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"Il sud abbandonato. La disoccupazione fa scappare i giovani", di Marcella Ciarnelli

Il Mezzogiorno è sempre più lontano dal resto del Paese. E rischia di esserlo sempre di più, tanto più se i piani per il Sud del governo continueranno ad essere sempre e solo enunciazioni di principio. L’amara analisi la fornisce lo Svimez, l’Istituto che «fornisce da lungo tempo il più significativo appuntamento periodico di ricapitolazione e confronto sullo stato del Mezzogiorno »come ha detto il presidente della Repubblica che, davanti a numeri che forniscono la riprova che «la principale incompiutezza dell’unificazione dell’Italia è il persistente divario tra Nord e Sud» e che hanno in sé un’indicazione precisa che Napolitano rende esplicita: «Senza la valorizzazione del Sud non ci può essere crescita». LE DONNE Eccolo il Mezzogiorno tratteggiato dallo Svimez: nuova immigrazione, un tasso di disoccupazione reale che è al 25 per cento, neanche un giovane su tre ha un lavoro, e per le donne va ancora peggio dato che tre su quattro sono costrette a restare a casa. Nonostante l’impegno nello studio e a cercarsi un’occupazione. Un’area a rischio “tsunami demografico”, in cui nel 2050 gli over 75 saranno il dieci per cento inpiù, inuna zona spopolata per la costante emigrazione, nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro- Nord circa 109 mila abitanti, e dipendente economicamente con i giovani che scenderanno da sette a cinque milioni. Un “Paese per vecchi” in cui si faranno sentire le conseguenze della contrazione delle politiche sociali e di solidarietà. Che paga in prima persona la crisi. Delle 533 mila unità lavorative perse in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281 mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud dunque pur essendo presenti meno del 30 per cento degli occupati italiani si concentra il60 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Per superare questa situazione è necessario un nuovo progetto e un rinnovato impegno. Una «strategia» per rilanciare la crescita del Mezzogiorno che preveda un piano da 60 miliardi di euro che segni «una particolare attenzione del governo» ha spiegato il presidente dello Svimez, Adriano Giannola. Non «in un’ottica assistenzialista» ma piuttosto in quella della valorizzazione delle risorse e delle capacità di questa parte d’Italia. Anche tenendo conto che l’effetto cumulato delle manovre 2010 e 2011 dovrebbe pesare in termini di quota sul pil 6,4 punti al Sud ( di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012, 2,1 nel 2013) e 4,8 punti nel nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2102, 1,4 nel 2013). Il Mezzogiorno, dunque, contribuirà in maniera maggiore all’azzeramento del deficit, L’economia è ferma. Anche il 2011 sarà un anno «di stagnazione», il secondo, con un Pil che si ferma allo 0,1 rispetto allo 0,6 del resto d’Italia. Nel medio periodo la differenza tra Nord e Sud è stato ancora più significativo. LA PIÙ POVERA C’è differenza anche tra le regioni del Mezzogiorno in termine di Pil pro capite. L’Abruzzo è la più ricca con un reddito pro capite di 21.574 euro, la Campania è la più povera con 16.372 euro. In mezzo, nell’ordine, ci sono il Molise, la Sardegna, la Basilicata, la Sicilia, la Calabria e la Puglia. Dal 2009 al 2010 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 872mila unità, 153mila in meno rispetto al 2009, di cui 86.600 nel solo Mezzogiorno. Ma la vera e propria emergenza è tra i giovani. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è giunto nel 2010 ad appena il 31,7 per cento (nel 2009 era del 33,3 per cento): praticamente al Sud lavora meno di un giovane su tre. Situazione drammatica per le giovani donne, ferme nel 2010, al 23,3 per cento, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5 per cento). L’AGRICOLTURA Nel Sud cresce allora, la domanda di lavoro in agricoltura (+2 per cento), dopo la forte flessione del 2009 (-5,8 per cento), con un forte boom in Calabria e Abruzzo, superiore al 10 per cento. Un dato significativo davanti al calo dell’industria.❖

L’Unità 28.09.11

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“Lo «tsunami demografico». Sud, lo spreco dei giovani Svimez: uno su tre non lavora, in 583 mila sono già andati via”, di Enrico Marro

Una secessione di fatto. Sul Sud sta per abbattersi uno «tsunami demografico: da un’area giovane e ricca di menti e di braccia il Mezzogiorno si trasformerà nel corso del prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese». L’analisi contenuta nel Rapporto Svimez presentato ieri è spietata e spinge il presidente dell’istituto, Adriano Giannola, a lanciare un appello «non assistenzialistico» al governo perché promuova una «strategia di crescita» per il Sud.

