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"Il ritorno del bavaglio ad personam", di Curzio Maltese

Così Berlusconi non era una vittima di ricatti, ma quello che pagava Tarantini perché mentisse ai magistrati.
Il premier sapeva che le ragazze in tubino nero portate dal compare alle “cene eleganti” erano prostitute e non nipoti di statisti stranieri o ricercatrici del Cnr. La montagna di soldi versati a Gianpaolo Tarantini tramite Valter Lavitola, il quale per inciso ne tratteneva la gran parte, non erano l’aiuto a una famiglia in difficoltà finanziaria, ma il prezzo di una corruzione. Siamo sorpresi dalle conclusioni del Tribunale del Riesame? Forse no. Con buona pace dei difensori d’ufficio alla Ferrara e alla Minzolini pagati coi nostri soldi per raccontarci penose scemenze.
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> La versione di un Berlusconi modello principe Myshkin o Chance il Giardiniere, insomma un beato idiota messo in mezzo da una banda di lestofanti, ci aveva sempre fatto sorridere. Puttaniere a sua insaputa, come Scajola con le case. Il premier era invece “pienamente consapevole” di trovarsi di fronte a delle escort, scrive il tribunale napoletano, come sospettavamo in molti. Non era la vittima, ma il capo della banda. Anche questo, s’immaginava.
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> Ma altro è coltivare un dubbio ragionevole, altro è vedere nero su bianco un’altra accusa di reato nei confronti del presidente del Consiglio. Stavolta avrebbe violato l’articolo 377 del codice penale, che gli mancava nella collezione. Per giunta, se mai qualcuno ha davvero mai creduto alla teoria del complotto dei magistrati contro Berlusconi, l’inchiesta in corso non può
> prestarsi ad alcun sospetto. I magistrati non stavano indagando né il premier né le sue aziende. Sono partiti da molto lontano, almeno in teoria, da traffici di droga e prostitute, e si sono imbattuti nella voce di Berlusconi durante le intercettazioni di delinquenti comuni.
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> Questa banale considerazione non impedirà ai servi giornalisti e politici del Cavaliere di ripetere a ogni occasione la solita tiritera del complotto, come fanno da vent’anni. Tarantini non è certo l’unico in Italia a essere pagato per mentire. Ma forse può impedire che intorno a un pretesto tanto esile si scateni in Parlamento l’ennesima e stavolta rovinosa corsa alla più squallida delle leggi ad personam, quella sulle intercettazioni. Una specie di condono tombale per un’infinità di indagini, anche molto serie e gravi, soltanto per garantire l’impunità al premier e ai suoi compagni di merende.
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> I cittadini sono stanchi di privilegi. Per quanto i cantori del medioevo berlusconiano s’affannino a reclamarne altri per il loro padrone. Con le tasche vuotate dalla crisi, s’affaccia un nuovo e forte bisogno di moralità pubblica, come è testimoniato anche dal popolo dei post-it, che ha ricominciato a mobilitarsi nella rete per bloccare la legge bavaglio.
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> Perfino i vescovi sembrano finalmente rendersene conto. Non sarà facile neppure per gli alleati del Cavaliere, in particolare per Bossi, spiegare a una base ormai esasperata che proibire le intercettazioni è una tappa fondamentale verso la libertà delle genti padane. Stavolta insomma il Cavaliere rischia di andare a sbattere contro un muro. C’è naturalmente da augurarselo per il bene del Paese, per la dignità di tutti. Finanche di coloro che non ne hanno e sembrano contenti di vivere gli ultimi spiccioli di un regime ormai fra il losco e il ridicolo. Ben incarnato dalle figure che dominano la scena del viale del tramonto, i Tarantini e i Lavitola.

COSÌ Berlusconi non era una vittima di ricatti, ma quello che pagava Tarantini perché mentisse ai magistrati.
Il premier sapeva che le ragazze in tubino nero portate dal compare alle “cene eleganti” erano prostitute e non nipoti di statisti stranieri o ricercatrici del Cnr. La montagna di soldi versati a Gianpaolo Tarantini tramite Valter Lavitola, il quale per inciso ne tratteneva la gran parte, non erano l’aiuto a una famiglia in difficoltà finanziaria, ma il prezzo di una corruzione. Siamo sorpresi dalle conclusioni del Tribunale del Riesame? Forse no. Con buona pace dei difensori d’ufficio alla Ferrara e alla Minzolini pagati coi nostri soldi per raccontarci penose scemenze.

La versione di un Berlusconi modello principe Myshkin o Chance il Giardiniere, insomma un beato idiota messo in mezzo da una banda di lestofanti, ci aveva sempre fatto sorridere. Puttaniere a sua insaputa, come Scajola con le case. Il premier era invece “pienamente consapevole” di trovarsi di fronte a delle escort, scrive il tribunale napoletano, come sospettavamo in molti. Non era la vittima, ma il capo della banda. Anche questo, s’immaginava.

Ma altro è coltivare un dubbio ragionevole, altro è vedere nero su bianco un’altra accusa di reato nei confronti del presidente del Consiglio. Stavolta avrebbe violato l’articolo 377 del codice penale, che gli mancava nella collezione. Per giunta, se mai qualcuno ha davvero mai creduto alla teoria del complotto dei magistrati contro Berlusconi, l’inchiesta in corso non può
prestarsi ad alcun sospetto. I magistrati non stavano indagando né il premier né le sue aziende. Sono partiti da molto lontano, almeno in teoria, da traffici di droga e prostitute, e si sono imbattuti nella voce di Berlusconi durante le intercettazioni di delinquenti comuni.

