attualità, politica italiana

"Il clan del cavaliere", di Massimo L. Salvadori

Tra poco più di tre mesi si chiuderà il centocinquantesimo dell´unità d´Italia. Chissà che lo stellone della Repubblica non faccia al Paese il grande regalo di chiudere l´anno delle celebrazioni con la caduta dell´infausto governo dell´uomo che, screditatosi per i motivi più squallidi come mai accaduto ad alcun Presidente del Consiglio nella nostra storia, ha avuto l´arroganza di autoproclamarsi con il plauso dei suoi fedeli il maggiore statista dal 1945 in poi.
Quest´uomo non lo vuole più una crescente maggioranza degli italiani, non il mondo dell´imprenditoria che pure lo aveva acclamato come il suo beniamino, non il mondo del lavoro e neppure – nonostante la gratitudine per i tanti privilegi economici e le posizioni retrive assunte in materia di diritti civili – la Chiesa romana, che con Bagnasco ha fatto finalmente sentire una tagliente voce critica. Sulla scena internazionale poi quest´uomo è oggetto della palese freddezza dei suoi partner e dall´ironia e del disprezzo di molti tra i più prestigiosi e influenti organi di stampa dell´Occidente. Piace solo più a Putin. Sennonché egli ha preso a prestito e continuamente ripete proprio la parola d´ordine che Borrelli aveva lanciato per fini opposti ai suoi: resistere, resistere, resistere. E con lui resistono i Letta, gli Alfano, i Cicchitto, i Lupi, i Gasparri e gli altri del Popolo detto delle libertà, la squallida banda dei vari Scilipoti approdati alla greppia del plutocrate e il fido Bossi, che, salito sulla scena agitando il cappio ai corrotti, è diventato l´impavido protettore della spelonca dei ladroni.
E il proposito del Cavaliere di resistere a tutto e tutti è complementare a quello di cacciare o quanto meno ridurre a una comparsa chi non lo osanni e non gli si pieghi. Ieri il caso Fini, oggi il caso Tremonti. Quale sia la sua motivazione l´ha palesata Berlusconi stesso. Il suo imperativo suona: non voglio cedere ai giudici che congiurano contro di me, non voglio finire in galera o seguire la sorte di Craxi e perciò non mollo certo il potere che è la mia principale difesa e può ancora assicurarmi il processo lungo, consentirmi di allungare i miei processi fino alla prescrizione, e così via.
Si può ben capire la logica personale che spinge Berlusconi a restare sordo agli interessi del Paese, persino a quelli della sua parte politica in crescente affanno e ad aver orecchi e occhi solo per i propri. Ma a questo punto una domanda si impone: perché i suoi famigli continuano a remare disperatamente con lui nonostante la loro barca faccia ormai chiaramente acqua? Perché si riducono – salvo le ancor poche eccezioni di “prudenti” e “previdenti” come Formigoni e Alemanno che incominciano a mettere le mani avanti – alla parte di ciechi “zeloti”? La spiegazione è nella coscienza che la caduta del loro capo-benefattore è la loro caduta.
Ho detto che sembrano nuovi zeloti. Sembrano sì, ma non lo sono. Non ne hanno la spina dorsale. Lasciamo tempo al tempo, che speriamo sia il più breve, e lo vedremo. Sono infatti essenzialmente uomini di un padrone. Possiamo essere certi che questi resistenti si muoveranno in due tempi: fino a quando riterranno che il governo possa restare in piedi faranno quadrato intorno al Cavaliere, ma quando questi sarà costretto a lasciare il potere, allora eccome che lasceranno la sua barca, cercando le vie della salvezza in un fuggi-fuggi trasformistico. Forse, e lo speriamo, i più compromessi e irrecuperabili ci lasceranno le penne, ma tanti altri si butteranno alla disperata ricerca di ripari e di ripescaggi. I clienti non hanno la stoffa dei martiri. Assumere le proprie responsabilità e portarne il peso non è una loro virtù.
Ciò che per ora favorisce l´estrema difesa del bunker del rais è la persistente debolezza strategica delle opposizioni, la quale si manifesta, ci pare, soprattutto in due aspetti. L´uno è che esse persistono nel lanciare al Paese messaggi non rassicuranti su come affrontare il dopo-Berlusconi. Gli interrogativi sulle alleanze per costruire un´alternativa di governo non ricevono se non risposte che fanno oscillare il pendolo in diverse direzioni. L´altro è che la ripetuta richiesta a Berlusconi di “fare un passo indietro” prima che la sua maggioranza si disgreghi obbedendo a un sussulto di senso di responsabilità suona irrealistica dal momento che questi dice e ridice che quel passo non vuole in alcun modo fare.
L´isolamento del Cavaliere dalle forze economiche e sociali del paese sta avvenendo a ritmi sempre più rapidi; e la sua incapacità di governare ha toccato l´apice. Orbene, per il vantaggio stesso delle forze di opposizione occorre che la crisi del governo, quando arriverà, trovi la sua naturale conclusione nella sede sua propria, in Parlamento: come prova provata di una bancarotta politica. Qualsiasi ipotetica altra via – che oltretutto non si capisce quale potrebbe mai essere – gioverebbe unicamente a creare uno stato di confusione politica e istituzionale.
Un´ultima considerazione. Quando l´uomo di Arcore avrà liberato il campo, una lezione il popolo italiano non dovrebbe più dimenticare, e cioè che affidare le sue sorti ad un plutocrate in grado di avvelenare il clima politico e civile e di alterare l´equilibrio dei poteri grazie all´uso malavitoso della propria immensa ricchezza, è per un paese un´estrema sciagura.

La Repubblica 01.10.11