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Boom delle pensioni di anzianità. «I lavoratori statali scappano via», di Marco Ventimiglia

Si vuole una cosa e succede esattamente l’opposto. Con un governo che funziona non dovrebbe mai accadere, specie su un argomento delicatissimo come le pensioni; quando c’è di mezzo l’esecutivo Berlusconi l’esperienza insegna che tutto è possibile, anche se nel caso in questione il pressappochismo rischia di generare ulteriori aggravi sulle malmesse casse dello Stato. Infatti, l’Inpdap ha reso noto ieri che è in corso un autentico boom delle pensioni d’anzianità tra i lavoratori statali. In particolare, nei primi nove mesi sono salite del 34,2%, passando da 39.477 a 52.973. Nel complesso le nuove pensioni sono aumentate del 5,27% passando dalle 71.953 dei primi 9 mesi del 2010 alle 75.743 dei primi nove mesi del 2011, ed a controbilanciare il forte aumento dei trattamenti d’anzianità c’è stato il calo delle pensioni di vecchiaia, di quelle di inabilità e del cosiddetto “part time” (si va in pensione di anzianità ma si continua a lavorare). TIMORI CRESCENTI Quanto all’aumento di persone che hanno lasciato l’amministrazione in età anticipata rispetto alla vecchiaia, la spiegazione sta soprattutto in quanto deciso dallo Stato, il che ci rimanda all’assunto di partenza. Infatti, una norma del 2009 prevede la possibilità di far uscire il dipendente se ha raggiunto i 40 anni di contributi (quindi di fatto una scelta dell’ amministrazione e non del lavoratore). A pesare, poi, ci sono anche le misure sul pubblico impiego, quali il blocco dei contratti e la reateizzazione del Tfr. Senza considerare il turbillon di voci, e qui ci sono altre evidenti responsabilità dell’esecutivo, su nuovi interventi sul sistema previdenziale. Parole che hanno sicuramente pesato sulla scelta di coloro che hanno optato per l’uscita anticipata, alimentando il timore di un peggioramento delle condizioni previdenziali nel comparto del pubblico impiego. INVERSIONE DI TENDENZA «Chi può scappa dalla pubblica amministrazione», ha dichiarato il responsabile dei lavoratori pubblici della Cgil, Michele Gentile. «Le misure decise dal governo sul pubblico impiego, blocco dei contratti, rateizzazione del Tfr e taglio alle retribuzioni dei dirigenti – ha spiegato – fanno sì che chi ha la possibilità di andarsene se ne vada. Finora non era stato così. La maggior parte dei lavoratori pubblici, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità restava fino al raggiungimento dei 40 anni di contributi o fino all’età prevista per la vecchiaia ».❖

L’Unità 04.10.11

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“Pensioni anticipate, fuga delle donne” Melania Di Giacomo

Nei primi nove mesi via 53 mila statali, il 34% in più rispetto al 2010. Ha inciso la prospettiva per le donne di dover lavorare cinque anni di più, c’è poi il blocco triennale dei contratti e tutte le strette sulle pensioni dei dipendenti pubblici degli ultimi anni. Secondo i sindacati anche le incertezze su future manovre hanno pesato sulle decisioni. Fatto sta che nel pubblico impiego è in corso una sommossa silenziosa: nei primi nove mesi dell’anno — dicono i dati dell’Inpdap, l’istituto di previdenza dei dipendenti pubblici — in 75.743 hanno lasciato il lavoro per andare in pensione, il 5,2% in più rispetto al settembre 2010, ma, soprattutto, le pensioni di anzianità sono state del 34% in più, da 34.477 a 52.973. Un dato in controtendenza rispetto al settore privato, dove nei primi 8 mesi del 2011, le pensioni di anzianità sono diminuite del 36,5%.

Nel pubblico, come nel privato, se si è almeno a quota 96 (60 anni d’età e 36 di contributi oppure 61 anni e 35) si imbocca la «finestra» e ci si mette a riposo. E una parte consistente dei prepensionamenti sono da attribuire all’equiparazione — che scatta dal primo gennaio prossimo — dell’età per le pensioni di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego decisa nel 2010, per dare seguito a richieste dell’Unione Europea. Quindi le donne andranno in pensione a 65 anni a partire dal primo gennaio, con uno scalone unico, senza fasi intermedie. Un provvedimento — disse allora il governo — che avrebbe interessato 25 mila donne. Se finora le impiegate andavano in ufficio fino a 61 anni, da gennaio dovranno lavorare fino al sessantacinquesimo compleanno e poi aspettare la finestra di uscita (passate da 4 a una sola all’anno). Un bello scaglione temporale, e la prospettiva avrebbe indotto a valutare il pensionamento anticipato. Ma per spiegare l’aumento così vistoso serve anche altro. «Lo Stato sta cambiando le carte in tavola», dice Corrado Mannucci, sindacalista dell’Ugl e membro del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inpdap. Negli ultimi due anni: blocco degli stipendi, stop del turnover, la possibilità — dal 2009 — per l’amministrazione di imporre il pensionamento al dipendente con 40 anni di contributi. Di recente i trasferimenti interni e con la manovra di luglio il blocco della buonuscita, che chi va in pensione anticipata percepirà dopo 24 e non più 12 mesi dalla fine del servizio. «C’è confusione totale e la paura di rimanere intrappolati, quindi ognuno cerca di portare a casa quello che gli sembra sicuro», aggiunge Mannucci. «Chi può scappa — dice anche Michele Gentile, responsabile del dipartimento Settori pubblici della Cgil — mentre prima la maggior parte dei lavoratori, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità restava fino ai 40 anni di contributi o fino all’età per la vecchiaia». Infatti, una parte consistente delle pensioni di anzianità (24.000 nei primi 9 mesi 2011 a fronte di 25.345 dell’intero 2010) continua a essere legata a uscite dal lavoro con 40 anni di contributi ma le altre, circa 28.000, a uscite volontarie, di personale che poteva restare al lavoro. Le uscite per vecchiaia sono diminuite per effetto della finestra mobile passando da 15.824 a 14.941 (-5,91%). Sono diminuite anche le pensioni di inabilità (da 4.394 a 3.808 con un -15,39%) e sono crollate le anzianità con trasformazione in part time (da 12.258 a 4.021 con un -204%).

Il Corriere della Sera 04.10.11