attualità, economia, politica italiana

"La nostra vera sfida", di Alfredo Reichlin

Non possiamo essere spettatori passivi di questo fosco tramonto del governo Berlusconi. Giorno dopo giorno si stanno bruciando i raccolti e avvelenando i pozzi di questa povera Italia. Ma non è vero che non c’è niente da fare. Mi chiedo: è davvero chiaro ciò che sta accadendo? A me non pare.
Mi colpisce la pochezza delle idee e la mancanza di nuovi orizzonti. La devono smettere di parlare di economia come si parla di un evento naturale. L’economia è un rapporto tra uomini, non tra cose.
Si sono rotti gli equilibri e le strutture del mondo nelle quali vivevamo da secoli. Il tema è questo, non è solo economico. È la ricchezza dell’Europa che si sta spostando altrove. È la sovranità degli Stati e del cittadino, sono i diritti del lavoro umano, è quella cosa grandissima che l’Europa inventò secoli fa e che si chiama democrazia: è tutto questo che viene rimesso in discussione. È molto chiaro ed è molto semplice. Basta guardare la distruzione in atto del popolo greco per evitare troppe perdite alle banche tedesche e francesi. E ciò mentre i capi di Stato europei si interrogano, impotenti, ogni mattina su cosa farà la Borsa. Mai era stata così vera la vecchia battuta secondo cui i mercati finanziari governano e prendono le grandi decisioni, i tecnici e i corpi separati (magistratura compresa) amministrano e i politici vanno in televisione per rispondere alle domande dei giornalisti.
La verità è che il declino dell’egemonia americana e il modo in cui l’oligarchia finanziaria ha condizionato e continua a condizionare il processo della mondializzazione hanno scatenato una guerra monetaria che sta aggravando tutti gli squilibri geopolitici e lacerando antichi tessuti sociali. E, come tutte le guerre, anche questa sta provocando morti e feriti: la Grecia oggi, domani forse noi.
Se le cose stanno così, cacciare Berlusconi è davvero vitale ma mi chiedo se stiamo misurando tutto lo scarto tra la realtà e il dibattito italiano. Bersani ha cercato di dirlo nel suo discorso di Pesaro e ha chiesto al suo partito uno scatto, un salto per ridefinirsi come una forza che è nuova in quanto, a fronte di una crisi che mette in gioco la nazione, si pone come il partito della patria, la forza che si fa garante dell’unità nazionale, e non a parole ma in quanto da voce alle forze profonde e vitali, all’intelligenza umiliata, al lavoro sfruttato e reso precario, all’impresa produttiva. Soprattutto alle nuove generazioni. Si è fatto il silenzio. Anzi, in polemica con Bersani si è scoperto che Renzi è niente meno che più giovane (caspita!) ma soprattutto che il “grande dilemma” della sinistra italiana è: Vendola o Casini. Insomma, il vecchio caro, indimenticabile dibattito se il centro-sinistra debba avere o no il trattino. Che palle.
Intendiamoci bene. Anch’io vedo (per le cose stesse che sto dicendo) tutto il vecchiume di una certa sinistra italiana. Il problema italiano ed europeo di oggi non sta più nelle vecchie “narrazioni”. Ma per le stesse ragioni non credo che esista il “centro” come lo spazio politico autonomo dove una grande forza si colloca per mediare. Mediare tra quali cose? Il punto è questo. Ovviamente, so anch’io che la politica è anche mediazione e anch’io penso che le risposte da dare oggi possano essere anche moderate, tali cioè da raccogliere il più vasto campo di forze. Ma il fatto è che i problemi da affrontare, quelli sì, sono molto radicali. Riguardano il modo di essere della società italiana, i suoi compromessi sociali, l’interrogativo se e fino a che punto resteremo padroni del nostro Stato rispetto a non si sa quale nuovo super-potere mondiale oggi ancora senza nome. Siamo, quindi, molto lontani dai comizi di Di Pietro ma anche da ogni illusione secondo cui i problemi che ci sfidano possano ridursi al dilemma: Casini o Vendola? Il nostro problema è certamente quello di spingere il Pd a stare in Europa per occupare il centro. Parlo del centro dello scontro tra le forze reali che oggi rappresentano il progresso oppure la reazione. Ma sia le une che le altre forze non corrispondono più alle vecchie nomenclature. Chi è a destra e chi è a sinistra? E chi è Berlusconi? È un regime autoritario, caduto il quale arrivano i partigiani e c’è la democrazia? Oppure è il simbolo di una cosa più profonda: la sconfitta, non solo della sinistra, ma della democrazia e non solo in Italia? E a cui corrisponde la vittoria di chi sottomette tutto al potere dei soldi e trasforma la società in società di mercato?
Dopo Berlusconi non ci sarà un vuoto da riempire con i buoni sentimenti: continuerà ad esserci il volto sfigurato dell’Italia con cui fare i conti. E mi chiedo se non stia già cominciando a prendere forma un nuovo blocco politico e culturale di destra la cui forza sta proprio nell’accettare il declino dell’Italia, nel farsi ricco in una società che diventa sempre più “castale” ed egoista, che non ha bisogno dello Stato ed è indifferente al mondo.
Di che combinazioni politiche per il “dopo Berlusconi” stiamo parlando se non diamo battaglia su questo terreno “reale”? Che poi (dopotutto non sono pessimista) è lo stesso terreno dove vivono e crescono anche gli antagonisti, cioè i movimenti sociali, le domande di valori, il bisogno di futuro. La politica è morta se non riparte dal futuro. È per questo che bisogna pensare con serietà e calma a un cambio di generazione.

L’Unità 27.09.11