attualità, politica italiana

"Parole dure che chiedono il passo indietro", di Marcello Sorgi

Invocata da giorni dall’interno del mondo cattolico e da laici autorevoli, la condanna da parte dei vescovi italiani dello stile di vita di Berlusconi, e dei danni che procura all’Italia sul piano internazionale, è arrivata ieri con la dura prolusione del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, ai suoi vescovi. Va detto: la vicenda interminabile delle escort e delle feste erotiche del premier era già stata oggetto di condanne delle gerarchie e di un generale raffreddamento di rapporti tra il governo e l’episcopato, cominciato anche prima, fin dall’incidente della cancellazione della cerimonia della Perdonanza del 28 agosto 2009. Che nelle intenzioni doveva sancire una sorta di rappacificazione tra il Cavaliere e la Chiesa turbata dal «caso Boffo» (l’attacco da parte del «Giornale» della famiglia Berlusconi che portò alle dimissioni del direttore di «Avvenire») e finì invece per diventare l’occasione di una rottura, poi aggravatasi per tutto quello che venne fuori dopo.

Per questo, ci sarà anche stavolta chi dirà che non c’è niente di nuovo, che le critiche dei vescovi sono in qualche modo obbligate, che Bagnasco non a caso le ha inserite nel suo discorso tra svariati motivi di rammarico sulla situazione italiana.

Dall’«attonito sbigottimento» per la crisi economica «vasta e devastante», all’emergere di una «modernità liquida in cui tutto rischia di disperdersi» e di una «questione morale» che si allarga e generalizza, all’evasione fiscale che in un momento come questo costituisce un esempio di immoralità.

Ma la verità è che per la prima volta, nei due anni in cui sono emersi gli aspetti scandalosi della vita privata di Berlusconi, Bagnasco ha voluto mettere in chiaro che, seppure i risultati delle inchieste sono tutti da confermare e sono stati ottenuti dalla magistratura con un uso smodato di strumenti di indagine (le famose centomila intercettazioni dell’inchiesta di Bari), «la responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che non mancano».

In altre parole, è inutile che Berlusconi continui a invocare a sua discolpa le manovre politiche e la persecuzione giudiziaria di cui si dichiara vittima: «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà» – annota il cardinale. Concludendo pesantemente che «ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune».

Parole dure, che chiedono un passo indietro del premier. Toni da sentenza definitiva, determinati – il testo lo lascia intuire tra le righe – dalle numerose sollecitazioni venute in questi giorni dalla stampa cattolica e dalle singole parrocchie: di fronte alle quali la Chiesa non può che ricordare, ribadendolo, quante volte in passato avesse già denunciato la mancanza di sobrietà nella vita pubblica, chiedendo «orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale».

Con una premessa del genere, è probabile che il prosieguo del dibattito dei vescovi al consiglio permanente della Cei darà altre occasioni per far lievitare il disagio espresso in apertura dal cardinale presidente. Ma è difficile che Berlusconi cerchi o trovi il modo per riflettere, ed eventualmente rispondere, alle pesanti critiche che lo chiamano in causa. Chiuso com’è nella convinzione di essere al centro di un complotto che punta a disarcionarlo, il Cavaliere, benché una descrizione dettagliata delle sue feste sia emersa nelle intercettazioni dalla sua stessa voce e da battute inequivocabili, continuerà a negare la realtà, rifiutandosi di prendere in considerazione anche i consigli di persone a lui vicine che gli chiedono di scusarsi pubblicamente.

E tuttavia le conseguenze dell’uscita dei vescovi non riguardano solo lui. Da questo punto di vista sarà interessante vedere nei prossimi giorni che effetto faranno le critiche della Cei sui numerosi esponenti cattolici del centrodestra, che su questi argomenti, finora, o sono rimasti zitti, o hanno preferito parlare d’altro.

La Stampa 27.09.11