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"Un Paese che rinnega sè stesso", di Massimo Gramellini

Avevano trent’anni, un marito disoccupato e il mutuo della casa da pagare: la condizione disperata di chi non può più contrattare neppure la propria dignità. La tragedia ha scoperchiato un destino analogo a quello di mille altri sottoscala, dove si lavora stipati come conigli in tane fetide, senza uscite di sicurezza e senza luce.

Funziona così: l’azienda fallisce, chiude, licenzia e poi riapre in un seminterrato, che a volte è addirittura un garage, offrendo lavoro nero e sottopagato a un manipolo di donne – giovani madri, per lo più – disposte a tutto pur di aiutare la famiglia a sopravvivere. Sono le schiave dei tempi moderni. Condannate a ripetere lo stesso gesto per dieci, dodici, quattordici ore al giorno. Troppo stanche, angosciate e ricattabili per poter protestare o anche solo prendere coscienza dei propri diritti. «Se non ora quando?» è una domanda che sfiorisce prima di giungere ai loro orecchi. Non può esistere idea di riscossa per chi ha come orizzonte esistenziale la prossima bolletta.

Nessuno vuole infierire sui datori di lavoro che nell’incidente di Barletta hanno perso la figlia quattordicenne, scesa nel seminterrato in cerca dei genitori un attimo prima del crollo. Ma chi fa lavorare dodici donne in un buco fatiscente di quindici metri quadrati non è un imprenditore. E’ un disgraziato. Nessun ragionamento economico giustifica lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Un principio che vale ovunque, ma a maggior ragione in questa parte di mondo, dove certi racconti speravamo di averli confinati per sempre nei romanzi di Charles Dickens. Stiamo assistendo alla deriva caricaturale della globalizzazione. Stiamo importando condizioni di lavoro cinesi (e proprio mentre i cinesi cominciano gradualmente ad abbandonarle) perché pretendiamo di fare concorrenza alle tigri asiatiche sul terreno del famigerato «low cost». Ma una tuta italiana non dev’essere più economica di una tuta cinese. Dev’essere più bella. Altrimenti che italiana è? Da questa crisi non si esce riducendo i lavoratori più deboli al rango di bestie, ma elevando la qualità del prodotto, cioè dei dipendenti, con corsi professionali che li riqualifichino. Urge tornare tutti a scuola di italianità – operai, artigiani e imprenditori – imparando di nuovo a produrre oggetti eleganti e geniali, non tristi fotocopie di altre fotocopie. Continuo a sognare un’Italia del Sud che riesca a trarre benessere dalle sue miniere inesplorate di natura e cultura. A far soldi con gli agriturismi non con le magliette, con i musei non con le magliette, con i tramonti non con le magliette. Il mondo ci percepisce come il deposito della bellezza e della qualità della vita. Invece noi continuiamo a rinnegare noi stessi, in nome di una visione piccola e frustrata, da eterni Malavoglia incapaci di alzare gli occhi dal seminterrato quotidiano in cui ci siamo autoreclusi, per risvegliare finalmente la meraviglia addormentata che ci circonda da sempre.

La Stampa 05.10.11

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“Gli operai “invisibili” sono oltre due milioni: boom di donne al Sud”, di Rosario Talarico

Il lavoro nero è leggermente diminuito nel corso dell’ultimo ventennio, ma continua a costituire una bella fetta dell’economia italiana. Gli occupati dipendenti non regolari (quelli cioè che lavorano senza il rispetto delle norme fiscali e contributive) pesavano sul totale per il 15% nel 1991, vent’anni dopo siamo scesi all’11%. Nel settore agricolo le percentuali sono più marcate: si è passati dal 53% di non regolari del 1991 al 43% del 2010. Difficile ma non impossibile scattare una fotografia del fenomeno. Esistono stime affidabili, nonostante l’ovvio problema di fornire numeri in un ambito che per definizione è «sommerso» e non misurabile con estrema precisione. Secondo l’Istat nel 2010 i lavoratori in nero erano oltre due milioni pari appunto all’11%. Ed in media, lo rivelano inchieste della magistratura e blitz degli ispettori dell’Inps e dell’Inail, le paghe orarie arrivano anche a toccare i 2 euro l’ora, a volte anche meno quando a prestare le braccia sono immigrati.

Il settore in cui si concentrano maggiormente è l’agricoltura (43%), seguito con un certo distacco da quello delle costruzioni (13%). Il valore dell’economia sommersa è di oltre 275 miliardi di euro, stima un recente rapporto elaborato dal ministero dell’Economia, ed è dovuta per il 37% proprio al lavoro non regolare. Nel 1991 gli irregolari erano quasi 2,5 milioni scesi nel 2010 a quota 2,1. Nel settore tessile (lo stesso in cui lavoravano le donne rimaste uccise dal crollo della palazzina a Barletta) si è passati dai 73 mila irregolari del 1991 ai 45 mila dello scorso anno. L’ultimo rapporto dell’Inps (riferito al 2010) snocciola altre cifre sul lavoro nero: oltre 88 mila ispezioni nelle aziende che hanno portato alla scoperta di 67.955 posizioni aziendali irregolari con 12.550 lavoratori irregolari e 65.086 totalmente in nero.

«Ci vorrebbe un’attività mirata di repressione con misure in grado di sostenere e stabilizzare l’emersione spiega Claudio Treves, coordinatore del dipartimento mercato del lavoro della Cgil -. Il lavoro nero è strutturalmente parte dell’economia italiana. Al Sud due donne su tre non cercano nemmeno lavoro, sono il 66%. È un’approssimazione statistica del peso rivestito dall’economia sommersa. Ma nella manovra del governo i tagli hanno colpito proprio l’attività ispettiva. Ed è una follia».