Da alcuni anni le donne meridionali hanno in media meno figli di quelle del resto del Paese. Se a questo si aggiunge che nel Centro-Nord c’è un più forte afflusso di stranieri, in particolare giovani, il Sud si avvia al «degiovanimento». «Nei prossimi venti anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero». Nel 2050 gli under 30 saranno meno di cinque milioni nel Sud contro 11 milioni nel resto d’Italia. Il meridione «è destinato a diventare una delle aree con il peggior rapporto tra anziani inattivi e popolazione occupata e con la più alta percentuale di ultraottantenni sulla popolazione, quasi uno su sei nel 2050».

Le distanze col Nord aumentano. Negli ultimi dieci anni il Prodotto interno lordo nel Sud ha segnato una media annua negativa dello 0,3%, contro il +3,5% del Centro-Nord. Nel 2011 crescerà dello 0,1% mentre nel resto del Paese dello 0,8%. Il Pil procapite del Sud è il 58,5% di quello del Centro-Nord: 17.466 euro contro 29.869. La regione più povera — e questa è una novità — è diventata la Campania con 16.372 euro, superando la Calabria.

Le manovre finanziarie 2010-2011 peseranno di più nell’area più povera del Paese, dice il rapporto. Intanto, la crisi internazionale ha colpito duramente i consumi delle famiglie del Sud, perfino quelli alimentari, scesi del 4,9% nel 2009 (-2,1% nel Centro-Nord) e dello 0,4% nel 2010 (+ 0,3% nel Centro-Nord). Nel triennio 2008-2010 gli occupati sono diminuiti di 533 mila: il 60% di questi nel Mezzogiorno, benché quest’area rappresenti solo il 30% dell’occupazione nazionale. «Gli occupati al Sud — spiega il rapporto — sono tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40% della popolazione in età da lavoro, in Calabria il 42,4%, in Sicilia il 42,6%». Dilaga l’economia sommersa. Nel 2010 il tasso di disoccupazione è stato del 13,4% al Sud e del 6,4% al Centro-Nord. Considerando anche i «disoccupati impliciti, coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca del lavoro negli ultimi sei mesi», il «tasso disoccupazione effettivo» al Sud raddoppierebbe, superando il 25%. Solo il 20,4 dei giovani meridionali tra 15 e 34 anni ha un lavoro regolare a tempo indeterminato contro il 38,5% nel Centro-Nord. Considerando anche i precari si arriva al 31,7%: nel meridione quindi lavora meno di un giovane su tre. Le donne sono addirittura ferme al 23,3% contro il 56,5% nel resto del Paese.

A impoverire il Mezzogiorno contribuisce anche l’emigrazione, soprattutto intellettuale. Dal 2000 al 2009 sono andati via in 583 mila. Le città più colpite sono Napoli (-108 mila), Palermo (-29 mila), Torre del Greco (-19 mila), Bari e Caserta (-15 mila). Ad attrarre manodopera sono state soprattutto Roma (66 mila), Milano (50 mila) e Bologna (31 mila). Grave anche il livello di istruzione. Si riduce il numero di iscritti all’Università: dal 2003 a oggi il tasso di passaggio dalle scuole superiori alle facoltà universitarie è sceso dal 72,2% al 60,9% nel Sud (dal 73,4% al 64,6% nel Centro-Nord). «Dal brain drain, cioè dalla fuga dei cervelli, siamo ormai passati al brain waste, lo spreco di cervelli, una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazione», commenta la Svimez. Le infrastrutture sono arretrate, ma i fondi europei e i cofinanziamenti nazionali non si riescono a spendere, col rischio di perdere 7 miliardi di euro di finanziamenti entro il 2011. A dieci anni dalla Legge Obiettivo che prevedeva la realizzazione di grandi opere per complessivi 358 miliardi di euro, quelle ultimate valgono 30,5 miliardi, dei quali solo 4,2 nel Mezzogiorno.

Il Corriere della Sera 28.09.11