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"Perché va strappato il bavaglio alla libertà", di Stefano Rodotà

Un simulacro di governo e una maggioranza a pezzi vogliono impadronirsi della vita e della libertà delle persone, con un attacco senza precedenti contro i diritti fondamentali. Si dice che i colpi di coda dell´animale ferito siano i più pericolosi. È quello che sta accadendo. Dopo che l´articolo 8 del decreto sulla manovra economica ha cancellato aspetti essenziali del diritto del lavoro, ora si proclama la volontà di far approvare, con procedure accelerate e voti di fiducia, leggi che mettono il bavaglio all´informazione e negano il diritto di morire con dignità. Sarebbero così cancellati altri diritti. Quello di ogni cittadino ad essere informato, continuando così a vivere in una società democratica invece d´essere traghettato verso un mondo di miserabili arcana imperii. Quello all´autodeterminazione, dunque alla stessa libertà del vivere, che scompare nel testo sul testamento biologico. Tutte mosse in contrasto con la Costituzione. Bisogna essere consapevoli, allora, che non si tratta soltanto di opporsi a singole leggi, ma di impedire una inammissibile revisione costituzionale.
Bloccata nella primavera scorsa da una vera rivolta popolare, che aveva svegliato dal torpore i gruppi d´opposizione, torna ora, minacciosa e incombente, la legge bavaglio. Sappiamo quale sia il suo obiettivo. Impedire le intercettazioni, impedire la conoscenza dei loro contenuti. Conosciamo le sue giustificazioni. Tutelare la privacy dei cittadini, evitare uno Stato di polizia. Mai giustificazione fu più bugiarda. Se davvero le notizie riguardanti il Presidente del consiglio e la sua corte dei miracoli fossero state solo affare privato, irrilevanti per la vita pubblica e le responsabilità che essa impone, il Presidente della Cei non le avrebbe messe al centro di un vero atto d´accusa, d´una richiesta perentoria di rigenerazione della politica. Non che ci fosse bisogno di questo sigillo ecclesiale. Ma esso vale come conferma di una opinione comune.
Ricordiamo le regole di base. Nell´articolo 6 del Codice di deontologia dell´attività giornalistica (non una raccomandazione, ma una norma giuridica) si dice che “la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. Ho sottolineato le parole “alcun rilievo”. Chi può in buona fede sostenere che il torbido intreccio tra inclinazioni personali e bisogno di soddisfarle a qualsiasi costo, che ha avvolto il Presidente del consiglio in una rete di relazioni pericolose e sulla soglia dell´illegalità, sia del tutto irrilevante per il giudizio su di lui e sul suo modo di governare? Può farlo una maggioranza che si è piegata all´imposizione e che, votando a favore di un testo che accreditava la convinzione di una Ruby nipote di Mubarak, ha scritto la pagina parlamentare più vergognosa della storia repubblicana. Ma non può farlo un sistema dell´informazione consapevole della dignità della sua funzione. Di fronte ad una norma come quella ricordata, vi è un dovere di rendere note le notizie, perché esse diventano essenziali per un corretto rapporto tra comportamento delle persone pubbliche e valutazioni dei cittadini.
Cade così la tesi della violazione della sfera privata, perché le figure pubbliche hanno una ridotta aspettativa di privacy. Non è una tesi inventata per aggredire Berlusconi, come ha insinuato qualche appartenente alla lunga schiera degli ignoranti pubblici. E´ una linea che risale ad una decisione della Corte suprema americana del 1964 e che ha trovato conferme dalla Corte europea dei diritti dell´uomo, in particolare in un caso di pubblicazione di notizie riguardanti la presidenza Mitterrand, dove è stata addirittura ritenuta legittima la violazione del segreto istruttorio, perché la pubblicazione della notizia corrispondeva alla esigenza del pubblico di essere informato. La ragione è evidente e la Corte lo ha ripetuto molte volte: “la libertà d´informazione ha importanza fondamentale in una società democratica”.
Questa è la premessa ineludibile quando si vuole affrontare la disciplina delle intercettazioni, Che cosa, invece, si cercò di fare in primavera e si cerca di rifare oggi? Non impedire la pubblicazione di informazioni prive di rilievo, ma creare una situazione di totale opacità a protezione di figure pubbliche che vogliono sottrarsi al legittimo controllo dell´opinione pubblica. E si vuole raggiungere questo fine con una duplice strategia: limitare il potere della magistratura di disporre intercettazioni, per impedire indagini su reati sgraditi e restringere così il flusso delle informazioni a disposizione dei cittadini; e impedire la pubblicazione delle intercettazioni legittime. Un doppio bavaglio, dunque, tanto meno giustificato, quanto più la discussione pubblica indicava una soluzione che offriva garanzie. Una udienza-filtro, nella quale eliminare le informazioni irrilevanti e mantenere segrete quelle di rilevanza ancora dubbia, sì che diventano legittimamente pubblicabili solo le parti delle intercettazioni significative per le indagini e il giudizio.
Nel testo approvato dalla Commissione Giustizia della Camera era stata aperta una breccia in questa direzione, pur in un testo complessivamente inaccettabile per moltissimi motivi, uno dei quali riguarda una disciplina dei blog che, a parte la sostanziale ignoranza di questo mondo, introduce una inammissibile forma di censura. Ma le mosse annunciate dal Governo vanno oltre quel testo, usando pretestuosamente un vecchio e pessimo disegno di legge Mastella, travolto dalla critica dei mesi scorsi, per bloccare la pubblicazione fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell´udienza preliminare (fino alla sentenza d´appello, per gli atti nel fascicolo del pubblico ministero). Almeno due anni di silenzio. Non avremmo saputo nulla della vicenda che portò alle dimissioni del Governatore della Banca d´Italia, nulla delle mille corruzioni che infestano l´Italia. Un black-out della democrazia, che creerebbe all´interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d´indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, ricatti. Creerebbe un “turismo delle notizie”, la pubblicazione su qualche giornali o siti stranieri di informazioni “proibite” che poi rimbalzerebbero in Italia.
Ancor più inquietante è il testo sul testamento biologico, violentemente ideologico, che cancella il diritto fondamentale all´autodeterminazione. Il legislatore si fa scienziato, in contrasto con sentenze della Corte costituzionale, escludendo dai trattamenti terapeutici alimentazione e idratazione forzata. Azzerando il consenso informato, riconsegna il corpo delle persone al potere politico e al potere medico, lo riduce ad oggetto, ripercorrendo la strada che ha portato alle grandi tragedie del Novecento.
Torna così la questione sollevata all´inizio. Come reagire? Grandissima è la responsabilità del Parlamento, all´interno del quale le forze d´opposizione devono adottare strategie eccezionali, perché eccezionale è la minaccia. Guai alla tentazione di misurare le iniziative sulle convenienze interne ai partiti. Per questo serve anche l´attenzione sociale, frettolosamente archiviata dopo le amministrative e i referendum, verso i movimenti che nei mesi passati si sono identificati con la Costituzione e che nulla perdoneranno ad attori politici che trascurassero questa enorme risorsa. Per questo il ruolo del sistema dell´informazione è cruciale, come lo è stato in primavera.

La Repubblica 29.08.11