Nei primi sei mesi dell’anno sono stati accertati dall’Inps 345 milioni di euro di contributi non versati nel corso di oltre 30 mila ispezioni, che hanno portato alla scoperta di 29 mila lavoratori in nero. Geograficamente, il classico schema che vede le regioni del Nord e del Centro comportarsi meglio di quelle del Mezzogiorno è pienamente rispettato. La quota di lavoro irregolare al Sud infatti è più che doppia rispetto al Centro-Nord.

In un’audizione presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini sosteneva che «il fenomeno del lavoro nero, privo di contribuzione sociale e di garanzie assicurative, è diffuso a livello europeo ma in Italia assume forme e connotazioni tali che le azioni di contrasto, per essere efficaci, devono operare in più direzioni». Treves sottolinea invece come uno dei primi atti del governo Berlusconi sia stata la soppressione della tracciabilità dei pagamenti (ma che verrà reintrodotta fra tre anni) «mentre l’attuale ministro del Lavoro sostenne che si attentava alla privacy dei cittadini quando si tentò la via dell’interconnessione delle banche dati per sconfiggere il fenomeno del lavoro nero».

Il ricorso al lavoro irregolare, con il conseguente risparmio in termini di imposte e contributi, accontenta tutti: risulta conveniente sia per le imprese che per le famiglie (nella loro veste di datori di lavoro che impiegano colf o badanti). Se si pensasse al lungo periodo i benefici sarebbero evidenti: aumenterebbe il gettito fiscale e si ridurrebbero i sussidi di tipo assistenziale. E in alcuni casi, si salverebbero anche vite umane.

La Stampa 05.10.11

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“Napolitano: sciagura inaccettabile”, di Raffaello Masci

Ci sono due inchieste della magistratura che dovranno fare luce sul dramma di Barletta, quella palazzina implosa a mezzogiorno e mezzo di due giorni fa, uccidendo quattro giovani donne e una ragazzina. Ma ora si è capito che dentro la tragedia ce n’era un’altra: il lavoro nero. Le operaie dell’opificio tessile al pian terreno dell’edificio crollato, erano giovani donne che lavoravano come potevano, fuori da ogni regola e per una retribuzione di 3,95 euro l’ora. Prendere o lasciare: funziona così in tanta parte del Sud (ma anche in qualche zona del Nord). La Guardia di Finanza sta indagando su questo.

E quindi al dolore, allo sgomento, al brivido che ha attraversato tutto il paese, ieri si è aggiunta una duplice riflessione da parte di politici (non tutti) e sindacalisti: la prima è sugli abusi edilizi e le leggerezze commesse in questo campo (a cominciare dai condoni), la seconda sul lavoro illegale, nero o come vogliamo chiamarlo.

Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha trasmesso un messaggio al sindaco di Barletta, Nicola Menfi, ieri mattina, quando la vicenda del lavoro nero non era ancora emersa, e quindi ha parlato soprattutto di dolore e di sicurezza abitativa. Ma è nota la sua sensibilità per la tutela dell’occupazione e la sua battaglia contro gli incidenti sul lavoro.

«L’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità – dice nella missiva il Presidente – e soprattutto l’impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e vigilanza». Un monito, ma anche un momento di «commossa e affettuosa partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime» e un augurio «di pronta guarigione» ai feriti. Napolitano ha però – sia pur con i toni pacati che si addicono alla sua carica – ricordato che il dramma non è campito nel nulla, ma che la città di Barletta è stata «già duramente colpita negli anni da analoghi gravi eventi».

Il Presidente non cita – come prevedibile – gli abusi edilizi, le leggerezze nel dare le licenze, i mancati controlli, i devastati effetti dei condoni edilizi. Temi che – invece – si ritrovano in molte dichiarazione dei politici. Qualcuno, come il segretario radicale, Mario Staderini, ha addirittura parlato di «strage di Stato», in quanto chi ha voluto (o tollerato) la causa, deve farsi carico anche dell’effetto.

L’intervento del Quirinale ha dato risalto al coro di tutti gli altri, a cominciare da quello del presidente del Senato Renato Schifani, del ministro – pugliese – Raffaele Fitto, dell’ex premier Massimo D’Alema, eletto in Puglia. La Regione, presieduta da Nichi Vendola, alla solidarietà ha fatto seguire un intervento concreto, con lo stanziamento di 200 mila euro per far fronte alle prime necessità. Una sollecitudine istituzionale che non ha impedito, però, a Vendola, di evidenziare il cuore del problema: «Stiamo diventando bravi nella gestione delle emergenze – ha detto – ma dobbiamo lavorare nel prevenirle, per combattere il partito del cemento e investire sulla riqualificazione delle periferie».

«Spetta naturalmente alla magistratura fare luce sulle responsabilità – ha detto il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, con riferimento sia alla tragedia sia al lavoro nero – Ma bisogna che il nostro paese ritrovi il senso delle priorità. La dignità del lavoro e la sicurezza sul lavoro sono elementi ineliminabili di un paese civile». Per il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere «La notizia che le lavoratrici decedute fossero al nero, aggrava ancora di più il quadro delle responsabilità». Oggi le salme delle giovani donne, trattenute per l’autopsie, saranno restituite alle famiglie. Ci sarà una camera ardente collettiva. Domani i funerali.

La Stampa 05.10.11