a Vendola».
Torniamo al programma.
«Si fa in tempo a varare una riforma costituzionale per la riduzione dei parlamentari legata alla fine del bicameralismo. Eppoi questo governo dovrebbe adottare tutte le misure per evitare il nostro default. Sarebbe un esecutivo che non ha problemi di consenso e dovrebbe prendere tutte le misure necessarie a tirarci fuori dai guai. I partiti che lo sostengono sarebbe chiamati a metterci generosità e responsabilità».
Persino Casini però dice: andiamo a votare, punto e basta.
«Ha ragione. Qualsiasi cosa è meglio di questa agonia».
Il governo può cadere sulla sfiducia a Romano?
«Non mi aspetto nulla. La maggioranza ormai esiste solo per salvare se stessa con i voti di fiducia o per risolvere i problemi giudiziari del premier o dei suoi alleati. Purtroppo il caso Romano rientra in una delle categorie».

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“Il premier attacca i pm. Alemanno: basta cerchio magico nel Pdl. Bersani: pronti al governo d´emergenza”, di Silvio Buzzanca

«Non mi dimetto, se mi vogliono sfiduciare lo facciano con un voto in Parlamento». Silvio Berlusconi reagisce alle richieste di “lasciare” provenienti dalle opposizioni e dalle parti sociali rivendicando i numeri della maggioranza e attaccando i magistrati: «Viviamo in uno stato di polizia». Ma aumentano le crepe nel centrodestra. Il sindaco di Roma Alemanno: «Basta cerchio magico nel Pdl». E il segretario pd Bersani: «Siamo pronti per un governo d´emergenza».
Silvio Berlusconi al “passo indietro” non ci pensa proprio e vuole restare a Palazzo Chigi fino a al 2013. Assediato, invitato, blandito, resiste e manda a dire, usando il plurale maiestatis che «non ci dimetteremo se non dopo un voto di sfiducia del Parlamento. Un voto che ci si sentiamo di escludere». Sicuro di se il presidente del Consiglio rilancia sulle intercettazioni, contro «lo Stato di polizia”. E annuncia ai militanti, raccolti a Cervere per la festa provinciale del Pdl cuneese, che adesso il governo cambia passo e realizzerà le promesse fatte nel 1994. Così nel 2013 «dimostreremo concretamente che il governo ha lavorato e sta sempre lavorando sodo per l´Italia e nell´interesse di tutti quanti». progetti che ribadisce in serata in un altro collegamento con Bisceglie.
Berlusconi vede rosa nel futuro. Anche se Umberto Bossi prova a rovinare lo scenario, riaprendo il fronte libico. «Hanno detto che a settembre finiva la missione in Libia, a settembre è meglio che finisca», ammonisce il leader leghista. Tuttavia il Senatur rassicura sul futuro di Tremonti e si difende sul caso-Milanese: «Abbiamo la coscienza a posto». Bossi è invece un fiume in piena contro chi espone il tricolore («somaro») e contro i giornalisti («lacché, prenderete botte»).
Il Cavaliere pensa però al voto. «Ci presenteremo, – dice – anche per l´opposizione che abbiamo, alla prossima scadenza elettorale con un programma realizzato che ci farà dare ancora dagli italiani la responsabilità di governo». Messaggio indiretto a Roberto Formigoni che pensa ad elezioni nel 2012 con un altro candidato premier. Messaggio diretto a Bersani e Vendola. «Ci troviamo sempre all´opposizione quei signori comunisti», attacca. «Non c´è, se ci pensate bene, un protagonista da loro con cui si possano fare dei discorsi davvero seri».
Allora avanti con le riforme. «Abbiamo una maggioranza coesa, solida, sicura che potrà fare finalmente quelle riforme, a partire dalla giustizia, dal fisco, dall´architettura istituzionale dello Stato». Le stesse cose del 1994. Ma, spiega, adesso che ci siamo liberati di Fini e Casini le faremo queste riforme. Intanto, annuncia che il varo del decreto sullo sviluppo. E giù tutta una serie di misure che dovrebbero essere lanciate a breve: «In settimana – dice – esamineremo in Consiglio dei ministri provvedimenti strutturali sulle dismissioni del patrimonio pubblico, le liberalizzazioni, la leggi obiettivo, le opere pubbliche, i grandi corridoi europei, a cominciare dal corridoio 5 che interessa il Piemonte».
Zero accenni a Tremonti e allo scontro interno alla maggioranza. Poi invece il salto nelle vicende personali, nel braccio di ferro con la magistratura. Le intercettazioni. In sala siede Maurizio Gasparri. Il premier, allora, lo investe insieme a Fabrizio Cicchitto, di guidare «una straordinaria battaglia per la libertà che ci accingiamo a fare in Parlamento». Parla a braccio il Cavaliere e si sente «Tutti voi- dice- quando chiamate qualcuno al telefono sentite la morsa di uno Stato di Polizia».
Le reazioni sono dure, durissime. «Chi impedisce il cambiamento si prende una responsabilità storica», dice Pier Luigi Bersani. Il segretario annuncia che «il Pd è disponibile ad un esecutivo d´emergenza». e che «le dichiarazioni zuccherose di Berlusconi sono a due passi dal delirio». Pier Ferdinando Casini, invece sembra gettare la spugna: «Il governo – dice – è assente, non si può più andare avanti così. «Noi – dice il leader Udc – abbiamo fatto di tutto per stimolare gli uomini di buona volontà del Pdl ma alle affermazioni private non sono corrisposti fatti pubblici. Quindi meglio andare al voto». Infine Gianfranco Fini, intervistato da SkyTg24, attacca il Cavaliere: «Dare l´esempio significa tante cose, anche dimostrare di non considerarsi al di sopra della legge. Ogni cittadino chiamato a testimoniare magari dirà “santo cielo” ma poi non può non farlo», dice il presidente della Camera.

La Repubblica 26.09.11