attualità, politica italiana

"De profundis per la Lega", di Federico Orlando

Domani la Lega «si turerà il naso e voterà no», come hanno annunciato Bossi e confermato Maroni. “No” al voto di sfiducia personale contro il ministro Romano, accusato dalla magistratura inquirente di essere colluso con la mafia. Sarà l’ultima pugnalata della Lega all’Italia. Dice che lo fa in nome del “garantismo”. Ignora che garantismo è rispetto della legge, come ignora che fedeltà alla repubblica una e indivisibile, per la quale i suoi ministri Bossi, Maroni e Calderoli hanno giurato al Quirinale, è rispetto della Costituzione.
Perciò due anni fa un foltissimo gruppo di politici, imprenditori, intellettuali (primi gli ex ministri Bianchi e De Castro, l’imprenditore Sciarelli, lo storico Villari, la giurista De Nigris, i parlamentari Boccia, Soriero, Fortugno, Lumia, Vita, Mosella, Nicolini, Pittella, Ranieri, Zito, per citare a memoria) rivolsero dalle pagine di Europa, Repubblica, Corriere della Sera, Messaggero e Mattino un appello ai presidenti delle camere perché inducessero i gruppi parlamentari “per l’indipendenza della Padania” a chiarire la loro posizione di fronte al popolo italiano, alla legge e alla repubblica.
L’appello ricordava: «Il presidente della repubblica, parlando agli studenti all’inizio dell’anno scolastico, ha chiesto loro di dare testimonianza del valore della parola “patria”».
La stessa cosa ha fatto la settimana scorsa, nel cortile d’onore del Quirinale, davanti alla ministra Gelmini, prima che s’involasse dietro il neutrino nel tunnel Gran Sasso-Ginevra. Alla stessa velocità, la Lega – anzi i capi della Lega, perché altra cosa è il popolo leghista coi suoi problemi, le illusioni, le speranze – continueranno a involarsi dal comune senso della moralità repubblicana, veloci più della luce: hanno appena salvato l’amico dell’amico Tremonti, e ora salveranno l’amico degli amici Romano.
Più la questione morale, la crisi produttiva e finanziaria scuotono il paese, più i boss della Lega diventano amici delle coppole storte. Come ha detto Enrico Letta «alla fine hanno preferito la sopravvivenza».
Ma sopravvivranno? Questo giornale ha descritto nel profondo l’amarezza del popolo leghista, cioè la crisi di fiducia della base non tanto nel federalismo quanto nella politica dei suoi satrapi, imprigionati nel cerchio magico e legati al padrone della destra. Satrapi carismatici, legati al supersatrapo della coalizione.
Ha detto Buttiglione, parlando della crisi dei cattolici e della chiesa, che «il carisma rifarà grande la fede». Qui invece i carismi portano a fondo credenze, potere, interessi e progetti. Oggi il capo carismatico schiera la Lega con un inquisito per mafia, cosa del tutto connaturale al maggior alleato, ma sorprendente in un movimento le cui prima rivolta fu proprio contro le immigrazioni portatrici di mafie e di usanze tribali, in un mondo subalpino di tribù che vivevano in cultura e modi di vita che molti di noi meridionali hanno invidiato; e hanno abbandonato solo il giorno che quelle popolazioni hanno reagito all’invasione sudista non con l’isolamento dei protervi e l’accoglimento degli onesti, ma con un’unica condanna razzista, con una professorale mitologia della secessione o “Repubblica federale indipendente e sovrana della Padania internazionalmente riconosciuta”.
Cosa può venire alla Lega in cambio del salvataggio della cricca? Allungare l’agonia del governo Berlusconi-Bossi, sperare nelle “armi segrete”, come i dittatori negli ultimi mesi della guerra. E intanto le loro armate si sgretolano una dopo l’altra: gli industriali (in stragrande maggioranza padani) si ribellano al non fare del governo e lanciano aut aut; i vescovi prendono cautelose distanze dal ruolo di supplenza politica che svolgono da quando si è dissolto il partito “dei cattolici”; i giornali della borghesia, dal Corriere al Sole-24 Ore, dicono «basta» a questa commedia italiana e intimano al Pdl di liberarsi di Berlusconi o di soccombere con lui; crollano gli ascolti di Raiuno e Tg1; quattro elettori italiani su cinque si dichiarano contrari alla prosecuzione di questo governo (Mannheimer), percentuale che coinvolge il 60 per cento degli elettori leghisti; fra chi chiede nuove elezioni è forte la rappresentanza dei più giovani, «specie studenti, animati forse da un maggior desiderio di rinnovamento radicale».
Non vedono i boss della Lega che stanno tagliando il cordone ombelicale tra il loro popolo e il cuore vitale del paese: la scuola, l’impresa, il lavoro, il volontariato, la cultura? S’accontentano di pescare nel solito ciabattume che accompagna fino al dies irae anche i regimi più sconsacrati dalla storia, come proprio a Milano si vide nell’ultimo discorso di Mussolini? Piace a Maroni sentirsi rinfacciare che, quando Saviano disse nella trasmissione di Fazio che «la mafia al Nord interloquisce con la Lega», se ne adontò e chiese di replicare? Sono passati appena dieci mesi, e nel frattempo gli elettori padani hanno visto i loro deputati e senatori chiamati a decidere su Cosentino, Caliendo, Milanese, Papa (ma possibile che Berlusconi li attiri come mosche?) e domani Romano: quello sul quale Napolitano espresse «riserve sull’opportunità politico-istituzionale della nomina», ma di cui Berlusconi aveva bisogno perché controllava quattro voti.
E tutto nella speranza, non di Maroni ma dei suoi nemici interni della Lega, che si riesca a spacchettare il ministero dell’economia e darne un pezzo al leghista Reguzzoni. «E adesso che te ne fai?», chiedeva Togliatti a Pajetta, trionfante per aver preso la prefettura di Milano.
E adesso che te ne fai, potrebbe dire l’umile elettore leghista, in attesa da quattro anni che questo governo faccia qualcosa per lui, magari una di quelle elencate con nome e cognome nel manifesto della Marcegaglia. In ogni caso, da questo Sodoma e Gomorra finale trarranno qualche buon auspicio almeno i firmatari del manifesto antisecessionista, che abbiamo ricordato all’inizio: nel suo de profundis, la Lega trascina anche la Padania. Grazie, Bossi.

da Europa Quotidiano 27.09.11