attualità, politica italiana

"Amari Inganni", di Michele Ainis

In Italia capita che l’ovvio suoni come una bestemmia in chiesa. O perlomeno nella chiesa in cui dice messa la politica, certa politica. Quella che a sua volta contrabbanda come verità lapalissiane il diritto a battersi per il libero Stato di Padania (Bossi) o le virtù mirabolanti d’una legge elettorale definita addirittura Porcellum. Ha fatto male il capo dello Stato a smascherare questo doppio inganno? No, ha fatto bene: a lungo andare il silenzio si trasforma in connivenza.

Costituzione alla mano, l’inganno vale innanzitutto per la presunta secessione del presunto popolo padano. Perché l’Italia è «indivisibile», dice l’articolo 5; e quindi l’unità del nostro territorio rappresenta un limite assoluto alla revisione costituzionale. Significa che non possiamo cambiare la Costituzione per dividere il Paese in due come una mela, nemmeno usando le procedure dettate dalla Costituzione. A meno che non decidessimo di gettare nel cestino dei rifiuti l’intera Carta del 1947, sostituendovi delle cartoline, tante quanti gli staterelli che precedettero l’Unità. Ma allora servirebbe una guerra, una rivoluzione. E soprattutto servirebbe il responso della storia, l’unica che può trasformare il bandito in un eroe, il criminale politico in un padre della Patria, come diceva Vezio Crisafulli.

Ma fin qui la Lega ha sparato soltanto proiettili verbali, ed è assai dubbio che alla prova dei fatti troverebbe qualche soldatino. Meglio così, naturalmente. Tuttavia le parole pesano, specie quando s’avvalgono del mantello del diritto. C’è un principio di sovranità popolare, affermano in coro gli esponenti della Lega: conta o non conta l’articolo 1? Certo che sì, ma la sovranità s’esercita «nelle forme e nei limiti» della Costituzione, stabilisce quella stessa norma. E infatti l’articolo 5 pone un limite testuale. Vabbé, allora c’è il principio di autodeterminazione dei popoli, aggiunge la Lega volgendo gli occhi al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Peccato che nel nostro caso l’autodeterminazione non c’entri un fico secco. Perché quest’ultimo principio vincola i governi stranieri a liberare i territori occupati con la forza, tanto che ispirò l’intero processo di decolonizzazione. Ma né la Lombardia né il Veneto sono colonie dell’Italia. Se lo fossero, i ministri della Repubblica italiana Bossi, Maroni e Calderoli sarebbero i colonizzatori.

E c’è poi il secondo guaio su cui ieri ha puntato l’indice Napolitano: la legge elettorale. Sempre ieri, il comitato promotore ha depositato in Cassazione un milione e 200 mila firme per l’abrogazione del Porcellum. In un paio di mesi, senza tv e senza quattrini, una sorta di miracolo. Ma forse è un miracolo il nostro risveglio collettivo, dopo un decennio passato a spiare la politica dal buco della serratura. Perché gli italiani stanno ritrovando la voglia di far politica in prima persona, senza delegarla. Perché attraverso il cambiamento delle regole del gioco vogliono cambiare pure i giocatori. Logori e acciaccati. E non solo al governo.

Il Corriere della Sera 01.10.11