Questa banale considerazione non impedirà ai servi giornalisti e politici del Cavaliere di ripetere a ogni occasione la solita tiritera del complotto, come fanno da vent’anni. Tarantini non è certo l’unico in Italia a essere pagato per mentire. Ma forse può impedire che intorno a un pretesto tanto esile si scateni in Parlamento l’ennesima e stavolta rovinosa corsa alla più squallida delle leggi ad personam, quella sulle intercettazioni. Una specie di condono tombale per un’infinità di indagini, anche molto serie e gravi, soltanto per garantire l’impunità al premier e ai suoi compagni di merende.

I cittadini sono stanchi di privilegi. Per quanto i cantori del medioevo berlusconiano s’affannino a reclamarne altri per il loro padrone. Con le tasche vuotate dalla crisi, s’affaccia un nuovo e forte bisogno di moralità pubblica, come è testimoniato anche dal popolo dei post-it, che ha ricominciato a mobilitarsi nella rete per bloccare la legge bavaglio.

Perfino i vescovi sembrano finalmente rendersene conto. Non sarà facile neppure per gli alleati del Cavaliere, in particolare per Bossi, spiegare a una base ormai esasperata che proibire le intercettazioni è una tappa fondamentale verso la libertà delle genti padane. Stavolta insomma il Cavaliere rischia di andare a sbattere contro un muro. C’è naturalmente da augurarselo per il bene del Paese, per la dignità di tutti. Finanche di coloro che non ne hanno e sembrano contenti di vivere gli ultimi spiccioli di un regime ormai fra il losco e il ridicolo. Ben incarnato dalle figure che dominano la scena del viale del tramonto, i Tarantini e i Lavitola.

La Repubblica 28.09.11

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“Bavaglio al web e ai cittadini”, di Fulvio Fammoni

Giovedì 29 settembre dalle ore 15.00 al Pantheon manifestazione per dire NO all’ennesimo tentativo del Governo di imbavagliare l’informazione con la legge sulle intercettazioni. Il Comitato per la libertà e il diritto all’informazione, che ha organizzato le più grandi manifestazioni in Italia a difesa della libertà di informazione, chiama ancora una volta i cittadini a manifestare perché non sia appprovato un provvedimento sbagliato che manomette diritti costituzionali. Nel momento più grave di crisi che il paese attraversa invece di parlare di tutele del lavoro e di sviluppo, il Parlamento viene intasato dai problemi personali e giudiziari del Presidente del Consiglio. Non esiste ovviamente l’urgenza che viene dichiarata: questa legge è ferma da più di 1 anno in Parlamento e la si riesuma solo perché si è creato l’ennesimo problema politico e giudiziario. Nessuna tutela della privacy dei cittadini dunque, che può benissimo essere risolta dalle tante proposte presentate, ma un indebito intervento sulla libertà di informazione e sulla giustizia. Si tratterebbe in realtà della tutela di un modo inaccettabile di intendere il potere. Chi svolge cariche pubbliche ha invece una responsabilità in più: totale trasparenza sulle proprie azioni. Per questo chiedo pubblicamente: non si dovrebbe forse sapere che un Presidente del Consiglio in carica consigli un probabile indagato di non rientrare in Italia come appare dalle intercettazioni? Il merito dell’intervento della legge è vastissimo e riguarda il diritto di cronaca ma anche tanti aspetti meno noti, ma non per questo meno gravi. Dai reati intercettabili dividendoli arbitrariamente per gravità; dai limiti temporali delle intercettazioni ai divieti e alle sanzioni per giornalisti ed editori: dalla possibile sostituzione dei Pm anche solo se faranno dichiarazioni sul procedimento. Norme sbagliate e punitive, non verso chi commette reati ma verso l’informazione e su due voglio soffermarmi. La prima è l’incredibile bavaglio previsto per il web, che prevede l’obbligo di rettificare ogni contenuto pubblicato sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si autoritengano lesi. Senza possibilità di replica e con sanzioni fino a 12mila euro. Una misura che metterebbe in ginocchio la libertà di espressione della rete, senza possibilità di opposizione. La seconda è quella sulle cosiddette registrazioni fraudolente, con pena fino a 3 anni di carcere, senza alcuna distinzione. Così anche chi fosse taglieggiato e volesse fare una registrazione o una ripresa video dei criminali che si presentano a riscuotere il pizzo rischierebbe di incorrere in sanzioni? Come si vede nessuna tutela dei cittadini, ma una delle tante vie con cui questo governo interviene sull’informazione: censure, tagli di risorse come nel caso dell’editoria e delle piccole emittenti, depotenziamento del servizio pubblico, interventi sui programmi scomodi e su tanti giornalisti e operatori dell’informazione, della cultura, dello spettacolo. Tutto questo è inaccettabile e insopportabile. Ma non è finita, dietro il cauto annuncio di qualche concessione si pensa ad ulteriori e ben più gravi peggioramenti, come il ritorno ad una norma che vieterebbe addirittura fino alla sentenza d’appello ogni pubblicazione. Si tratterebbe di anni che renderebbero irrilevante ogni notizia. Per questo occorre impedire che una legge ingiusta e per tanti aspetti non costituzionale sia approvata. La mobilitazione delle associazioni che fanno parte del comitato per la libertà di informazione e di tante altre, la grande partecipazione dei cittadini contro leggi ad personam e per il rispetto dell’art.21 della Costituzione hanno già dimostrato di contare e di produrre risultati. Ecco perché la partecipazione è importante ed ecco perché la nostra iniziativa durerà per tutto il percorso parlamentare, prevedendo una grande manifestazione nazionale se e quando si avvierà il dibattito in Senato. Un cittadino formato e informato è più autonomo e quindi più libero. È questo quello che evidentemente non si vuole e che deve essere invece salvaguardato e aumentato. Una battaglia di civiltà e libertà che si deve vincere.

L’Unità 28.07.11